Piacersi è essenziale per stare bene con se stessi. Per migliorare il proprio aspetto molte persone decidono di ricorrere alla chirurgia estetica domandando al proprio medico come saranno dopo.
Uno degli interventi maggiormente richiesti dalle donne è la mastoplastica additiva, cioè la chirurgia di aumento del volume del seno. Abbiamo intervistato il dottor Fabio Toffanetti, specialista in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, per saperne di più.
Cosa chiedono solitamente le donne che decidono di ricorrere alla chirurgia estetica?
Spesso nella mia pratica clinica mi rendo conto che le domande più frequenti durante una visita per mastoplastica additiva sono indirizzate a sapere dove si trova la cicatrice, quale sia la forma della protesi e il piano di posizionamento delle stesse. Tante volte le pazienti hanno un’idea generica e sulla base di questa chiedono già un tipo di intervento e di protesi: non sempre però si tratta della soluzione migliore per il loro caso specifico. Per quanto riguarda l’accesso, ovvero dove incidere per poter inserire le protesi, spesso ci si chiede quale sia l’approccio chirurgico migliore nella mastoplastica additiva ed in particolare quale sia l’area più nascosta dove collocare una cicatrice. E tradizionalmente le principali via di accesso per poter impiantare una protesi mammaria sono tre.
Quali?
La prima è il solco inframammario, la seconda il margine periareolare inferiore e la terza la regione ascellare. A queste si aggiunge il meno usato accesso periombelicale, in quanto non sempre permette al chirurgo di allestire una tasca protesica adeguata e ottimale ed inoltre non consente di posizionare protesi in gel di silicone, bensì solo si soluzione salina: la protesi infatti può essere “gonfiata” solo una volta giunta in sede.
E quali sono i vantaggi e gli svantaggi di ogni accesso?
Nel caso del solco inframammario si ha una visione diretta del piano di allestimento della tasca protesica e si evita di incidere in prossimità dell’areola riducendone i rischi di ipoestesia e disestesia temporanea o permanente (riduzione o alterazione della sensibilità). La cicatrice è nascosta sotto il polo inferiore ma comunque visibile anche in Bikini quando si è sdraiate (e conseguentemente il reggiseno tende a salire leggermente mostrando il solco stesso) e questo può essere un limite. L’accesso emiperiareolare inferiore, invece, permette di nascondere la cicatrice fra la parte pigmentata dell’areola stessa e la cute limitrofa risultando dopo alcuni mesi pressochè invisibile anche a seno nudo.
Ci spieghi
Dal punto di vista chirurgico è più complesso, ma dà l’enorme vantaggio di poter modellare il polo inferiore, soprattutto in caso di ghiandole tuberose. Alcune volte viene convertito in una periareolare completa quando si deve correggere una lieve ptosi (caduta) mammaria, inestetismo non compensabile con un accesso inframammario. I contro sono quelli prima citati, ovvero la possibile alterazione di sensibilità del complesso areola capezzolo, anche se nella maggior parte dei casi è un fenomeno comunque raro e transitorio.
Per quanto riguarda l’accesso dalla regione ascellare, invece?
Ha l’enorme vantaggio di avere una cicatrice nascosta in un’area solitamente non esposta. D’altro canto però, essendo una zona di stiramento e movimento, la qualità della cicatrice spesso non è ottimale. Inoltre diventa molto complesso eseguire una tasca adeguata e simmetrica, e la quantità di ghiandole sudoripare dove è presente l’incisione corre il rischio di contaminare la protesi. Nel caso poi si debba procedere alla sostituzione della protesi spesso è necessario incidere da un altro accesso lasciando due cicatrici.In generale, non esiste l’accesso chirurgico ottimale: ognuno ha i suoi benefici ma anche i suoi punti deboli. L’importante è non affidarsi a un chirurgo che vi proponga un’unica soluzione in quanto “abituato” con quella: ogni caso va analizzato e discusso con la paziente. E se non ci sono particolari controindicazioni si può assecondare una sua eventuale preferenza.
Come sono le protesi?
In base al tipo di forma si distinguono due grandi categorie: quelle rotonde e quelle anatomiche conosciute più comunemente come “a goccia”. La scelta su quale utilizzare varia in base alle caratteristiche della paziente come l’età, la forma del torace e lo spessore dei tessuti cutanei nonché il gusto personale della paziente stessa.Le protesi rotonde hanno il vantaggio di poter volumizzare meglio il polo superiore dando un aspetto più pieno. Inoltre, anche in caso di rotazione, non danno alcun problema di distorsione della forma ed è per questo che non comportano rischi in donne che eseguono intensa attività fisica.A parità di altezza e larghezza esistono protesi rotonde con proiezioni differenti a seconda dell’obiettivo che si vuole raggiungere.
Le protesi anatomiche, invece?
Hanno forma ovoidale con una graduale diminuzione del volume nel polo superiore, quindi sono più simili a un seno naturale. Ce ne sono differenti tipologie, non solo per il volume e la proiezione, ma anche per il diametro della base e l’altezza. In caso di rotazione però si verifica un’alterazione della forma della mammella e può essere necessario tornare in sala operatoria per riposizionare l’impianto, e per questo spesso è sconsigliata in donne che praticano un’intensa attività fisica.
Come si sceglie il volume della protesi?
Anche questo aspetto è subordinato alla larghezza e alla forma del torace, nonchè alla tipologia e dimensione della ghiandola mammaria, quindi non solamente al gusto personale della paziente. Durante i colloqui preoperatori si eseguono dei test con specifici sizers esterni collocati in reggiseni idonei che ricalcano il volume protesico che si intende collocare e scelto dopo attente misurazioni anatomiche. Anche in sala operatoria il chirurgo esegue una prova con sizers sterili prima dell’inserimento della protesi definitiva.
Dove vengono posizionate esattamente le protesi?
Nell’area sottoghiandolare o in quella sottomuscolare, anche se quest’ultima ormai è praticamente abbandonato a vantaggio della tecnica Dual Plane, dove la protesi è coperta dal muscolo a livello del polo superiore e dalla ghiandola a livello del polo inferiore. Anche in questo caso la scelta di un piano rispetto all’altro è subordinata all’anatomia della paziente, allo spessore del tessuto di copertura della cute e della ghiandola mammaria.
Per concludere, che differenza c’è tra queste due collocazioni?
La sede sottoghiandolare permette un controllo ottimale della forma della mammella e soprattutto dall’assenza di alterazioni della forma durante la contrazione del muscolo gran pettorale. Il decorso post operatorio risulta quindi leggermente più rapido. Gli svantaggi però sono legati a un maggior rischio di visibilità e palpabilità dell’impianto protesico ed in particolare dei margini supero-interni e di una maggior incidenza di contrattura capsulare. E’ altamente sconsigliato in donne molto magre.
La sede Dual Plane?
Ha il vantaggio di un minor rischio di palpabilità e visibilità della protesi e di una ridotta incidenza di contrattura capsulare. Inoltre si minimizzano gli svantaggi legati a un impianto totalmente sottomuscolare: minor controllo della forma, possibile spostamento laterale della protesi e variazione della forma durante l’attività fisica e maggior dolore post operatorio. Come si può vedere, ogni scelta va ponderata con molta attenzione cercando di convogliare i gusti personali della paziente in una tecnica e con un tipo di protesi che meglio si adatti alla sua conformazione anatomica. La visita e i successivi colloqui preoperatori con lo specialista in chirurgia plastica sono fondamentali per intraprendere un percorso corretto. Fondamentale è inoltre la scelta di una clinica che rispetti tutti gli standard qualitativi ed i requisiti necessari per affrontare un intervento di questo tipo.
Per informazioni: www.fabiotoffanetti.it – email fabio.toffanetti@yahoo.it – tel. 035238972
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