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L'intervento

Salario minimo, Pezzotta: “Una necessità per milioni di lavoratori non tutelati”

Pubblichiamo un intervento di Savino Pezzotta, già segretario nazionale della Cisl, sul salario minimo al centro del dibattito politico

Mentre sono in vacanza con la mia famiglia e i miei nipotini mi capita sovente di incontrare persone iscritte alla Cisl che riconoscendomi mi chiedono quale sia il mio parere sulla questione del salario minimo.

Senza alcuna pretesa di verità cercherò di dire come la penso anche alla luce della mia lunga militanza sindacale. Ho seguito con un certo disagio questo dibattito che troppe volte ho visto assumere connotati ideologici.
La necessità di introdurre nel nostro ordinamento una norma che regoli il salario mimo è imposta da una situazione che registra l’esistenza di alcuni milioni di lavoratori pagati 4-6 euro all’ora, o anche meno e non tutelati dalla contrattazione o per modelli contrattuali che fissano i minimi a livelli troppo bassi.

Nello stesso tempo che affermo l’esistenza di questa necessità non posso non confermare l’adesione all’esperienza sindacale esercitata nella Cisl che privilegia la contrattazione rispetto agli interventi legislativi. Sono altresì convinto che una tradizione come questa vada rispettata senza essere ipostatizzata e irrigidita, ma che vada incardina nella realtà presente attuale e che pertanto di richiede di essere interpretata e non essere trasformata ed utilizzata in una sorta di “ipse dixit” come pedissequamente e per troppo tempo hanno sostenuto i dirigenti della mia organizzazione: una tradizione e un pensiero hanno valore se sono capaci di inverarsi nella realtà.

Rammento che una delle prime proposte (1948) d’introduzione di un salario minimo per legge venne avanzata da una rivista della Cisl, “Politica sindacale”, la rivista dell’Ufficio studi della Cisl,
che proponeva l’applicazione dell’articolo 36 della Costituzione affidasse alla legge la determinazione della retribuzione “sufficiente”. mentre la contrattazione collettiva articolata (cioè un contratto nazionale e i contratti aziendali o territoriali) dovessero dedicarsi a fissare la retribuzione “proporzionata” al lavoro svolto.

Inoltre, credo che la situazione reale abbia posto al dibattito salariale due questioni importanti: il salario minimo per legge e il reddito di cittadinanza: due problematiche che sollevano la
questione di un reddito sufficiente per vivere dignitosamente.
Un tempo era il sindacato a chiedere che la domanda interna fosse sostenuta da salari più alti. Oggi, paradosso della storia, a sostenere questa necessità e in modo sempre più pressante sono
banchieri e istituzioni internazionali. Attualmente l’aumento dei salari non può però essere concepito come misura congiunturale o con interventi una tantum ma inquadrato nel principio della ridistribuzione della ricchezza.
In questi anni molte imprese e attività economiche hanno generato profitti maggiori rispetto alle attese , mentre l’inflazione ha morso i salari depotenziando il potere d’acquisto di chi basava il
proprio stile di vita sul salario. Quello che si è verificato non è stato “ il trascinamento all’innalzamento ” il cosiddetto “tricle down” ma un abbassamento del valore dei salari. Una situazione che per ragioni di giustizia va corretta, prima che generi una diffusa conflittualità sociale, che già l’improvvida abolizione del reddito di cittadinanza sta innescando.

La questione salariale torna alla ribalta e per affrontarla con determinazione e coerenza per prima cosa si deve prendere atto che nel la nostra quotidianità, nel territorio, nei nostri vicini di casa ci sono persone che operano in lavori impegnativi o faticosi ma poco pagati. Si sta determinando un contesto sociale sempre più determinato dal crescere di profonde disuguaglianze che non sempre un’occupazione riesce a temperare. La questione che ci sia un minimo salariale è pertanto una questione non solo economica ma etica e politica.

Le mobilitazioni che hanno attraversato in questi mesi la Francia ci hanno dimostrato che l’abbandono del principio di uguaglianza genera turbolenze, forti conflitti e incrina l’adesione alla democrazia, una lezione che vale anche per l’Italia. Inoltre – dopo aver sottolineando che il minimo salariale definito legislativamente è un passo necessario- credo sia necessario non lasciare passare l’illusione che con il salario minimo per legge si possa risolvere una volta per tutte la questione del lavoro poco pagato e tutelato.

Soprattutto la introduzione del salario minimo legale deve essere accompagnata da una iniziativa contrattuale decisa e atta a trasformare la precarietà dei lavori a tempo determinato in tutele indederminate da realizzarsi nel mercato in modo che non si formino sacche di lavoro povero e garantendo, nel contempo, che la necessaria flessibilità richiesta dalla nuova organizzazione del lavoro, sia attuata con lavoratori coperti da un CCNL a tempo indeterminato; e poi è indispensabile bloccare la cascata dei sub-appalti.

Gli interventi avanzati da questo governo vanno nella direzione opposta , come le modalità di intervento sul reddito di cittadinanza esemplificano.
Sarebbe compito del sindacato produrre un’analisi approfondita e dettagliata sul complesso delle retribuzioni in Italia e vedere come la componente salariale incida sull’occupazione e sul
crescere del lavoro flessibile. Il sindacato è anche chiamato a compiere un’azione di riconcettualizzazione della stessa l’idea di lavoro. La fine del modello organizzativo di tipo tayloristico che aveva segnato la realtà industriale e manifatturiere viene progressivamente sostituita dal modello digitale e il capitalismo assume caratteristiche diverse da quelle che aveva nella realtà fordista. Siamo
entrati in un universo organizzativo e produttivo che richiede modalità contrattuali e rappresentative diverse da quelle del passato, capaci di di andare oltre le divisioni merceologiche del passato.
La questione del salario minimo legale e quella del reddito di cittadinanza inducono ad aprire un dibattito nuovo sulla questione della distribuzione della ricchezza , sulla organizzazione e libertà nel lavoro che non può essere sottovalutata.

*Savino Pezzotta, bergamasco, sindacalista e politico italiano, è stato segretario nazionale della Cisl.


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