Rahul, giugno 2023
Oggi mi trovo a Khajrana, il primo dei nove paesi che visiterò. Come dicono gli indiani è una medium area. Ancora molto vicino al centro di Indore – ci si arriva in venti minuti di tuk tuk – ora non è più una comunità rurale staccata dalla città ma è stata del tutto inglobata nel tessuto cittadino. Sa di periferia, relativamente più tranquilla di Indore, gente più semplice. La dimensione bucolica – case di fango, aratro tirato dai buoi etc – è del tutto sparita. È incredibile la differenza da allora, ho ben presente nelle foto meravigliose di Berengo Gardin la realtà contadina di quel tempo. Sono sempre l’unico straniero – non c’è ombra di turisti – e non tutti parlano inglese, e così noto un po’ di diffidenza diversamente dalla città, e devo sempre spiegare perché sono qui, cosa faccio etc…. Penso a come doveva essere più semplice per Berengo, che non era solo, perché Antonio Monroy – prezioso conoscitore dell’India – lo guidava e riusciva a introdurlo all’interno di abitazioni. Viaggiando così, in modalità solitaria, riuscirò a comunicare di più con la gente del posto, e ad essere accolto?
Solo ieri formulavo questo pensiero ed ecco che già oggi conosco una simpatica famiglia. Chiacchieriamo un po’ e poi il figlio sui vent’anni si offre di portarmi con il motorino a Niranjanpur. Visitare il paese con la sua guida è stata tutta un’altra cosa. Vedendo che ero accompagnato da un locale spariva ogni cenno di comprensibile diffidenza. Sia dal punto di vista umano che fotografico è stata una gran bella giornata.
Accade poi che il pomeriggio successivo mi trovo a parlare con una simpatica coppia e spiego perché sono lì. Subito chiamano un loro amico e me lo presentano. È Rahul, ha ventiquattro anni, ha appena terminato una scuola di giornalismo e vorrebbe fare il videomaker. Mi accompagnerà molto volentieri anche perché sarà per lui un’esperienza utile per il suo futuro lavoro, una specie di stage. È un ragazzo intelligente che capisce quanto sia importante la gavetta. Il giorno dopo andiamo a Nipania, dove ci fermiamo anche alla sera. Decidiamo che non sarà l’unica uscita notturna. Domani sera mi porterà dai wrestler indiani che anche Berengo aveva fotografato.
Raoul mi accompagna e mi fa da interprete, traducendo quando occorre, prestandosi con generosità e dedizione. Raoul diventerà il mio braccio destro, e un amico, il “mio Monroy”. Devo dire che, con una buona guida, è tutto molto più facile, ti senti anche più sicuro e le foto… vengono meglio. In realtà non ho mai qui la sensazione di essere in pericolo per qualche motivo, anzi! gli indiani sono molto onesti, e con un’indole oltremodo pacifica. Si è però così diversi, a volte in situazioni decisamente caotiche, con il problema del linguaggio e dell’attrezzatura che mi porto dietro, che avere un accompagnatore mi permette di dedicarmi al lavoro con una tranquillità decisamente maggiore. I primi giorni mi rendo conto che ero più rigido, più guardingo.
La sera dopo visitiamo la palestra dove i combattimenti avvengono in perimetri ricoperti da una speciale terra rossa, che curano conservandola sempre pulita. Per ogni combattente indiano questa terra è sacra.
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