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Serie a

Un’Inter troppo forte per una Dea poco convinta

I nerazzurri di Bergamo salutano definitivamente il sogno Champions, quelli di Milano lo agguantano con merito

L’Atalanta perde di misura contro l’Inter e saluta i sogni Champions. Dal mero e semplice risultato si potrebbe evincere una buona e combattiva Atalanta che ha tenuto testa alla finalista di Champions. Il campo in realtà ha parlato molto diversamente con una Dea che ha confermato oltre ai limiti tecnici, anche quelli motivazionali.

Per la gara di San Siro, Gasperini riesce a recuperare solo Zappacosta, ma la squadra continua a rimanere decimata, con una panchina corta rimpolpata da giovani della Primavera. L’approccio alla gara è terrificante: sulle ali dell’entusiasmo per la conquista del secondo trofeo stagionale, l’Inter trascinata da uno straordinario Lukaku dopo appena tre minuti si trova già con il doppio vantaggio grazie ai sigilli del belga e di Barella. Nonostante le fatiche di coppa, la forma della formazione di Inzaghi è straripante e la Dea rischia di sbandare definitivamente nei primi 25 minuti di gioco quando Lukaku, Dimarco e D’Ambrosio vanno vicini al terzo gol. Gli ospiti si intravedono per la prima volta con Højlund, il quale incrocia però centralmente e trova la pronta respinta di Onana.

Da qui in poi l’Atalanta prende campo e coraggio, forse anche perché i meneghini, forti del risultato, decidono di respirare, gestire e centellinare le energie dopo un inizio spaventosamente a spron battuto. Koopmeiners impegna Onana dal limite dell’area, poi gli orobici provano a sfruttare i corner: Scalvini svetta ma non inquadra lo specchio, mentre sempre su situazione da angolo, dopo una mischia è Pasalic ad infiammare e dare un vero senso alla sfida del Meazza.

La crescita della Dea sul finire di primo tempo dona sicuramente speranze. Speranze che però non hanno seguito nella ripresa quando la propulsione degli uomini di Gasperini finisce per liquidarsi ben presto e alla distanza i padroni di casa riprendono in mano le redini del gioco. Le occasioni per andare sul 3-1 iniziano ad arrivare con cadenza importante con Lautaro che prima viene contrastato da Toloi e successivamente non trova per un’unghia il tap-in su assistenza di Lukaku. La Lu-La dopo vari tentativi riesce a costruire la rete: il belga offre una palla geniale a Brozovic, che con grande altruismo, serve il Toro argentino per il colpo del ko. Nel finale i finalisti di Champions League rischiano di dilagare con Acerbi e Asslani, ma quasi a sorpresa da una ribattuta su punizione arriva il gol per l’Atalanta (sarà poi considerata autorete di Onana) che rende meno tranquilli gli ultimi minuti a Barella e compagni, i quali comunque mandano in porto il compito conquistando l’aritmetica certezza del piazzamento alla prossima coppa delle grandi orecchie.

Per l’Atalanta questo sogno, molto difficile da raggiungere, invece si spezza. La certezza della qualificazione europea rende il tutto meno drammatico, ma il disappunto dopo un’ennesima prestazione con poco spirito è decisamente giustificato. Ad una giornata dal termine della stagione e guardando indietro a tutto il percorso si può essere decisamente netti nei giudizi su ciò che si è visto. L’Atalanta è in Europa e questo non può che far tutti felici, ma questa è una squadra che, oltre ai limiti tecnici, vive di rendita sia in termini di risultati sia a livello motivazionale.

Sul piano dei risultati le prime dieci giornate con molte vittorie sporche, di fatto hanno permesso alla Dea di costruire un bottino importante per questo finale di campionato. Con i 26 punti nel ritorno si sarebbe in piena media da nono posto in classifica. Sul piano motivazionale invece troppe le partite in cui è mancato l’atteggiamento giusto. Non solo a San Siro, ma anche in altre occasioni in cui sulla carta le motivazioni dovevano essere forti, non si son visti gli occhi affamati della tigre e lo spirito giusto.

È stato invece davvero disarmante vedere come anche un’Inter che ha giocato 17 match consecutivi di fila ogni tre giorni, avesse non solo più condizione atletica ma anche anche più fame rispetto ai ragazzi di Gasperini. L’Europa è stata raggiunta: è un traguardo importante ma non superlativo; la Champions lo sarebbe stata in quanto la Dea in queste condizioni avrebbe fatto un autentico miracolo.

È stata raggiunta anche per demeriti altrui altrimenti non ci si sarebbe trovati al passare dal tifare prima contro la Fiorentina (mercoledì in finale di Coppa Italia), e poi a favore in appena tre giorni. Ora toccherà cercare di battere il Monza (per nulla facile e scontato) per chiudere al meglio e successivamente aprire vere riflessioni sul futuro. In questo che doveva essere un anno di transizione dal punto di vista del risultato si è centrato l’obiettivo, sul processo di crescita e di sviluppo del futuro della squadra invece non si è progredito parecchio. Ed è per questo che serviranno idee chiare, sia che resti sia, come sembra più probabile, non ci sia più Gasperini alla guida tecnica.

TOP E FLOP

Giudicando l’andamento dei singoli in pochissimi possono sentirsi con la coscienza apposto e sufficienti dopo la partita di Milano. Tra questi sicuramente uno Sportiello che prova a mettere le pezze alle toppe di una difesa che soffre dannatamente la prepotenza fisica di Lukaku con Djimsiti che ci capisce veramente poco e non riesce a limitare l’attaccante interista né fisicamente né con anticipi mirati.

Sopra il 6 anche Pasalic: al contrario di altre circostanze in cui era apparso poco lucido, stavolta il croato non disdegna. Lancia bene Højlund verso la porta nella prima occasione per la Dea, sigla la rete che restituisce fiducia alla squadra e nei venti minuti migliori dei ragazzi di Gasperini è costantemente calato e attivo nel gioco. A deludere maggiormente per quanto concerne il reparto avanzato sono Højlund e Koopmeiners.

Il danese fatica a scrollarsi di dosso Acerbi (l’esperienza batte la freschezza in maniera netta e fin troppo plateale), mantiene pochi palloni tra i propri piedi e sbaglia molte scelte, mentre l’olandese non è quel trascinatore tecnico che servirebbe ad una formazione nettamente lacunosa da questo punto di vista.

Nemmeno i due subentrati Muriel e Lookman hanno entusiasmato. In particolare il colombiano dopo aver gettato al vento un paio di buone occasioni di ripartenza, propizia pure il gol del 3-2 ma l’ultimo angolo battuto in una maniera inconcepibile rovina letteralmente tutto.

Per chiudere il cerchio dietro la lavagna finisce anche Maehle che dietro concede troppo spazio a Dimarco in occasione del 2-0, e nella fase di spinta è parecchio impreciso, remissivo e poco ispirato. Sull’altro lato non brilla di certo Zappacosta: andrebbe solamente capito quanto effettivamente ne avesse dopo il recupero last minute dall’ultimo infortunio e quanto fosse in campo invece per necessità oggettiva vista l’assenza di altri esterni di fascia.

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