• Abbonati

Cinema

La recensione

“Inseparabili”, doppio ruolo di Rachel Weisz nella serie che riscopre l’orrore di Cronenberg video

Due sorelle gemelle, Elliot e Beverly Mantle, entrambe ginecologhe, interpretano però il ruolo in maniera opposta

Titolo: Inseparabili

Titolo originale: Dead Ringers

Ideatore: Alice Birch

Regia: Sean Durkin, Karena Evans, Lauren Wolkstein, Karyn Kusama

Paese di produzione/anno/durata: USA/2023/ 64 minuti per 6 episodi

Interpreti: Rachel Weisz, Britne Oldford, Poppy Liu, Michael Chernus, Jennifer Ehle, Emily Meade

Distribuzione: Amazon Prime Video

Si ritrova traccia del body-horror di Cronenberg, declinato alla sola sfera naturale, nella miniserie Dead Ringers – Inseparabili, distribuita dal 21 aprile su Amazon Prime Video.

Creata da Alice Birch, la serie si ispira infatti all’omonimo film thriller del 1988 e al romanzo Twins di Bari Wood e Jack Geasland, rivisitando però il tutto in chiave femminile e più contemporanea.

Mentre nel film di Cronenberg i protagonisti erano due gemelli ginecologi impegnati a curare l’infertilità (interpretati da Jeremy Irons), nella serie è l’ottima Rachel Weisz a vestire i panni delle sorelle gemelle Elliot e Beverly Mantle, anche loro ginecologhe, che interpretano però il ruolo in maniera opposta.

Grazie all’aiuto dell’investitrice Rebecca Parker (Jennifer Ehle), riescono ad aprire una clinica privata a Manhattan per aiutare le madri a partorire e per fare ricerca nel campo, ma soprattutto, come ama ripetere Beverly, dimostrare che “la gravidanza non è una malattia”.

Due gemelle identiche, capaci di scambiarsi i ruoli anche nel mezzo di una visita, che mostrano però tratti caratteriali completamente diversi. Beverly, timida e riservata, segue il parto delle “clienti” (così vengono chiamate le pazienti), inseguendo un ideale romantico e materno della professione, mentre Elliot, dottoressa geniale che mostra però tratti immaturi e pericolosi, crea la vita (illegalmente) all’interno del laboratorio, senza l’ausilio di alcun corpo. Due gemelle identiche ed allo stesso tempo opposte, speculari nel corpo ma non nelle idee, che Alice Birch ed i registi caratterizzano grazie al diverso taglio di capelli: chignon per Beverly, capelli sciolti e mossi per Elliot.

Un legame il loro che diventa sempre più morboso lungo i sei episodi. Lo scorrere di campi e controcampi indugia spesso sui volti delle sorelle Mantle e sui loro sguardi, a sottolineare un legame di fondo, una sorta di dipendenza reciproca che arriva fino alla sovrapposizione. Un rapporto quasi simbiotico che entra in crisi con l’arrivo di Genevieve (Britne Oldford), attrice amata da Beverly (ma conquistata da Elliot), incarnazione della doppia pulsione erotica ed affettiva delle due sorelle che si riflette nel possibile doppio tra la realtà e la propria figura sullo schermo.

Mentre per Beverly la situazione sembra stabilizzarsi (anche grazie all’arrivo del figlio tanto voluto), le scelte di Elliot la trasportano sempre più in un vortice che la avvicina ad una sorta di onnipotenza, ma anche pericolosamente vicino alla deriva, tra droghe, amanti ed un’evoluzione scientifica senza alcuna barriera. Il genere maschile è solo un mezzo per appagare gli istinti erotici o per fornire gli spermatozoi necessari alla fecondazione, mentre sono donne le protagoniste della serie. Un aspetto che sembra voler togliere ogni appiglio maschilista per concentrarsi, anche con un linguaggio esplicito di parole e immagini, sul corpo di una donna capace di decidere e di agire al meglio per il proprio futuro e per la propria salute (o per i propri interessi).

I colori freddi e asettici usati nella serie riflettono le tematiche crude a cui si fa riferimento: gravidanza, fecondazione assistita, madri surrogate, inseminazione artificiale, aborto spontaneo, menopausa. Tutti temi che mettono lo spettatore di fronte a questioni etiche e morali, che spaziano fino all’uso della tortura per il progresso scientifico e ad un’accusa verso il capitalismo che è in grado di esaudire qualsiasi richiesta, a patto che si possa pagare qualsiasi prestazione.

Capitalismo capace di esaudire ogni desiderio delle donne WASP che si possono permettere determinanti trattamenti, mentre alle categorie più fragili non è nemmeno garantita l’adeguata assistenza durante un parto. Il mondo femminile (corrotto) di Dead Ringers si riflette sul rosso sangue che spesso ritorna, per ricordare il dolore fisico del parto e della nascita, ma anche quello di aborti che non permettono ad una madre di sentirsi completa.

Così il corpo deformato e tagliato tipico delle tematiche di Cronenberg torna però nei suoi aspetti più naturali, attraverso un corpo da accudire (ma non da curare), che non trova mai l’incontro con corpi inorganici caratteristico del regista del film del 1988. Rimangono le immagini forti e la crudezza del linguaggio, che trasformano la gioia di una nascita nell’atto quasi brutale di estrazione di un corpo da un altro corpo.

Un atto quasi meccanico, senza alcuna emozione, che scava nelle contraddizioni di una maternità a volte voluta ma anche odiata, capace di trasformarsi anche in depressione post partum o in atti di rifiuto nella relazione genitore-figlio (come nel caso delle sorelle Mantle con i propri genitori). Una relazione che riflette ancora una volta sul significato di un doppio in equilibrio continuo tra consapevolezza del proprio corpo (e del proprio essere) e tensione verso l’altro.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI