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San giovanni bianco

Molestie a un’infermiera, medico a processo nega: “Stavo antipatico perché più qualificato”

Accusato di violenza sessuale: "Era su di giri e si rifiutava di visitare i pazienti". I sospetti del dottore che lo sostituì: "Gli chiesi di fare un esame tossicologico, rifiutò". L'imputato: "Era invidioso, mai usato sostanze"

Bergamo. In aula ha respinto tutte le accuse: “Nemmeno so che cosa significa palpeggiare, al massimo conosco il termine palpazione”, usato in medicina. Così si è difeso D.K., medico russo finito a processo per violenza sessuale a causa delle presunte molestie a un’infermiera del pronto soccorso di San Giovanni Bianco.

Nel corso della prima udienza, però, era emerso molto altro. Il personale sanitario aveva raccontato ai giudici del folle turno del medico, terminato in anticipo perché considerato incapace di portarlo a termine; tra strusciamenti, insulti alle colleghe e poca propensione a visitare i pazienti. “Non è vero – replica lui – sono io che me ne sono andato perché c’era un’ambiente di lavoro ostile. Ho sbagliato, dovevo finire il turno, ma non volevo creare polemiche”.

Poco prima che lasciasse l’ospedale, un’infermiera era arrivata al punto di chiamare i carabinieri, spaventata per gli insoliti comportamenti del 52enne. Lui stesso ha ammesso di averle sfregato la testa, dicendole “sei la mia preferita”, nonostante secondo la donna non ci fosse alcuna confidenza tra i due. “Capivo di starle antipatico dai suoi sguardi, così ho cercato di fare qualcosa per eliminare la tensione tra di noi”. Tensione che sarebbe comunque scoppiata poco dopo, quando il medico la avrebbe insultata e minacciata. “Le ho detto che avrei segnalato il suo comportamento e che l’avrei fatta licenziare – ammette -, ma ero irritato perché non seguiva mai le mie indicazioni”.

A scatenare le ire del dottore, il tipo di medicazione da eseguire al dito di un ragazzo che si era tagliato con l’affettatrice. “La ferita era minima, era riuscito a lavorare tutto il giorno – sostiene -, bastava un cerotto”. L’infermiera, invece, ha optato per una suturazione, giudicando la situazione più grave. Un caso di insubordinazione? A quanto pare, anche la mamma di un bimbo caduto in bici protestò per le scarse attenzioni ricevute dal medico, nonostante il figlio lamentasse capogiri, nausea e vomito.

“Non registrare questi pazienti, mandali dalla guardia medica” è una delle frasi attribuite all’imputato, che prova a difendersi facendo leva sul curriculum. “Sono medico di pronto soccorso di primo grado, so giudicare le situazioni – risponde -. Ho lavorato per dodici anni come cardiochirurgo all’ex ospedale di Bergamo e facevo pure trapianti di cuore. Non ho mai avuto problemi con nessuno in trentadue anni di lavoro, tranne che in questo pronto soccorso e con queste tre infermiere”, tutte chiamate a testimoniare.

Tra loro, anche quella che ha materialmente sporto denuncia ai carabinieri, sostendendo di essere stata palpeggiata. “È falso. Lei e altre due infermiere stavano eseguendo un prelievo, stavano impiegando un po’ troppo tempo così mi sono offerto di aiutarle. È stata lei a mettermi la mano al petto, dicendo ‘vai al tuo posto e inizia a lavorare’. Ho studiato anche psicologia – assicura ai giudici -. Una donna che si sente palpeggiata avrebbe pronunciato frasi molto diverse”.

D.K., libero professionista, arruolato in pronto soccorso tramite una cooperativa di Treviglio, ha voluto replicare anche al collega che lo sostituì durante il turno notturno (dalle 20 alle 8). Gli aveva proposto di eseguire un test tossicologico, perché sospettava fosse drogato. L’imputato, però, si rifiutò: “Non aveva nessun diritto di chiedermelo. Era molto invidioso di me” per via delle sue qualifiche più alte, sostiene. Poi aggiunge: “Dichiaro davanti a Dio di non aver mai fatto uso di sostanze tossiche”.

Nemmeno alcol? Glielo domanda il giudice, visti alcuni precedenti per resistenza a pubblico ufficiale e un ricovero in ospedale per una presunta intossicazione da alcolici. “Quella è una cultura molto diffusa”, risponde il 52enne, che alla Corte ha provato a chiarire anche la faccenda del boccettino di Lexotan ritrovato nel cestino del bagno, dove sarebbe rimasto chiuso a lungo prima dell’arrivo dei carabinieri. Secondo il dottore che lo sostituì, il locale era completamente allagato e il farmaco poteva contribuire a mitigare l’effetto di eventuali sostanze stupefacenti. “Lui non sa che il Lexotan si usa più come sonnifero che come calmante – replica stizzito D.K. -. Io non l’ho usato, e poi anche gli infermieri potevano usare quel bagno”. Conclusioni previste il 31 maggio, forse anche la sentenza.

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