• Abbonati
Ballando di architettura

L’importanza di chiamarsi Richard fotogallery

Richard Bona entra in scena come un rapper entra in chiesa. Totalmente a suo agio, sorridente e con l’espressione di chi non ha nulla da dimostrare. Lo accompagnano Sylvain Luc alla chitarra e Nicolas Viccaro alla batteria

Si è rivelata vincente la scelta di affiancare Richard Galliano e Richard Bona per la serata finale della quarantaquattresima edizione di Bergamo Jazz che si è tenuta domenica sera al Teatro Donizetti, pieno in ogni ordine di posti (pure quelli con visibilità ridotta).

Dicevo scelta azzeccata, non tanto per l’omonimia dei due giganti in questione, quanto per la complementarietà della loro performance. Ma partiamo dall’inizio. Allo spegnersi delle luci di sala si presenta sul palco l’illustre madrina Maria Pia De Vito che, in un appassionato discorso, ringrazia la città e il pubblico di Bergamo per aver sostenuto il festival nei non facili quattro anni del suo mandato artistico.

Arriva quindi il primo big della serata, Richard Galliano, virtuoso di fisarmonica, bandoneon e armonica a bocca che, dopo un breve saluto in perfetto italiano, dà il via ad un’esibizione intensa, prima in solitaria, poi raggiunto dal chitarrista manouche Adrien Moignard, fedele seguace di Django Reinhardt, e dal contrabbassista Diego Imbert, valente erede di Charlie Haden.
Il concerto scorre armonioso come un bateaux mouche lungo la Senna, snodandosi attraverso varie sonorità, in un melting-pot che passa con disinvoltura dalla musette alla gipsy, dal tango di Piazzolla all’immancabile Autumn Leaves, accorato bis impreziosito dalla citazione de La Marseillaise sul finale, quasi ironica in questo contesto ipercontaminato.

Strabiliante la varietà di timbriche e registri prodotti da Galliano che in alcuni frangenti imita il suono delle dita sul bordo di un bicchiere, in altri il trillo di un sax soprano, lo stridere di un organo elettrico, il vibrato di un di un violino. Il senso del ritmo di questo New York Tango Trio è presente e sottinteso, pari soltanto all’attenzione profusa da ognuno dei tre al proprio strumento, talmente certosini da non volere l’aiuto dei tecnici durante il cambio palco. Memorabile Moignard che dopo aver bevuto un sorso d’acqua si asciuga con un panno, lo piega e con cura tampona le
corde della chitarra per assorbire anche la più piccola goccia di sudore. Il chitarrista che è in me applaude.

Rientra quindi sul palco Maria Pia De Vito, insieme agli ottimi Massimo Boffelli e Roberto Valentino i quali, al termine dei ringraziamenti, annunciano che il prossimo direttore artistico della rassegna sarà Joe Lovano, sassofonista e polistrumentista statunitense, pluripremiato da Down Beat, vincitore di un Grammy e collaboratore, tra i tanti, di McCoy Tyner, Michael Brecker, John Scofield, Esperanza Spalding. Un grande nome per un grande festival. Ma ora è il momento che tutti – tutti non saprei, io di sicuro – stavano aspettando.

Richard Bona entra in scena come un rapper entra in chiesa. Totalmente a suo agio, sorridente e con l’espressione di chi non ha nulla da dimostrare. Lo accompagnano Sylvain Luc alla chitarra e Nicolas Viccaro alla batteria.

I primi cinque minuti li passa a bisticciare con il suo monitor di palco che chiede di ammutolire, preferendo l’acustica naturale della sala. Intanto gigioneggia col pubblico che ancora non sa di preciso cosa lo sta per centrare in pieno volto. E si comincia, sulle note di Tequila, il superclassico latin rock dei The Champs. Sulle prime, il trio sembra rilassato, quasi in fase di riscaldamento, ma nel finale basso e chitarra riducono la dinamica su un ostinato di due misure, mentre la batteria aumenta progressivamente di intensità fino a travolgere l’intera sala come un temporale estivo.
Chi si aspettava di assistere ai funambolismi del bassista camerunense rimane invece spiazzato dai virtuosismi dei suoi comprimari, capacissimi di suonare in the pocket ma, al contempo, liberi di prodursi in sventagliate che farebbero felice il più esigente dei riccardoni (si veda Nonciclopedia per una definizione esaustiva del termine).

Anzi, a ben vedere, stasera Bona non dà il meglio di sé al basso – si fa per dire – bensì all’ugola, producendosi in numerosi brani per voce solista che mandano in solluchero il pubblico, pure invitato a partecipare in un botta e risposta degno delle migliori arene pop.

Ciò che colpisce maggiormente dei “due Richard”, è l’estrema diversità dei rispettivi ensemble: se nel trio di Galliano il ritmo è intuìto e sottostante, quasi a lasciare maggior spazio al versante armonico-melodico, nel trio di Bona, di contro, il ritmo è padrone e preminente, totalmente votato a far muovere all’unisono le teste del pubblico. Ma d’altronde il bello del jazz – nella sua accezione di musica colta – è proprio questo: la perfetta coabitazione tra pianissimo e fortissimo.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI