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Al teatro sociale

Tragedia al femminile: “Supplici” di Euripide interroga sulla resa e sul dolore

Un testo greco del quinto secolo avanti Cristo resta di estrema attualità e pone domande, presenta possibilità, offre importanti spunti di riflessione

Bergamo. “Supplici” di Euripide, magistralmente diretto da Serena Sinigaglia, interroga e commuove il pubblico del Teatro Sociale. Tragedia greca del quinto secolo avanti Cristo, si presenta come un testo di estrema attualità e pone domande, presenta possibilità, offre importanti spunti di riflessione.

Quando scendono le luci, non resta che una roccia al centro del palcoscenico e l’occhio dello spettatore cattura tutto ciò che può in attesa dell’inizio. Le protagoniste entrano in scena in un silenzio surreale. Si posizionano l’una accanto all’altra; i loro sguardi interpellano gli spettatori in sala. D’un tratto, le loro voci si uniscono: hanno qualcosa da raccontare. È la loro storia. Ed è anche, inevitabilmente, quella di tutti noi.

Sette incredibili attrici: Francesca Ciocchetti, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan, Debora Zuin. Sette donne, mogli, madri che hanno perduto i propri figli nella battaglia contro Tebe e che non chiedono altro che la possibilità di riavere i corpi degli eroi per destinare loro una degna sepoltura.

In una scenografia difficile da animare, le Supplici riempiono lo spazio con movimenti sospesi che parlano di un dolore straziante.

Partite da Argo, giungono ad Atene e pregano Teseo – di cui si fa voce un’attrice: ogni personaggio è infatti interpretato dalle donne, attraverso le quali passa l’intera narrazione della tragedia – di accontentarle. Forti di una costanza senza eguali, si dichiarano pronte a tutto: anche a una nuova guerra. La loro sofferenza finisce così per generare nuova sofferenza, in una ciclicità inevitabile e irrimediabile.

Teseo vince la battaglia, ma, una volta riposte le armi, i corpi senza vita sono tanti, troppi. Tante, troppe le madri che piangeranno i valorosi figli. È un viaggio ripetutamente doloroso nelle emozioni, un viaggio di cui le protagoniste si fanno voce e che ci interessa in prima persona: così, in certi momenti, le luci del palco si rivolgono verso la platea.

Le Supplici siamo anche noi, disposti a qualsiasi cosa, quando a volte – e ce lo ricorda il personaggio di Adrasto – “la vera vittoria sta nell’arrendersi a se stessi e all’impossibilità di andare avanti. Chi merita fiducia è colui che impara a perdere”.

Restano vive le tematiche della resa, del dolore, della giustizia a costo di tutto. E resta vivo, soprattutto, il grande tema della democrazia che attraversa l’intera narrazione in un confronto-non confronto con la tirannia, per poi scoprirsi più simili di quanto sembrasse.

Il finale resta sospeso, tutto è un grande punto interrogativo. Cosa sarà del futuro? Dei figli dei figli, dei nipoti, delle generazioni a venire? Sulla chiusura della rappresentazione, nelle menti dei presenti si aprono domande in una circolarità perfetta e mai totalmente compiuta. Il pubblico applaude commosso, le mani agitate a dire: “Lotteremo perché il domani sia migliore. E se davvero mancherà posto per i giovani, lo troveremo”.

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