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L'iniziativa

“Welcome in the week” una vita indipendente diventa possibile anche per chi ha una disabilità

Una domenica al mese, quindici famiglie di Mozzo e Curno, hanno ospitato – per una merenda, per passare la giornata insieme – una persona disabile con buona capacità di autonomia

Tutto è cominciato quattro anni fa, con l’iniziativa “Vivi la diversità a casa tua”, proposta dall’associazione Abilitare convivendo. Una domenica al mese, quindici famiglie di Mozzo e Curno, hanno ospitato – per una merenda, per passare la giornata insieme – una persona disabile con buona capacità di autonomia. A tutti è stata posta solo una condizione: non fare niente di speciale, cioè non proporre all’ospite niente di diverso dalla propria domenica. Una domenica in famiglia, solo questo. “Alcune delle famiglie partecipanti avevano anche bambini piccoli. Alla fine, erano tutti contentissimi: i padroni di casa e i ragazzi”, racconta Danilo Perico, presidente di Abilitare convivendo, organizzazione di volontariato costituita nel 2011 da familiari di persone con disabilità residenti a Mozzo e a Curno. Sono questi quattro anni di esperienza, condivisione e formazione che hanno fatto scattare la scintilla: perché non proporre un’esperienza di autonomia in un appartamento?

Il progetto iniziale “Welcome”, rivolto a tredici adulti con disabilità e che interessa il fine settimana (dal sabato mattina alla domenica sera), oggi cresce e da maggio si è evoluto e integrato con la sperimentazione infrasettimanale di “Welcome in the week”, supportato dai Comuni di Mozzo e Curno e dalla Fondazione della Comunità Bergamasca. Tre donne hanno cominciato a vivere nell’appartamento – che si trova in pieno centro a Mozzo e che ha consentito a tutti i beneficiari di non essere sradicati dal proprio paese, ma di continuare a vivere le proprie relazioni – anche un giorno infrasettimanale per due giorni al mese, per poi salire a tre giorni al mese. Con gradualità: prima solo il pomeriggio, poi fermandosi a cena, poi trattenendosi dopo cena ed infine – quando si sono sentite pronte e hanno espresso il desiderio di fare questo passo in più – fermandosi anche a dormire, per rientrare nelle rispettive case dai propri familiari solo la mattina dopo. Da gennaio tre uomini – anche in questo caso adulti, dai 40 anni in su – parteciperanno a questo progetto sperimentale.

Che cosa significa autonomia? Ordinare una pizza da asporto. Decidere cosa preparare per cena, fare la lista della spesa e uscire per comprare quello che serve. Dividersi i compiti per la cura della casa e della propria camera. Prendere un pullman. Decidere di passare la serata come si preferisce, leggendo un libro o guardando un film. Nell’appartamento è sempre presente un educatore, ma in “forma” diversa. Ci sono i momenti in cui l’educatore stimola e propone attività (come usare il forno o gestire una situazione di emergenza), ci sono altri momenti in cui l’educatore – che non è mai un familiare per consentire ai partecipanti di mettersi in gioco fino in fondo – è un “fantasma”. Interviene solo se c’è bisogno di aiuto, solo se viene coinvolto. Diversamente, è presente, ma lascia campo libero. “Le persone con disabilità hanno il diritto ad una vita indipendente e possono costruirsi una vita autonoma. Noi dobbiamo supportarle e, soprattutto, dobbiamo crederci. Dobbiamo dire alle loro famiglie: ‘Questa cosa possiamo farla anche con loro’”, dice il presidente Perico. Qualche esempio? “Una signora ottantenne estremamente attiva per un certo periodo è stata costretta a letto. L’ha accudita suo figlio, uno dei partecipanti al nostro progetto. Le ha preparato da mangiare e l’ha aiutata per tutto il tempo in cui non è stata bene”. Un bel cambio di prospettiva: da persona che ha bisogno di aiuto a caregiver. “Come quella volta che le ragazze hanno preparato una deliziosa torta al cioccolato, facendo attenzione agli ingredienti, perché la volontaria di turno era allergica al lattosio. E l’hanno fatta da sole, senza l’aiuto di nessuno”, continua Perico.

La filosofia dei “piccoli passi”, la gradualità e il coraggio della sperimentazione – quello che ti fa arrivare a percorsi personalizzati, in controtendenza rispetto alle soluzioni standardizzate spesso proposte a chi ha una disabilità – sono alcuni dei punti di forza di questo progetto. Senza dimenticarne uno: “La nostra organizzazione siede a un tavolo di regia insieme ai sindaci dei Comuni di Mozzo e Curno, agli assessori che seguono il progetto, agli assistenti sociali delle due Amministrazioni, ai responsabili dei Servizi alla persona, alle cooperative Alchimia e Lavorare insieme (da cui provengono gli educatori, ndr), ai fratelli, alle sorelle, ai genitori dei beneficiari del progetto. Un’amministrazione ti può anche finanziare un’iniziativa, ma, se la condivide con te, il valore aggiunto è grande”, ancora Perico. Al tavolo tecnico si affianca, però, un altro “organo collegiale”: “Quando elaboriamo un progetto o lo dobbiamo valutare, vogliamo sentire anche le donne e gli uomini che vi partecipano. Ce lo hanno chiesto loro, a ragione: ‘È la nostra vita e dobbiamo deciderla noi’”.

“L’autonomia delle persone con disabilità è qualcosa che riguarda tutti, e questo progetto lo esprime con chiarezza. Perché scommette sulla comunità, sulle relazioni di vicinato, sulle reti di quartiere, sul piccolo mondo in cui ciascuno di noi si muove quotidianamente e nel quale si sente sicuro, riconosciuto, accolto, in una parola ‘a casa’”, il commento di Osvaldo Ranica, presidente della Fondazione della Comunità Bergamasca. “È questo che rende possibile levare l’àncora e lasciare un porto sicuro per trovarne un altro, altrove, a misura propria, e costruirsi un futuro indipendente”.

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