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In aula

Processo Zambetti per la rapina di Albino: “In tre col passamontagna e uno ha preso mio figlio”

Lidia Bortolotti ha ancora impressi nella memoria quei drammatici momenti della sera del 2 dicembre 2010: "Ho temuto che gli succedesse qualcosa"

Bergamo. “Erano in tre, tutti con il passamontagna, e uno mi puntava la pistola”. Lidia Bortolotti, 47 anni, ha ancora impressi nella memoria quei drammatici momenti. È la sera del 2 dicembre 2010 e la donna è in casa, una villetta di via Sant’Alessandro ad Albino, con il figlioletto di appena 18 mesi. Il marito, Filippo Caldara, commerciante di giocattoli, non c’è. Non sarebbe rientrato per l’ora di cena.

Mancano pochi minuti alle 19 quando i banditi entrano in azione. Lidia Bortolotti, martedì al processo (con collegio presieduto dal giudice Giovanni Petillo) che vede imputato per quella rapina Mattia Zambetti, figlio di GiamBattista Zambetti, noto come “Il Ragno” della Valle Cavallina con il suo da rapinatore (ma anche da usuraio ed estorsore) ripercorre con coraggio quegli istanti: “Erano in tre, tutti con il passamontagna. Uno di loro era al mio fianco e mi puntava la pistola. Volevano che aprissi le due casseforti che contenevano una collezione di orologi di valore e i gioielli di famiglia. Ma io non conoscevo i codici”.

Ma i banditi non demordono: “Aspettiamo tuo marito”, incalzano. Ma quella sera l’uomo sarebbe rimasto fuori. “Allora a un certo punto hanno preso mio figlio – prosegue la donna in aula – , me l’hanno strappato via e lo hanno portato in auto. Sono stati attimi di terrore. Mi hanno anche picchiata, sul collo, le braccia. Ma io temevo per mio figlio, che gli potesse capitare qualcosa. Hanno messo a soqquadro la casa alla ricerca di refurtiva di valore. Uno di loro si anche è ferito (sono state trovate tracce di sangue). Alla fine se ne sono andati con alcuni gioielli che non erano custoditi, penne Mont Blanc, orecchini, orologi (per un ammontare di 20mila euro)”.

Il pm Gianpiero Golluccio le chiede: ma avevano accento bergamasco? “Parlavano italiano, ma non in dialetto”.

Uno dei banditi si alza per un attimo il passamontagna, Lidia Bortolotti vede il suo viso che riconoscerà tra le foto che le hanno mostrato i carabinieri. E anche successivamente nel carcere di Parma dove si trovava Eugenio Russo, parrucchiere di Monasterolo, secondo l’accusa uno dei componenti della banda. Russo per quel fatto è assolto in appello (in abbreviato era stato condannato a 10 anni).

“Non ho mai dimenticato gli occhi di quello che mi puntava la pistola contro – continua il racconto Lidia Bortolotti – A un certo punto uno di loro mi ha detto che mio marito doveva saldare un debito. Ma questo non è mai emerso. Secondo me hanno agito sapendo che in casa c’erano le casseforti”.

Una talpa? Ma le indagini dei carabinieri non sono riuscite a chiarire. Con Zambetti e Russo, per gli investigatori quella sera doveva esserci anche Alessandro Suardi, condannato a 9 anni. Ai tre, come ha spiegato l’ex brigadiere del Nucleo operativo della Compagnia di Clusone, si è arrivati partendo dall’omicidio di Giovanni Ghilardi, di Nembro, trovato morto nel bagagliaio della sua auto a Gessate.

Ora resta il capitolo che riguarda Mattia Zambetti, in carcere fino al 2025 per due rapine: è difeso dall’avvocato Alessandro Turconi. Per il legale Zambetti era a Albino perché la figlia aveva una visita medica. Ma per l’accusa si trovava li per un sopralluogo. Alla prossima udienza sarà presente proprio Zambetti, in programma il 23 novembre alle 10.30, che ha già annunciato che farà delle dichiarazioni spontanee.

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