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L'analisi

Dopo il tonfo alle urne, la Lega punta sul Congresso per riconfermarsi in Regione

E mentre impazza il toto nomi per il Governo a guida Meloni, il Carroccio si divide tra chi difende Salvini e chi vorrebbe un nuovo leader

Bergamo. Due movimenti di rottura, con due intenzioni quantomeno in partenza simili, ma epiloghi differenti. E un terzo partito che definire redivivo è poco.

I risultati elettorali dello scorso 25 settembre, oltre all’exploit della Giorgia nazionale, ci hanno regalato due sorprese. Forse. Da un lato il tonfo della Lega, lontanissima dal 34% tanto evocato nel pratone di Pontida, e la riconferma del Movimento 5 Stelle. E se l’Italia è praticamente stata consegnata a un partito schizzato in 9 anni da un misero 1,9% del 2013 al 26%, per il Carroccio, in particolare, è tempo di analisi.

Salvini & company erano probabilmente quasi certi di non riuscire a replicare le imprese degli antichi splendori, ma di certo non si aspettavano una caduta libera e, leccandosi le ferite, si comincia a guardare al futuro, al congresso in particolare, che si terrà a Bergamo il 20 novembre, sbirciando da lontano anche alle Regionali. Del resto gli equilibri sono oggi più che mai in bilico e, anche se c’è chi giura che nulla è cambiato e nulla cambierà, c’è anche chi sceglie la via di mezzo, come Molinari che tenta un’estrema difesa del “Capitano” dicendo che “lui non voleva entrare nel governo Draghi e che le colpe sono di tutti, perché qualcuno della segreteria politica lo ha indirizzato a scelte sbagliate”, e chi, invece, grida già al cambio di guardia. In particolare, l’urlo di Munch, è a firma Roberto Maroni che si lascia andare a un vero e proprio sfogo, probabilmente lo stesso che viene dalla pancia dei militanti, chiedendo un nuovo leader per la Lega.

Tanti pensieri, tante anime, c’è da giurarci, in un momento in cui la barra va certamente tenuta dritta, ma i malumori sono tanti. Confusi e non felici? Bhé, l’amarezza è palpabile, anche se, almeno per chi guarda da fuori, l’impressione, e magari anche la volontà, è quella di tornare a brillare di luce propria, traghettati verso la meta dagli stessi intenti. Questo è quanto è emerso dalla riunione fiume di via Bellerio di qualche giorno fa, incontro in cui si è deciso di ripartire proprio dal territorio, di rinnovare la stagione dei congressi e le cariche, partendo proprio da quelle dei segretari cittadini, mentre quelli provinciali saranno designati entro dicembre e immediatamente a seguire i regionali. Nel federale anche una rinnovata fiducia a Salvini che, per primo, sul palco di Pontida aveva comunque ammesso che la “Lega aveva commesso degli errori”: evidentemente, tanto basta per immaginare di poter fare come la Fenice.

Il tutto mentre Meloni gioca a scacchi con il toto nomi dei Ministri, in un contesto politico dove la sua truppa è in scala tre a uno rispetto ai militanti di via Bellerio, e dove bisognerà capire più che se, come ci sarà spazio per Salvini.

E l’analisi è importante non solo per capire come mai il partito che racconta dell’autonomia come priorità da inserire nel primo Consiglio dei Ministri abbia perso così tanti consensi, consegnandoli praticamente nelle mani di Fratelli d’Italia, ma anche per disegnare le strategie del prossimo appuntamento politico, quello delle Regionali, del prossimo marzo, palcoscenico peraltro in cui dovrebbero giocare un ruolo da protagonisti anche i primi dei non eletti di questa tornata elettorale, oltre che gli illustri esclusi a priori, Belotti in primis. Il leghista per antonomasia, l’uomo del partito, che solo qualche giorno fa ha ripostato sulla sua pagina Facebook il suo intervento del 2013, con lo scopo di sottolineare come, in un momento difficile come questo, “sia importante riascoltarlo perché attuale, visto che si parla di meritocrazia, partecipazione, trasparenza, scelta dei candidati e leccaculi”.

Difficile infatti immaginare una reggenza a simbolo Lega, così come sembra si allontani l’ipotesi di una possibile candidatura della Moratti, data più papabile al Ministero dell’Innovazione in Mind a Milano. Ma la regia non è ancora partita, la sceneggiatura è agli albori e questo è il tempo delle riflessioni.

Del resto i numeri parlano chiaro e raccontano di un bilancio che ha tutto il sapore e la consapevolezza dell’amarezza: basti pensare che al Senato la Lega fa il 17,2%, contro il 34,1% di cinque anni fa in provincia. Più o meno stessa forbice nel collegio di Treviglio e nelle valli e peggiora in città dove scende sotto il 9%.

E se da un lato il Carroccio va in analisi, dall’altro i pentastellati esultano. E lo fanno tra lo stupore un po’ di tutti, consapevoli che la scissione di qualche mese fa che aveva appunto sancito il divorzio tra Conte e Di Maio non ha praticamente scalfito la base di un movimento che, piaccia o non piaccia, al sud Italia ha fatto il botto. Con Di Maio fuori dal Parlamento, primo partito in Campania e Puglia, con affermazioni in molti collegi uninominali di Napoli e provincia e a Foggia. Un risultato frutto probabilmente dell’innamoramento verso il reddito di cittadinanza e che ha portato il movimento di Grillo a incassare ben 51 seggi a Montecitorio e 28 a Palazzo Madama.

Chi invece sembra un evergreen, come del resto il suo “presidente”, è Forza Italia che, contrariamente al sentore comune, è stato capace di rifiorire in un periodo in cui la luce pareva piuttosto fioca: una rinascita contenuta ma evidente, una tenuta probabilmente inaspettata, conquistata sull’onda di un condottiero che, per perorare la causa, è pure sbarcato su Tik Tok.

E, al di là delle previsioni, degli scenari e delle visioni, così come ama chiamarle qualcuno, l’unica certezza, al momento, è che la nostra provincia si è impoverita, facendoci mestamente scavalcare dai cugini bresciani e passando da ben 18 parlamentari a 9.

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