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L'intervista

La ricercatrice al nuovo governo: “Servono garanzie per il futuro e più stabilità”

Ne parliamo con Silvia Ceruti, dottoranda di ricerca in medicina clinica e sperimentale e medical humanities

La tornata elettorale si è conclusa e l’Italia è pronta a iniziare una nuova legislatura. Il nuovo governo sarà chiamato ad affrontare numerosi problemi come il caro bollette e la questione energetica, il lavoro, l’ambiente, le nuove povertà e molto altro ancora. Il periodo che stiamo vivendo è segnato da parecchie criticità sia a livello internazionale, con il perdurare della guerra russo-ucraina, sia su scala nazionale ed europea. In un contesto così complicato, quali sono le priorità su cui concentrarsi? Abbiamo pensato di chiederlo a una ricercatrice bergamasca, considerando che la ricerca ha un ruolo strategico fondamentale per il presente e il futuro del Paese. Si tratta di Silvia Ceruti, dottoranda di ricerca in medicina clinica e sperimentale e medical humanities. Laureata all’Università degli Studi di Bergamo in diritti dell’uomo ed etica della cooperazione internazionale, svolge attività di ricerca in bioetica, in modo particolare nell’ambito della sperimentazione, e collabora con diversi comitati etici.

Quali sono, secondo lei, le priorità per il Paese?

Nel mondo della ricerca si percepisce una grande precarietà: c’è molta insicurezza sul presente e sul futuro. I dottorati di ricerca hanno una durata triennale e, al termine, ci sono parecchie incognite sia per quanto riguarda le possibilità e le opportunità in ambito accademico sia a livello economico. Generalmente quando si svolge questo percorso si beneficia di una borsa di studio, dopodiché c’è il vuoto: non si sa che fine si farà. Questo problema porta tanti giovani ricercatori ad andarsene dall’Italia perché all’estero possono usufruire di condizioni lavorative ed economiche più favorevoli. Spesso se ne vanno i migliori, che ricevono parecchie richieste da centri, strutture e università di altri Paesi.

È la cosiddetta “fuga dei cervelli”

Esattamente. Non è un problema che riguarda solo i grandi scienziati che hanno fatto scoperte eccezionali, ma anche i tanti ricercatori che non trovano opportunità di carriera. È un grande peccato perché in questo modo il nostro Paese si indebolisce: diventiamo meno competitivi a livello mondiale. Va considerato, inoltre, che lo sviluppo di progetti di ricerca richiede continuità di lavoro: per realizzarli e ottenere risultati generalmente serve tempo e se chi li segue lascia il proprio incarico per andare altrove, sicuramente, tutto diventa più complicato.

Potrebbe farci alcuni esempi?

La messa a punto dei vaccini anti-Covid è stata la dimostrazione di quanto sia importante la continuità del lavoro. Sono arrivati in un anno perché in precedenza sono stati condotti altri studi e le conoscenze erano già a buon punto. Non sono piovuti dal cielo e non sono stati inventati nell’arco di pochi mesi, ma sono stati il frutto di lunghe ricerche.Poter contare su cospicui finanziamenti e sull’impegno degli Stati per far fronte alla pandemia ha inoltre permesso di accelerare la sperimentazione.

Quali altri problemi ritiene prioritari?

Svolgendo ricerca in ambito bioetico, lavoro a stretto contatto con l’area sanitaria e mi preoccupa l’approccio con cui i partiti – trasversalmente – molte volte trattano problemi importanti. Per esempio, quando parlano dell’abolizione del numero chiuso per accedere alla facoltà di medicina si ha la sensazione che non tengano conto di tutta una serie di fattori: viene presentata come la soluzione per avere un maggior numero di medici, ma prendere un provvedimento come questo senza programmare in modo preciso una riforma dell’università è problematico da diversi punti di vista.L’impressione è che vengano fatte promesse o proposte che paiono rispondere a esigenze nel breve periodo senza considerare che certi cambiamenti richiedono una visione a lungo termine, riforme strutturali e investimenti. Si parla di una singola operazione senza guardare al contesto e in questo modo si rischia di creare un buco nero che assorbe risorse senza portare risultati.

Ci spieghi.

Ci sono diverse problematiche riguardo alla sostenibilità di questa proposta. Innanzitutto, in termini di tempistica, va precisato che non dà una risposta immediata: avremmo più medici fra sei anni, quando gli studenti di medicina termineranno gli studi. Ma soprattutto,a livello organizzativo, per attuare un provvedimento come questo servono risorse e strutture. Un conto è formare 500 medici un altro 1.500: è necessario essere attrezzati sia in termini logistici sia di persone. Bisogna avere aule e laboratori sufficienti in cui tenere le lezioni e un numero di professori adeguato per fornire una preparazione di qualità ai futuri medici e operatori sanitari, altrimenti si rischia di offrire ai cittadini un servizio peggiore. Banalmente, se i professori rimangono nel numero attuale dovranno usare metodi come i test con risposte multiple,“a crocette”, per esaminare gli studenti, non avendo tempo sufficiente per esaminare in modo approfondito tutti, e non so quante persone vorrebbero affidarsi a un medico che è diventato tale rispondendo a domande a crocette. La sensazione è che proposte come questa vengano formulate guardando agli umori dell’elettorato senza valutare tutto ciò che ne implicherebbe l’effettiva realizzazione.

Un’altra criticità è la mancanza dei medici di base.

È un problema molto sentito: diversi Paesi ne sono sprovvisti e molti pazienti non hanno il medico di base. A mio avviso, per favorirne la presenza è necessario potenziare i servizi a livello territoriale e, anche in questo caso, servono risorse: non si può pensare che la soluzione sia “spremere” quelli che rimangono altrimenti peggiorerebbe la qualità che sono in grado di offrire. Inoltre, a livello universitario, bisognerebbe rendere più appetibile la scelta di dedicarsi a questa professione, speso considerata la “Cenerentola” delle specialità.

Per concludere, una considerazione economica: l’Italia investe troppo poco nella ricerca, servono più fondi?

Si, avere risorse adeguate è fondamentale per sviluppare i progetti e ottenere risultati. Investire sulla ricerca è fondamentale in tutti i settori, per il presente e il futuro del Paese. Pensiamo, per esempio, al ruolo che l’innovazione ha nel campo dell’energia, per puntare sulle fonti rinnovabili, ma anche nei settori legati alle nuove tecnologie e all’intelligenza artificiale. Le potenzialità sono enormi, così come le applicazioni pratiche, che riguardano ognuno di noi. Anche in ambito umanistico, che in apparenza potrebbe sembrare più astratto, c’è uno stretto legame tra la ricerca e la nostra vita. Lavorando nell’ambito della bioetica, mi occupo di temi delicati come il fine vita: la ricerca permette di porsi domande e di avere a disposizione i dati necessari per formulare proposte sostenibili e utili, altrimenti quando si parla di questi argomenti si farebbe solo propaganda politica.

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