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Cinema

La recensione

“Ti mangio il cuore”: un amore shakespeariano tra i contrasti della Quarta mafia

Il bianco e nero di Mezzapesa mostra la faida del Gargano tra le famiglie Malatesta e Camporeale, tra uccisioni e vendette. Buon debutto da attrice per Elodie

Titolo: “Ti mangio il cuore”

Regia: Pippo Mezzapesa

Paese di produzione/anno/durata: Italia/ 2022/115 minuti

Interpreti: Elodie, Francesco Patanè, Lidia Vitale, Francesco Di Leva, Tommaso Ragno, Giovanni Trombetta, Letizia Cartolaro, Michele Placido, Brenno Placido, Giovanni Anzaldo, Gianni Lillo.

Programmazione: Capitol Multisala Bergamo, Treviglio Anteo spazioCinema, Uci Cinemas Curno, Uci Cinemas Orio

In latino, crudo (crūdus) deriva dalla stessa radice di sangue (cruor). Anche per questo, forse non esiste miglior aggettivo per descrivere “Ti mangio il cuore”, mafia movie di Pippo Mezzapesa, in concorso nella sezione Orizzonti alla 79° Mostra del Cinema di Venezia e in sala dal 22 settembre.

Cruda è l’antica faida tra le famiglie Malatesta e Camporeale, crudo è l’arcaico territorio del Gargano, crudi sono i rapporti famigliari, crudo è anche l’amore che nasce tra Andrea, erede dei Malatesta, e Marilena, moglie del boss dei Camporeale.

Una faida interna alla Quarta mafia, tra due famiglie del Gargano che non sembra vedere altra soluzione che quella del sangue, dove la giustizia viene fatta solo a colpi di armi da fuoco, con il capofamiglia Michele Malatesta che nel 2004 vendica l’eccidio di tutta la sua famiglia, avvenuto nel 1960, sterminando, uno dopo l’altro, i Camporeale.

Una trama shakespeariana dalla quale prende vita l’amore tra Andrea Malatesta e Marilena Camporeale. Un amore improvviso, passionale, incurante delle convenzioni sociali, che vede il più giovane dei Malatesta innamorarsi perdutamente della moglie di uno degli avversari, interpretata da Elodie. Un rapporto intollerabile per entrambe le fazioni, perché si distoglie dai codici arcaici che permeano la vita delle due opposte famiglie.

Nel film tutto è rituale, dalle processioni alle esecuzioni, dalle decisioni alle morti. La religione stessa sembra essere circoscritta ad un rito arcaico, senza tempo, che nasconde codici ben precisi che segnano la vita sociale e il prestigio delle due famiglie. Una religione rispettata solo di facciata, mentre pure le icone della Madonna vengono distrutte tra proiettili e sangue, in nome del dio denaro e del prestigio sociale.

Un prestigio che si riflette anche nei rapporti tra le famiglie e all’interno di esse, con una faida che condiziona ogni singolo rapporto, che non può però andare oltre lo stretto rispetto delle convenzioni sociali.

Se da un lato sono gli uomini che tengono alto l’onore delle rispettive famiglie attraverso lo scorrere del sangue, dall’altro le donne catalizzano i rapporti di forza all’interno della pellicola. Figure di donne e madri forti, a tutto tondo, come quelle di Marilena Camporeale (interpretata da Elodie) e Teresa Malatesta (Lidia Vitale).

Nuova Malena, Marilena Camporeale è una donna seducente, che attira gli sguardi degli uomini. Mezzapesa, attraverso alcuni particolari, indugia sull’incedere di Marilena in processione, attorniata dalle altre donne, tutte con il viso coperto dal velo.

Basta qualche secondo, però, per mostrare la disarmante bellezza di Marilena/Elodie e la sua espressività. Quasi un’apparizione mariana, quella della moglie del boss Camporeale, fedele ai codici religiosi ed a quelli sociali. Il personaggio di Marilena prende poi forza durante la narrazione, mostrando una donna che lascia il velo, simbolo di dogmi più laici che religiosi, per lasciarsi andare ad una passione che può distruggere la propria reputazione e la propria vita.

Una scelta però consapevole, un atto d’amore verso il più giovane della famiglia rivale dei Malatesta, folgorato dalla vista di Marilena in processione. Malena lascia quindi il passo ad una donna risoluta, determinata, che prende in mano il proprio destino e quello dei suoi figli, capace di ribellarsi ai capifamiglia fino a diventare, come rivela lo stesso regista, la prima pentita di mafia del Gargano.

Contrapposta a Marilena è Teresa Malatesta, interpretata in maniera ottimale da Lidia Valle. Teresa è donna e madre, capace di tenere unita tutta la famiglia tra le mura di casa, sia nei momenti di lutto che di rivalsa. Una donna forte anche nel dolore, in grado di prendere decisioni in maniera risolutiva, capace di accogliere Marilena, anche e soprattutto per il bene del figlio. Andrea Malatesta che, pur maturando in un crescendo di morti e violenze, non sembra mai diventare personaggio a tutto tondo, quasi vittima inconsapevole della propria crudeltà, schiacciato dallo spettro ingombrante del padre.

Violenza e crudeltà che sfociano nel sangue. Esecuzioni programmate e sparatorie, quasi rituali sacrificali, con il sottofondo musicale delle hit radio dei primi anni Duemila, a caratterizzarne l’ambientazione storica, ma anche la straniante normalità. Violenza immersa nel terreno di una Puglia rurale, fatta di case di campagna e piccoli allevamenti di pecore e maiali, dove le faide nascono appunto per questioni di abigeato, il furto di bestiame. Un promontorio, quello del Gargano, aspro e crudo, ma che racchiude in sé anche bellezza. Un terreno ancestrale, a tratti animalesco.

Crudeltà descritta anche attraverso il bianco e nero utilizzato dal regista. Uno stile elegante che, tra i piani-sequenza e numerosi fuoricampo, attraversa tutto il film, sottolineando i forti contrasti presenti. Contrasti che sono cuore della trama e del girato, grazie anche alla fotografia di Michele D’Attanasio. Contrasti che si fanno vita vissuta, grazie alle sottolineature dei lineamenti sui volti dei protagonisti, che i primi piani e il bianco e nero fanno risaltare in maniera intensa. Primi piani che sono ritratti, di volti scavati e spigolosi, quasi a sottolineare come la violenza sia insita anche nella bellezza.

Una violenza che sfocia nel sangue, che sgorga, nero, verso una terra arida che lascia poco spazio ai sentimentalismi. Violenza cruda che vuol farsi guardare, ma che è difficile preda di immedesimazioni e che poco lascia pensare a ciò che la circonda. Perché in realtà è fuori che bisogna volgere lo sguardo, oltre un ambiente familiare quasi senza tempo, dove l’aspra crudeltà della vita potrà sentire di nuovo il battito del cuore.

Guarda il trailer.

 

ti mangio il cuore
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