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Confcooperative Bergamo

L'analisi

Confcooperative: “Richiedenti asilo, un sistema che va rivisto”

Il sistema dell’accoglienza italiana si fonda su due principali strumenti, il Sai (Sistema accoglienza e integrazione che ha sostituito il vecchio Sprar) e i Cas, i Centri di accoglienza straordinaria

L’accoglienza di chi cerca protezione internazionale è un obbligo sancito dalla legge, ma soprattutto è una scelta di civiltà che comporta, per gli Stati che accolgono richiedenti asilo, un sistema in grado di assicurare alla persona non solamente i servizi base, ma anche l’accesso a un percorso di reale inclusione sociale.

“L’attuale situazione non consente che ciò avvenga, eccessiva burocratizzazione e rigidità nella rendicontazione dissuadono gli enti locali ad accedere ai bandi del Sistema accoglienza e integrazione, rendendo i Centri di accoglienza straordinaria lo strumento primario, senza però che questi garantiscano una reale presa in carico”, dichiarano Confcooperative Bergamo e le imprese sociali del territorio che si occupano di migrazione, insieme alle altre realtà locali, di offrire i servizi ai richiedenti asilo. Il sistema, dunque, va rivisto, anche perché oltre che un dovere morale e civico, l’integrazione dei migranti può essere anche una leva per dare un impulso concreto alla crescita economica del Paese.

Accoglienza italiana, tra Sai e Cas

Il sistema dell’accoglienza italiana si fonda su due principali strumenti, il Sai (Sistema accoglienza e integrazione che ha sostituito il vecchio Sprar) e i Cas, i Centri di accoglienza straordinaria.

Il Sai fa capo al ministero degli Interni che periodicamente bandisce gare alle quali gli enti locali sono chiamati ad aderire, insieme agli enti del terzo settore: “Si tratta di una misura dai numeri contenuti – sottolinea Omar Piazza, vicepresidente di Confcooperative Bergamo – circa 40mila posti in tutta Italia. Si tratta di accoglienza diffusa, con una presenza integrata nelle comunità di pochi migranti: piccole strutture ricettive, dove vengono attivati servizi realmente inclusivi, dall’insegnamento della lingua italiana alla mediazione culturale. Questa è la caratteristica principale che rende il Sai uno strumento che punta alla reale integrazione sociale”.

L’adesione, tuttavia, è volontaria da parte dei Comuni e procedure di presentazione dei progetti particolarmente cavillose e rendicontazione eccessivamente rigida, secondo Piazza, dissuadono gli enti pubblici dal partecipare: “Naturalmente la rendicontazione deve essere rigorosa – ribadisce – ma non può essere tale da bloccare le attività. Negli anni, abbiamo lavorato con i Comuni bergamaschi per promuovere la conoscenza e l’adesione alle progettualità del sistema SAI, ma è necessario intervenire a monte sulla misura ”.

Al Sai, si affiancano i Cas, i Centri di accoglienza straordinaria: “che si articolano molto spesso in strutture collettive che possono arrivare a riunire in un unico luogo anche 3mila persone, con la garanzia dei soli servizi primari, cioè mangiare, dormire, vestirsi. Sono in larga parte escluse o sostanzialmente non riconosciute cioè, tutte le attività che creano le basi per una concreta integrazione, come l’orientamento formativo e lavorativo, l’insegnamento della lingua italiana e così via. L’integrazione, in queste condizioni, è pressoché impossibile”.

Anche perché, in Italia l’iter per l’ottenimento (o il diniego) dello status di rifugiato politico, valutato dalla commissione territoriale, arriva a comportare anche due anni di tempo. In questo lasso di tempo, il richiedente asilo resta così “congelato” per anni nel Cas, con assenza di riconoscimenti dei suoi diritti. Al termine della valutazione, che spesso si conclude con il respingimento della domanda di asilo, i cittadini migranti di fatto restano sul territorio, alla mercé del ricatto della criminalità.

Accoglienza, i numeri e i servizi provinciali

Su scala provinciale, il sistema delle cooperative ha dato costantemente un contributo fattivo al fine di ampliare i numeri dell’accoglienza del Sai: se dal 2006 al 2016 c’era un solo progetto Sai con 38 persone coinvolte, a oggi la rete dei progetti di accoglienza conta 220 posti per adulti, 30 per minori non accompagnati, distribuiti su una trentina di comuni. A oggi i numeri sono quasi quintuplicati.

“Le cooperative del territorio, in coordinamento con gli altri enti locali e i soggetti che si occupano di migranti, come la Caritas, da anni erogano i servizi per creare basi solide per una vera accoglienza – sottolinea Daniela Meridda, presidente della cooperativa Ruah – dagli anni ‘90 siamo ingaggiati per rispondere ai primi bisogni dei richiedenti asilo che arrivano nella Bergamasca, con la scuola di lingua italiana, la mediazione culturale e tutta un’altra serie di attività per una reale accoglienza”.

L’integrazione, secondo i referenti di Confcooperative, si fa gettando basi solide per un percorso che consenta alle persone di avere un ruolo attivo nelle comunità. “Per questa ragione siamo convinti che il Sai sia lo strumento, al momento, più idoneo – sottolinea Meridda – anche se lo stesso necessita di essere rivisto. Perché burocratizzazione e controlli eccessivi dissuadono gli enti locali ad accedere ai bandi ministeriali”.

Meridda e Piazza concordano: “Crediamo che il Sai sia il punto di partenza di un’accoglienza che sia realmente inclusiva, ma siamo convinti che sia necessario migliorare questa misura, mantenendo i giusti livelli di controllo, ma abbassando la burocrazia in capo agli enti e assicurando coperture economiche e riconoscimento adeguato agli operatori”.

Accoglienza, un dovere morale, un’occasione di crescita

L’accoglienza di chi chiede protezione è un obbligo sancito dalle leggi internazionali a cui l’Italia ha aderito liberamente, ma soprattutto è una scelta di civiltà, poiché garantisce rifugio a chi scappa da guerre e carestie.

Se primariamente l’accoglienza è un dovere morale, oltre che civico, può essere anche una leva per dare un impulso concreto alla crescita economica: “In un Paese come il nostro, caratterizzato da un crescente “inverno demografico”, accogliere nel giusto modo persone che possono utilmente inserirsi nel mercato del lavoro è quindi anche un modo di far diventare una supposta emergenza in un’occasione di accoglienza e di crescita”, aggiunge Lucio Moioli, segretario di Confcooperative Bergamo.

“Il tema delle persone migranti non può non chiamare in causa la cooperazione, in particolare la cooperazione sociale. A Bergamo, storicamente, c’è stato un lavoro di qualità delle cooperative, in connessione con Caritas, che ha sempre ricevuto riconoscimenti a livello regionale e nazionale. A oggi, però, questo sistema risulta in crisi. C’è stata una drastica riduzione del sostegno agli strumenti di accoglienza, perché ideologicamente alcune parti politiche e dell’opinione pubblica non rappresentano il tema della migrazione se non come emergenza sociale”.

Da qui la necessità della modifica strutturale di Sai e Cas. “Se storicamente Confcooperative e le singole imprese hanno assicurato il proprio contributo – conclude Moioli – senza un intervento significativo all’attuale sistema dell’accoglienza, non saremo più nelle condizioni di assumerci economicamente un impegno diventato a oggi eccessivamente gravoso e progettualmente inefficace”.

Oltre alla revisione del sistema dei servizi di accoglienza sarebbe necessario un ripensamento complessivo del fenomeno migratorio, evitando che l’unico canale di arrivo in Italia sia costituito dalla richiesta di asilo politico, ma ripristinando un canale legale e sicuro di accesso come quello del meccanismo dei flussi di ingresso.

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