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A 10 anni dalla morte

Umiltà e ascolto: la saggezza e la libertà del Cardinal Carlo Maria Martini fotogallery

Un ricordo del Cardinal Carlo Maria Matini dall’Istituto Biblico di Gerusalemme scritto dal gesuita bergamasco Francesco Cavallini sj

Gerusalemme. Oggi come le estati di tanti anni, mi trovo all’Istituto Biblico di Gerusalemme al termine dei pellegrinaggi estivi per giovani in Terra Santa. Proprio nel tempo estivo passato qui a Gerusalemme prima e dopo i pellegrinaggi ho avuto modo di condividere diverso tempo con il Cardinal Carlo Maria Martini negli anni che visse qui, tra il 2003 e il 2008. Le chiacchierate a tavola, i colloqui personali, gli incontri con i pellegrini che accompagnavo, le brevi passeggiate, le conversazioni in compagnia dopo cena, le confessioni.

Il mio ricordo si rifà principalmente a quel tempo e poi alle visite nel suo ricovero a Gallarate.
In occasione dei dieci anni dalla morte condivido ciò che in quelle estati ho colto di lui. Martini era una persona interiormente libera. Lui diceva grazie alla esigente formazione ricevuta in
gioventù dai gesuiti da una parte e alla meditazione della Parola di Dio dall’altra. Martini era una delle persone più sagge che io abbia mai incontrato. Capace di parlare al cuore delle persone in modo incarnato. Standogli vicino ho capito che il suo segreto era l’umiltà e l’ascolto o meglio, l’ascolto in quanto umile. Ascolto delle persone. Non parlava mai di sé quando c’era qualche ospite a tavola ma sia che fosse un politico internazionale o una persona molto semplice con un lavoro comune, lui ascoltava la vita degli altri, si informava sulle gioie e sulle fatiche delle persone, su cosa portavano nel cuore nel vivere la vita che vivevano. Ascoltava con interesse e profondità come per riconoscere le dinamiche dello Spirito nelle vite complesse delle persone. E poi Ascoltava la Parola di Dio, meditava in silenzio a lungo la Parola di Dio. Ascolto della Vita e ascolto della Parola lo rendevano saggio, illuminato e per questo il suo parlare era sempre di qualità che illuminava la vita concreta delle persone.

Faceva i suoi Esercizi Spirituali annuali al Monte Tabor e in quegli anni meditava sulla morte. Fu il tema di uno dei primi incontri con i giovani pellegrini che gli facevo incontrare. La sua fatica di accoglierla, il suo dialogo interiore critico e serrato con Gesù circa la morte e poi consegnarci una perla del suo percorso spirituale secondo il quale riconosceva nella morte il gesto estremo di affidamento radicale a Dio della propria vita. Affidamento che durante la vita è sempre fino ad un certo punto perché chiunque si “aggrappa” a qualcosa d’altro. Nel passaggio della morte si vive il consegnarsi, affidarsi radicale di sé a Dio, che è liberante per chi crede, che è stata la vita di suo figlio Gesù.

Era innamorato della Parola di Dio. Era uno dei più grandi studiosi del testo biblico vivente. Si appassionava a studiare il testo, le parole, l’origine, l’evoluzione, le varianti che nei secoli hanno poi
determinato il tal testo biblico. Gli sembrava di interagire con la storia millenaria e il cuore di generazioni e generazioni di uomini. Aveva una relazione viva con il testo sacro, come fosse una persona. A volte bisognava andarlo a chiamare per il pranzo perché talmente coinvolto nello studio che si dimenticava l’ora del pranzo.
In quegli anni stava lavorando sulla “Prima lettera di Pietro” che poi generò il libro “Il Segreto della prima Lettera di Pietro”. Segreto che io riassumo nell’esperienza spirituale della “consolazione senza causa”, cioè quella pace del cuore, quella speranza, quella generosità che una persona può sperimentare nel suo intimo malgrado i guai, le sofferenze, gli ostacoli. È di chi sta al mondo per e con amore, malgrado le fatiche. È un’esperienza concreta di Dio.

Pur essendo un grande studioso della Bibbia aveva una grande sensibilità apostolica, di annuncio della fede, di trasmissione della luce che gli proveniva dalla mediazione della Parola agli altri, in particolare ai giovani. E io dico…non è strano che uno che meditata per davvero la Parola non desideri farne conoscere la potenza creativa e rigenerativa. Anche se spesso tra gli studiosi e professori non è così.

Era l’estate 2006 quando con il confratello p. Georg Sporschill scrisse il libro intervista “Conversazioni notturne a Gerusalemme” che poi venne pubblicato nell’autunno 2007. Quell’anno a motivo della guerra con il Libano e gli Hezbollah e i lanci di missili sulla Galilea i pellegrinaggi si annullarono e io rimasi un mese e mezzo di fila al Biblico dando una mano con piccoli lavori di casa. In giardino c’era questo confronto con p. Georg e poi lo riprendevamo a cena e dopo cena quello che era emerso durante l’intervista o meglio… la conversazione. In questo libro si vede tutta la sua sensibilità apostolica. Credeva che lo Spirito fa nuove tutte le cose e la Tradizione si mantiene viva se si sa rinnovare con i tempi, credeva in una Chiesa più capace di ascoltare e discernere l’azione dello Spirito di Dio nel mondo e quindi capace di dialogo con tutti e senza arroccamenti dogmatici sterili. Una Chiesa che fosse veicolo della Buona Notizia e dell’azione vivificante dello Spirito e non un impedimento.

Tra le altre cose credeva alla possibilità che ci fossero dei preti sposati, che il celibato fosse davvero una scelta libera e non solo formalmente libera come ora. A tal proposito mi confidava il suo dispiacere come Vescovo di aver dovuto accogliere varie rinunce di sacerdoti che lui riteneva ottimi a motivo che si fossero innamorati e iniziato una vita di coppia. Così come mi confidava quanto in alcuni ambienti l’esagerata attenzione alla morale sessuale avesse fatto male a tanti giovani le cui fatiche si ripercuotevano poi anche sulla vita matrimoniale.

Alla sera, in piccoli gruppi, interpellato ci raccontava gli anni come vescovo a Milano e parte di ciò che aveva vissuto ed anche le sue intuizioni e iniziative pastorali. Ma di queste ci sono tante altre autorevoli testimonianze che in questi giorni vengono rilanciate.

Un gigante della Fede, per molti un “Dottore della Chiesa”, una persona di cultura infinita, forse la più saggia che abbia mai conosciuto proprio perché ha coniugato alle competenze dello studioso la meditazione prolungata della Parola di Dio e l’ascolto autentico, profondo, libero, delle persone. Due atteggiamenti sempre rari e sempre necessari, in tutti e in particolar modo nella Chiesa a partire dalla gerarchia e in ogni cristiano.

Quando passo da Milano con nostalgia e gratitudine sosto sulla sua semplice tomba nel Duomo sulla quale c’è scritto un versetto del salmo 119: “lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”.
Racchiude la fonte della sua libertà e della sua saggezza.

*Francesco Cavallini sj, gesuita bergamasco

Francesco Cavallini sj
Francesco Cavallini sj, nel refettorio del Biblico di Gerusalemme, dove si sedeva il Cardinal Martini. Dietro c'è un opera in terracotta in suo ricordo con Gesù
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