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Bergamo segreta

Una vetta da scalare: il Monumento all’Alpino di Bergamo e la sua tumultuosa realizzazione

Simbolo del legame che unisce il capoluogo orobico alle Penne Nere, l'opera svetta all'interno dell'omonimo piazzale vicino alla stazione

Bergamo. “Le penne nere bergamasche questo monumento dedicano all’inclita memoria degli alpini d’ogni grado e specialità, caduti combattendo, morti in prigionia, dispersi”.

Recita così la pergamena inserita il 31 gennaio 1960 all’interno della prima pietra del Monumento all’Alpino di Bergamo.

Simbolo del legame che unisce il capoluogo orobico alle Penne Nere, l’opera svetta all’interno dell’omonimo piazzale offrendo così un importante contributo nel coltivare la memoria dei caduti delle due Guerre Mondiali.

Nonostante la sua imponenza, il monumento nasconde dentro di sé una storia tribolata che l’ha condotto alla sua realizzazione nei pressi dell’Istituto Tecnico Commerciale e Turistico Statale “Vittorio Emanuele II”.

L’idea di realizzare una scultura di questo genere nacque infatti dalla necessità di rimpiazzare il monumento dedicato al 5º Reggimento Alpini risalente al 1922 e posto sino al 1938 nella piazzetta adiacente l’Accademia Carrara.

Il trasferimento di quest’ultimo a Milano e il sacrificio compiuto dai soldati bergamaschi durante il Secondo Conflitto Mondiale accese il proposito di realizzare una struttura che potesse omaggiare nel migliore dei modi i morti di tutte le battaglie dando così vita alla mozione presentata al Consiglio Sezionale il 24 febbraio 1957.

Nel provvedimento venivano avanzate diverse proposte che andavano dall’erezione del monumento all’interno dei Giardini Lussana alla creazione di una costruzione di maggior imponenza che unisse il fine prefissato all’utilità e alla valorizzazione artistico-turistica della città.

A tal proposito venne avanzata la proposta di costruire una “maestosa gradinata in marmo” che potesse congiungere la parte alta della città con quella bassa partendo dal monumento ad Antonio Locatelli e incidendo sui vari gradini i nomi “dei battaglioni alpini, delle loro medaglie d’oro e di tutti i loro caduti.

Tutto ciò sarebbe stato giustificato in quanto “quella di Bergamo, è la provincia più decorata d’Italia; le sue valli hanno sempre alimentato in ogni tempo i bei battaglioni del 5o Alpini: l’ ‘Edolo’, il ‘Tirano’, il ‘Morbegno’ ”.

Nonostante l’entusiasmo iniziale, la proposta vincente risultò la prima come confermato dall’apposita commissione e dal Comune di Bergamo che dimostrò sin dall’inizio ampia disponibilità per la buon riuscita dell’iniziativa complice l’appartenenza agli Alpini sia dell’allora sindaco Constantino Simoncini che di buona parte del Consiglio Comunale.

L’iniziativa venne appoggiata da un piano finanziario che prevedeva una spesa di circa quindici milioni di lire raccolti da una parte attraverso il contributo degli oltre 9.000 soci bergamaschi che avrebbero dovuto versare 1.000 lire a testa, mentre i restanti sei milioni sarebbero dovuti provenire da contributi di enti e privati.

L’intenzione di completare l’opera entro il 1960 spinse la commissione a indire il 2 maggio 1957 un bando di concorso nazionale per raccogliere una serie di progetti che potessero rispecchiare le richieste della sezione orobica fra le quali l’inserimento di “elementi simbolici tali da suscitare nel pubblico il senso di rispetto e di ammirazione per il largo contributo che le genti bergamasche hanno dato in pace e in guerra alla formazione dei reparti alpini”, ma che al tempo stesso prendesse ispirazione “dalle ormai secolare tradizione alpina della gente orobica, dal suo costante affluire nei reparti alpini che, intitolati ai più cari nomi dei monti e delle valli della chiostra montana viciniora, hanno concorso in ogni epoca con largo contributo di valore di sangue alla difesa della Patria”.

Al termine della selezione, prevista per le ore 12 del 31 dicembre 1958, pervennero ben quaranta bozzetti provenienti da tutta Italia senza che nessuno di essi potesse appieno rispecchiare lo spirito e le direttive impartite dai commissari.

Ciò portò all’istituzione di un concorso di secondo grado fra i sette autori che maggiormente si erano avvicinati alle richieste e fra essi venne scelto il progetto avanzato da un collettivo composto dallo scultore bolognese Peppino Marzott, dagli architetti emiliani Aurelio Cortesi e Nevio Parmeggiani e dal bergamasco Giuseppe Gambirasio.

Nonostante le premesse iniziali, la prima pietra venne posata soltanto il 31 gennaio 1960 in seguito a un adeguamento del bozzetto iniziale e alle indagini sul terreno compiute dal Politecnico di Torino le quali portarono a far schizzare la spesa sino a quarantotto milioni.

La scultura venne così completata entro il 18 marzo 1962 quando Bergamo ospitò la 35a Adunata Nazionale dell’Associazione Alpini durante la quale accorsero circa oltre ottantamila soci provenienti da tutta Italia, ma anche da diverse aree del globo.

Dopo aver raggiunto il centro cittadino, il corteo si raccolse nei pressi del monumento per la cerimonia d’inaugurazione che vide la partecipazione del presidente del Consiglio Amintore Fanfani, del ministro della Difesa Giulio Andreotti oltre che dei membri dell’amministrazione comunale e del vescovo Giuseppe Piazzi.

Quest’ultimo provvide a leggere il telegramma inviato dal papa san Giovanni XXIII prima di benedire il complesso e lasciare spazio all’ordinario militare, monsignor Pintonello, per la celebrazione della Santa Messa seguita dai vari discorsi e dal corteo lungo le vie del capoluogo.

Da quel momento il monumento è diventato un luogo simbolo per Bergamo complice le due guglie alte 20,80 metri ciascuna che emergono “spontaneamente” dalla base, infossata di circa cinquanta centimetri rispetto al terreno, attraverso due imponenti piani inclinati.

All’interno del camino che li separa compare la statua bronzea dell’alpino disegnata da Peppino Marzot, alta 5,20 metri e posta 3,50 metri da terra.

Lo sforzo compiuto dal soldato intento a scalare le irte pendenze che accompagnano alla vetta si riflette nella piscina antistante, mentre le vicende riguardanti degli alpini sono riportate nelle tessere di marmo colorato che compongono la pavimentazione di base così come nei nomi dei battaglioni incastonati nel bordo esterno.

A distanza di sessant’anni il sacrificio di centinaia di cittadini orobici è ancora oggi ricordato nel Monumento all’Alpino, un’opera inconfondibile divenuta fondamentale per non dimenticare oggi come mai gli effetti della guerra.

 

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