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Lavoro

Smart working, dal 1° settembre si cambia: meno burocrazia e accordo individuale tra azienda e lavoratore

Dal 1° settembre lavorare ‘in smart’ – come ci siamo abituati a dire – sarà possibile solo a fronte di un accordo individuale sottoscritto tra dipendente e azienda che dovrà essere comunicato al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in una nuova forma più semplice e meno burocratica

Il lavoro agile così come l’abbiamo conosciuto durante l’emergenza pandemica arriva al capolinea anche per i lavoratori del settore privato (per i dipendenti pubblici il giorno ‘x’ risale al 15 ottobre 2021). La data da cerchiare in rosso sul calendario è quella del 31 agosto.

Dal 1° settembre lavorare ‘in smart’ – come ci siamo abituati a dire – sarà possibile solo a fronte di un accordo individuale sottoscritto tra dipendente e azienda che dovrà essere comunicato al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in una nuova forma più semplice e meno burocratica.

Per tutti i lavoratori dipendenti si torna al regime previsto dalla legge 81 del 2017, sospeso dall’emergenza Covid-19. Lo ha deciso il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Andrea Orlando, che ha emanato il decreto ministeriale di attuazione della norma contenuta nel decreto Semplificazioni, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 19 agosto.

PER LE AZIENDE
Per le aziende viene meno l’onere di inviare al Ministero i singoli accordi con i dipendenti che scelgono di avvalersi dello smart working, una procedura burocratica e onerosa, che viene sostituita dalla comunicazione più snella di un elenco che riporta solo i nominativi di coloro che hanno concordato di lavorare agile e il dettaglio di quanto (tempo) hanno stabilito di farlo.

“Un primo passo – si legge in una nota del Ministero – con il quale si rendono più semplici gli obblighi di comunicazione relativi al lavoro agile anche alla luce dell’esperienza maturata durante la pandemia” rispondendo ad “una specifica richiesta fatta dalle parti sociali nel Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile per il settore privato sottoscritto dal Ministro del Lavoro e dalle parti sociali il 7 dicembre 2021 (link).

PER I LAVORATORI
Per i lavoratori ciò che sostanzialmente cambia rispetto al periodo dell’emergenza sanitaria (terminata il 31 marzo) – in cui il ricorso al lavoro agile era deciso unilateralmente dall’azienda – è la necessaria previsione di un accordo individuale con il datore di lavoro per potersi avvalere del lavoro da remoto. Senza accordo, si torna in presenza al cento per cento. L’accordo individuale deve essere scritto, indicare i tempi di riposo del lavoratore e tutelare il cosiddetto ‘diritto alla disconnessione’ ovvero il diritto del lavoratore di non ricevere o rispondere a qualsiasi e-mail, chiamata, o messaggio fuori dall’orario di lavoro. Può recepire le norme contenute in un regolamento aziendale o in un accordo azienda-sindacato per l’applicazione del lavoro agile.

La ‘palla’ ora passa alla contrattazione tra azienda e lavoratore, nel quadro previsto della legge 81 del 2017.
Due le categorie di lavoratori che già dal 1° agosto hanno fatto i conti con il rientro in presenza, i fragili e i genitori di under 14 che non hanno ottenuto dal Governo la proroga dello smart working al cento per cento. Anche per questi lavoratori il lavoro agile dovrà essere concordato con l’azienda e regolamentato da un accordo individuale.

SMART WORKING, IL PUNTO
Nel 2019, prima che il mondo fosse sconvolto dal coronavirus, gli smart worker in Italia erano meno di 600 mila. Una ricerca del 2021 dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha stimato ad un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, in Italia, 5,37 milioni di lavoratori da remoto, in decrescita nei mesi successivi in parallelo all’allentamento dell’emergenza sanitaria (4,71 milioni a giugno, 4,07 milioni a settembre). A Bergamo su 482 mila occupati la pandemia ha portato a lavorare da remoto oltre 160 mila lavoratori, tenuto conto che le funzioni ‘smartizzabili’ ovvero la mansioni che si possono effettivamente svolgere da remoto rappresentano circa il 30 per cento del lavoro.

Cosa succederà ora? Secondo le proiezioni dell’Osservatorio del PoliMi nel post pandemia i lavoratori smart potrebbero assestarsi a 4,38 milioni, con formule ibride (in alternanza cioè tra lavoro da remoto e in presenza): in media 3 giornate “agili” nelle grandi aziende, 2 nelle Pubblica Amministrazione. Progetti di smart working strutturati o informali riferiti all’Italia, infine, sono presenti nell’81% delle grandi imprese (contro il 65% del 2019), nel 53% delle PMI (nel 2019 erano il 30%) e nel 67% delle PA (contro il 23% pre-Covid).
Gli smart worker – sempre secondo la citata ricerca – hanno sperimentato vantaggi in termini di bilanciamento tra vita e lavoro, efficienza ed efficacia lavorativa, ma anche criticità come calo del
coinvolgimento (engagement), super lavoro (overworking) e stress da utilizzo di strumenti tecnologici (tecnostress).

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