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L'operazione

Flamma riporta in Italia dalla Cina parte della produzione: pronto al via il sito produttivo di Bulciago

L'azienda chimica di Chignolo d'Isola ha acquisito l'impianto lecchese dal colosso farmaceutico israeliano Teva, salvando tra l'altro gli allora 62 posti di lavoro: un'operazione di reshoring che la mette anche al riparo da eventuali chiusure dei mercati mondiali

Agli albori del 21esimo secolo la scelta era stata quella di delocalizzare la produzione, come tanti in quegli anni stavano facendo: dall’Italia alla Cina, a Dalian, metropoli da oltre 6,5 milioni di abitanti nella provincia del Liaoning.

Ora, però, la Flamma spa azienda di Chignolo d’Isola che produce principi attivi e intermedi per l’industria farmaceutica, ha scelto di fare reshoring, riportando in patria una parte della produzione: fondamentale a inizio anno l’accordo per l’acquisizione da Teva, colosso farmaceutico israeliano, del sito produttivo della Sicor Bulciago, in provincia di Lecco, con closing portato a termine nel mese di aprile.

Un’operazione che, tra l’altro, ha consentito di salvare tutti i 62 posti di lavoro che erano stati messi in pericolo dalla crisi attraversata dalla società israeliana, costretta negli anni a operare consistenti ridimensionamenti, tra chiusure e licenziamenti.

Quello di Bulciago, a pochi chilometri dal confine con la Bergamasca e posizionato proprio lungo la Briantea, è diventato così il terzo sito produttivo di Flamma in Italia, dopo quelli di Chignolo e di Isso, ed è ormai prossimo a far ripartire l’attività nel mese di settembre, inizialmente con 44 dipendenti della ex “Sicor”: potenzialmente, come dichiarato dal ceo di Flamma Gianpaolo Negrisoli al Corriere della Sera Economia, l’impianto può dare lavoro anche a 150 profili qualificati, prospettiva occupazionale importante dopo le difficoltà degli ultimi anni, ma che dovrà comunque fare i conti con l’aumento vertiginoso dei costi dell’energia elettrica che nonostante un fatturato in costante crescita (l’azienda ha un giro d’affari di oltre 121 milioni) porteranno a una riduzione dei margini.

L’impianto lecchese ha una capacità produttiva di 600 metri cubi di reazione ed è in grado di recuperare il 95% dei solventi utilizzati, una svolta green e in ottica di economia circolare dalle quale ormai non si può più prescindere.

Il rientro di parte della produzione in Italia, però, non significa dismissione dei siti esteri (oltre alla Cina Flamma è presente anche negli Usa). Anzi. A Dalian, ha svelato sempre Negrisoli al Corriere, l’intenzione è quella di raddoppiare lo stabilimento per fare business in Cina per il mercato cinese.

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