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L'indagine

Giovani e lavoro, il 54% ritiene di non avere una paga adeguata. Quale salario minimo? Da mille a 1.500 euro

Al nostro sondaggio hanno risposto in 226 ragazzi, nati tra il 1989 e il 2004 e residenti in 75 differenti Comuni: il 68,9% ritiene di essere stato sottopagato in passato, quasi la metà di quelli che non lavorano incolpano il sistema per la loro condizione

La stampa nazionale riporta una situazione a dir poco disastrosa circa il rapporto dei giovani italiani con le loro prospettive lavorative: non solo si legge di statistiche preoccupanti circa impieghi e occupazioni degli under 35, ma le esperienze di salari ridicoli e contratti spazzatura di tanti ragazzi e ragazze iniziano a passare dalle bacheche social ai quotidiani. La politica si divide sulle recenti proposte riguardanti tassazione e salario minimo, e il panorama tracciato da tutti i fattori in gioco causa confusione e smarrimento presso i giovani.

Abbiamo quindi pensato di proporre un breve questionario su questi temi, volendo fare il punto della situazione nella nostra provincia per proporre dell’informazione curata e mirata su un campione locale ampio ed omogeneo. Dall’1 al 16 luglio è stato possibile rispondere a un questionario su Google Forms in cui abbiamo chiamato i giovani della provincia a pensare a queste tematiche, e ora si è pronti, con questo articolo, a mostrare una panoramica dei risultati.

La composizione del campione

Le risposte al sondaggio arrivano da 226 giovani nati dal 1989 al 2004, la maggior parte tra il 1999 e il 2001 (36,2%), di cui il 61,9% donne, il 36,7% uomini accanto a un 1,3% di persone che hanno preferito non specificare la loro appartenenza di genere. Essi provengono da 75 comuni e le zone in cui si sono registrate più risposte sono la Bassa e la Val Seriana.

Ben il 42,9% ha completato gli studi secondari superiori, chi al liceo (13,7%), chi presso un istituto tecnico (15,9%) e chi presso un istituto professionale (13,3%). All’interno del campione figura anche chi sta ottenendo una laurea (17,7% in triennale, 6,2% in magistrale) e chi l’ha già ottenuta (15,5% triennale, 9,7% magistrale). Meno elevata, ma non per questo trascurabile, la percentuale di chi ha scelto di conseguire master o seguire altri corsi di perfezionamento post-laurea (2,7%), così come la percentuale di dottorandi di ricerca (0,4%, una sola persona). Quanto al grado d’istruzione, chi si ritiene d’accordo (14,6%) o molto d’accordo (12,8%) nel dire che il suo titolo di studio gli crea problemi nella ricerca di un lavoro è soprattutto chi è in possesso della licenza media o di diplomi superiori non provenienti da un liceo.

Di loro il 69,4% vive con i genitori o comunque mantenuto economicamente in modo parziale o totale, mentre il 22,1% convive con soggetti non a carico (es. coinquilini), il 4,9% convive con soggetti a carico e/o figli e il 3,5% vive solo a sue spese (solo 8 persone, tutte nate prima del 1995).

L’1,8% del campione appartiene alle categorie protette ex art. 18 della legge 68/99 o è tutelato dalla legge 104/92 in virtù di una disabilità fisica o psichica.

Il 25,2% è attualmente disoccupato, e solo il 12,4% ha lavorato in passato. Spicca, tra chi lavora, la cifra di chi è assunto con contratto a tempo determinato soggetto a rinnovo (16,8%). Per il resto, oltre a stagisti o apprendisti (8,8%) e autonomi o freelancer (4%), c’è un 4,4% che ha dichiarato di star attualmente lavorando in nero.

Tra chi non lavora e chi ha lavorato in passato

Di coloro che dichiarano di non aver mai lavorato ben l’85,7% (soprattutto laureandi triennali e liceali) riferisce di aver compiuto questa scelta per dedicarsi agli studi, anche se non manca un 21,4% che vorrebbe lavorare ma non trova un impiego. Questo è ulteriormente dimostrato dal fatto che tra loro il 28,6% cerca attualmente lavoro, e il 35,7% lo ha cercato in passato. Il 46,4% di questi giovani ritiene che il loro non aver mai lavorato sia colpa del sistema/Stato italiano o comunque del tessuto economico-sociale, e sempre il 46,4% di loro è attualmente in necessità di guadagnare.

Di coloro che hanno lavorato in passato il 65,5% ha ricoperto il suo ultimo impiego per una durata inferiore all’anno (oscillando tra le due settimane e gli 8 mesi) e il 41,4% è stato assunto senza nessuna esperienza in merito (la percentuale sale al 58,6% se guardiamo gli assunti il cui titolo di studio non costituiva un requisito fondamentale). Troviamo in questa categoria del campione principalmente tre tipi di professione che spiccano su tutti: cameriere/a (20,6%), barista (13,7%) e commesso/a (10,3%).

Tra le modalità di somministrazione di questo lavoro passato il 44,8% è occupato da contratti a tempo determinato scaduti, ma non mancano anche persone che hanno lavorato in nero (20,7%) o con contratti a chiamata o di apprendistato (27,6%). Ben il 75,8% dichiara che la posizione da lui/lei ricoperta non corrispondeva alla sua vera vocazione nel mondo del lavoro e solo il 13,8% ritiene di aver trovato in un impiego passato il “lavoro della vita”, da cercare e ottenere come obiettivo futuro. Tra loro è ben il 58,6% a cercare attualmente lavoro, e all’epoca del loro impiego l’82,8% era in necessità di guadagnare, percentuale scesa al 72,4% al momento presente.

Chi ha lavorato in passato ha saputo del posto che sarebbe andato a coprire principalmente attraverso due modalità: la conoscenza diretta con altri dipendenti o il passaparola (51,7%) e gli annunci su internet o sui social network (24,1%).

Quanto ai motivi per cui quest’impiego è cessato si trova di tutto, dai contratti a tempo determinato scaduti, al Covid-19, a episodi di violenza fisica e verbale perpetrata dai superiori. A soffrire di queste ultime tristi dinamiche è ancora una volta il settore della ristorazione con la categoria dei camerieri: “Ho avuto attacchi di panico e burn-out” (Donna, 22 anni), “mi hanno strattonato dal braccio perché ero a servire ai tavoli invece che a lavare i piatti” (Donna, 20 anni). Ciliegina sulla torta, il 68,9% ritiene di essere stato sottopagato nel periodo in cui lavorava.

Chi attualmente lavora, problemi e prospettive

La parte più consistente del campione, il 74,7%, lavora attualmente. Solo il 27,2% di loro, tuttavia, considera il suo attuale impiego come il “lavoro della vita” che li realizza professionalmente e, di contro, il 56,2% è rassegnato a farsi piacere il suo lavoro corrente in mancanza d’altro che lo soddisfi davvero. Di loro il 59,2% è stato assunto senza tenere conto di alcuna esperienza pregressa e nel 52,1% dei casi il titolo di studio in possesso del candidato non era requisito fondamentale all’ottenimento del posto. Interessante notare come la quasi totalità degli assunti a tempo indeterminato lavori per una multinazionale (e compaiono la Brembo di Curno e Stezzano, come il magazzino Amazon di Cividate al Piano).

Le modalità con cui gli attuali lavoranti hanno conosciuto la domanda di impiego restano simili in percentuale a quelle viste per chi ha lavorato in passato: esse restano la conoscenza diretta con altri dipendenti o il passaparola (44,4%) e gli annunci su internet o sui social network (27,8%). Spunta però anche un 6,5% di ragazzi e ragazze che, avendo frequentato un istituto professionale, hanno trovato lavoro tramite la loro scuola tramite aziende partner.

La percentuale di giovani attualmente assunti che non ritiene la sua paga adeguata a impegno, ore e rischi del suo lavoro è del 54,4%, un valore che è minore rispetto allo stesso dato considerato tra chi ha lavorato in passato (68,9%), ma che comunque supera la metà. Se c’è infatti chi con tre turni notturni settimanali da 8 ore guadagna 1200 euro di base (€ 12,50 all’ora), si legge dell’esperienza di un imbianchino pagato 20 euro per 8 ore (€ 2,5 all’ora) e di un operaio che guadagna 1300 euro per 250 ore (€ 5,20 all’ora).

Il salario e il salario minimo

Il 60,1% del nostro campione è a conoscenza della proposta di legge sul salario minimo attualmente depositata e con possibilità di firmare anche online, mentre il resto si divide tra chi non ne è a conoscenza e chi, per disinformazione o semplice confusione, confonde una possibile legge a livello statale sul salario minimo con i minimi tabellari del CCNL, che compete invece ai sindacati e alle loro contrattazioni collettive.

Sono tantissimi i giovani che nel nostro questionario si dicono d’accordo (31,9%) o molto d’accordo (52,2%) con il fatto che attualmente è difficile, per qualcuno della loro età, trovare un impiego che garantisca una paga consona. Questo corrisponde senz’altro alla consistente fetta di intervistati che si dicono d’accordo (19,5%) o molto d’accordo (27%) nel dire che il loro attuale lavoro o la ricerca di un lavoro gli crea ansia o comunque sensazioni negative, insieme al 51,4% che crede non troverà, almeno nei prossimi anni, una posizione lavorativa che valorizzi quella che sente essere la sua vera vocazione professionale.

Il salario, in questo scenario, è una variabile fondamentale da tenere in considerazione. Tra quelli che il nostro campione ritiene criteri fondamentali per la ricerca e la scelta di un impiego lavorativo, l’attribuzione di una paga consona figura al primo posto come fattore (86,7%), con a seguire la possibilità di operare in un ambiente sano e sicuro, un numero di ore lavorative congruo e in ultimo l’inerenza con i propri sogni e le proprie vocazioni professionali.

Chiedendo a ciascuna delle tre categorie di intervistati – quindi chi non ha mai lavorato, chi ha lavorato in passato e chi lavora attualmente – si rilevano altrettante differenti prospettive sul salario minimo. Tra chi non ha mai lavorato la media dei valori sulle proposte di salario minimo mensile va dai 1200 ai 1500 euro, valore che scende a 1000-1200 euro tra chi ha lavorato in passato. Non risulta chiaro se è il contatto con la realtà lavorativa o semplice disillusione a causare il divario, e tra chi lavora attualmente le prospettive sul salario minimo sono così diversificate da impedire di fornire un dato coerente.

In ogni caso si registra come l’84,5% degli intervistati crede che le istituzioni debbano farsi maggiormente carico dei problemi dei giovani legati al lavoro, e rincuora sapere che il 54,4% confida nel miglioramento della situazione presente, dovunque provenga un possibile cambiamento.

Nel complesso, un panorama complesso

La retorica secondo la quale “i giovani non hanno voglia di lavorare” si rivela una generalizzazione e un’invenzione guardando al nostro sondaggio e a quelli di enti statistici più grandi, in un’Italia che non accogliendo nuove teste pensanti si trova a fare i conti con una massiva fuga di cervelli: secondo il XIV rapporto dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza il 59% dei giovani italiani pensa che oggi l’unica speranza di fare carriera sia andare all’estero e, secondo i dati di Unipolis e Demos&Pi, la causa principale di ciò sarebbe la mancanza del un ricambio generazionale nel lavoro (e con questo è d’accordo il 69,9% dei nostri intervistati bergamaschi).

Quest’indagine che abbiamo voluto proporre mostra attraverso i numeri la rivoluzione silenziosa, il cambio di passo e di approccio che i giovani sperano anche a Bergamo; una situazione di sicuro diversa da quella di altre province, anche profondamente se guardiamo a realtà particolari come quella del Sud Italia.

Alcuni dei dati raccolti dalla nostra ricerca ci possono fare sperare, altri possono e devono attirare l’attenzione – senza per forza allarmare – su una realtà che conosce diverse problematiche da tanti punti di vista. Con questa ricerca non si sarà di certo riusciti a coprirli tutti, pur volendo fornire una prospettiva ampia sul fenomeno.

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