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Bergamo

Elezioni, Letta chiama alle armi i sindaci, Gori ringrazia ma rifiuta

Il sindaco: "Resterò alla guida della città fino alla fine del mio mandato"

Bergamo. Corteggiato dal grande centro, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori ringrazia ma rifiuta. La chiamata alla armi del segretario nazionale Dem, Enrico Letta, non ha certo lasciato indifferenti, insieme alle intenzioni politiche e al nome della nuova lista “Democratici e progressisti”. E coinvolgeva anche il primo cittadino della nostra città che, però, nel pomeriggio di lunedì ha spiegato le ragioni del suo diniego:  “I bergamaschi mi hanno confermato la loro fiducia nel 2019 ed io intendo onorare l’impegno che ho con loro, restando alla guida della città fino alla fine del mandato. Per candidarmi dovrei dimettermi nei prossimi giorni: questo è assolutamente impensabile. Le elezioni politiche del 25 settembre sono un passaggio di grande importanza per il nostro Paese, e non farò certo mancare il mio contributo, ma l’impegno per Bergamo rimane per i prossimi due anni la mia priorità”.

Il primo cittadino bergamasco, promotore, solo pochi giorni fa, insieme ad altri colleghi, della lettera inviata all’ormai ex premier Mario Draghi per rimanere in sella, fa notizia e a volerlo erano in molti. In primis, appunto, il suo referente massimo di partito che, in una call dello scorso venerdì, ha chiesto a tutti i sindaci del Partito Democratico, lui compreso, con meno di due anni alla scadenza del mandato, di fare rete, di dimettersi e di candidarsi  in prima persona alle elezioni.

Ma Gori ha scelto Bergamo. Tra i tanti nodi da sciogliere, oltre alla volontà politica di rimanere a guida della sua città e di traghettarla fino alla naturale scadenza del mandato, forse anche lo scenario che sarebbe venuto avanti: comune traghettato dal vice sindaco fino al primo appuntamento utile per votare, il 2023, accorciando così il mandato di un anno.

Fumata nera dunque per il sindaco bergamasco che, evidentemente, continua a far gola alla politica romana. E mentre Gori ringrazia ma declina, impervia il tumulto del gioco delle parti.

Da un lato il centrodestra, nella figura del presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che ha aperto la sua personalissima campagna parlando di rialzo delle pensioni, di contributi alle casalinghe e cuneo fiscale, preso a trattare sulla leadership di un triumvirato chiamato, oggi più che mai, a reggere tutti i contraccolpi per far volare la coalizione sulla scorta del 22% della sola Giorgia nazionale, e dall’altro il centrosinistra che sta cercando di caricare sulla sua personalissima arca quante più coppie possibili per portare a compimento il suo progetto politico.

Destra che affonda il colpo con Alessandro Sorte, deputato azzurro: “Mi sembra che la maschera sia già caduta. Calenda, con la decisione di coalizzarsi, sta contribuendo a rimettere in piedi un Ulivo 2.0. Ci sono proprio tutti: la sinistra di Leu, i Verdi, il Pd, probabilmente Mastella e Di Maio. Meno male che Calenda un mese fa dichiarava di voler fare la rivoluzione liberale in Italia, forse si è confuso con quella d’ottobre. Per i moderati esiste un solo voto utile, quello a Forza Italia. Solo l’autorevolezza e la credibilità internazionale del Presidente Berlusconi possono dare forza al nostro Paese per affrontare e superare questo momento difficile. Votando Forza Italia, i moderati possono contribuire a rafforzare l’unico partito realmente popolare, atlantista e europeista”.

E centrosinistra che si muove alla Nazareno garantendosi, come si legge dai flussi di coscienza a colpi social, il sì dei tre eccellenti fuorisciti da FI, la Gelmini, Brunetta e la Carfagna. Con in mezzo il no ai 5 Stelle, a Conte e le fedi pronte con il buon Calenda, reticente e nostalgico di Draghi, e il Matteo nazionale.

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