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Il trentennale

L’ex pm Pugliese: “L’incontro con Borsellino a Cagliari e l’attentato che lo Stato poteva evitare”

"Come Falcone, non è stato protetto a dovere dalle istituzioni, che ora si lavano la coscienza con le loro commemorazioni"

Bergamo. In occasione del trentennale dell’attentato di Via D’Amelio, l’ex pubblico mistero di Bergamo Carmen Pugliese ricorda il collega magistrato, che ebbe anche occasione di incontrare, e quella triste data che cambiò le sorti dell’Italia.

Cosa ricorda di quel 19 luglio 1992? Dov’era e come ha saputo la notizia?

La notizia della strage di Via D’Amelio la appresi dagli organi di informazione televisivi. Non ricordo esattamente se mi trovassi in servizio o in ferie, quello che però ricordo esattamente è la sensazione di sconforto che provai e che si potrebbe riassumere nelle parole dell’allora Consigliere Caponnetto: “È finito tutto”.
In quel momento la sensazione era questa, che fosse finito tutto e che la mafia avesse vinto.
E poi mi tornò alla mente la figura semplice e il sorriso aperto di Paolo Borsellino che avevo anni prima incontrato casualmente al Tribunale di Cagliari (ove lavoravo prima di arrivare a Bergamo) che vicino a un ascensore mi aveva chiesto indicazioni su un ufficio come una persona qualsiasi lui che… Era un grande e famoso magistrato, la semplicità dei grandi.

Da collega, come ha vissuto quel giorno che seguiva quello dell’attentato a Falcone?

Con grande sconforto (non riesco a trovare altro termine) perché ebbi la sensazione che quei due valorosi colleghi fossero stati lasciati soli per andare incontro al loro destino di morte. Entrambi erano consapevoli (ed è terribile aver vissuto con questa consapevolezza) che la mafia non avrebbe perdonato i risultati investigativi che erano riusciti a raggiungere e avrebbe trovato il modo di bloccare il loro lavoro futuro.

Entrambi erano consapevoli di avere i giorni contati: Falcone avevano già provato a eliminarlo con l’attentato sventato all’Addaura e Borsellino (che l’opera di Falcone avrebbe dovuto portare avanti) aveva appreso di recente del carico di esplosivo a lui destinato. Ma soprattutto sapeva che la prossima vittima dopo l’amico e collega Falcone sarebbe stato lui.
Ma ancora oggi mi chiedo: al di là della scorta cosa ha fatto lo Stato per proteggerli? Cosa ha fatto perché Falcone potesse continuare concretamente la sua opera?
Falcone prima di essere ucciso dalla mafia è stato ucciso da chi lo ha delegittimato nella sua attività.

Vogliamo ricordare le lettere anonime del famoso corvo circolate?
Vogliamo ricordare le critiche mosse alla sua innovativa strategia investigativa della valorizzazione del ruolo dei collaboratori di giustizia?
Vogliamo ricordare che, nonostante la sua enorme esperienza e capacità, alla guida di importanti uffici gli furono preferiti altri? E poi oggi ci meravigliamo del potere decisivo delle correnti nel conferimento degli incarichi direttivi svelato da Palamara? Ma anche allora il merito indiscusso di Falcone non venne valorizzato costringendolo ad andare al Ministero della Giustizia per cercare di portare avanti la sua lotta contro la mafia.

Anche la morte di Borsellino poteva essere evitata se solo si fosse prestata attenzione alle segnalazioni sulle caratteristiche di Via D’Amelio dove abitava la madre (strada stretta, parcheggio di numerose auto) pur segnalate per tempo. Non si fece nulla e si consenti alla mafia di parcheggiare tranquillamente l’utilitaria imbottita di tritolo.
E non fu delegittimato anche Paolo Borsellino quando non fu portato a conoscenza del deposito dell’informativa sugli appalti (filone investigativo che seguiva) indagine poi archiviata?

Come sarebbe cambiata l’Italia con quei due grandi magistrati?

Certamente la mafia avrebbe ricevuto duri colpi e forse avremmo evitato il suo espandersi oltre i confini della Sicilia con quei progetti di coordinamento a livello nazionale delle indagini che Falcone voleva portare avanti.

Ma mi chiedo riportandomi un po’ a quanto detto prima, lo Stato avrebbe adeguatamente sostenuto quei due grandi magistrati, dando loro la possibilità di sfruttare il loro patrimonio di conoscenze e esperienza?

Oppure la coscienza del nostro Stato è tranquillizzata dalle commemorazioni annuali formali e inutili che vengono loro tributate?

Ci sono state delle condanne, ma cosa c’è ancora di nascosto a livello processuale?

Le condanne ci sono state, gli esecutori materiali sono stati condannati ma a tante domande non è stata data risposta e il cratere di Capaci e la sventrata Via D’Amelio sono ancora pieni di enigmi. Una domanda per tutte: Falcone doveva rientrare da Roma il venerdì, la sua partenza fu posticipata all’indomani. Chi avvertì da Roma del cambio di programma?
Chi erano quei finti operai notati sul luogo della strage a Capaci?
Chi è perché non si diede seguito alla segnalata pericolosità di Via D’Amelio?
E perché la borsa da lavoro di Borsellino scomparve e poi ricomparve e il mancato ritrovamento della sua famosa agenda rossa si è portato con se quanto di prezioso sicuramente conteneva?

Oltre alla mafia, è vero che altri hanno avuto interesse in quell’attentato?

Sicuramente sì. Certamente quel mondo economico e imprenditoriale che dall’attività di Falcone e Borsellino avrebbe subito duri contraccolpi.
Non dimentichiamo che la mafia non è solo quella di sangue e quella che usa le armi ma la mafia nascosta e più pericolosa è quella che si infiltra nel tessuto sociale e economico.

E Falcone con la sua lungimiranza investigativa aveva trovato il modo per combattere questa forma più subdola e pericolosa di mafia attraverso le indagini patrimoniali seguendo proprio il percorso del denaro.

Infiltrazioni mafiose al nord e in Bergamasca, cosa ci può dire in base alla sua lunga esperienza?

Nella mia lunga esperienza in Procura non ho mai avuto modo di occuparmi di queste infiltrazioni ma indubbiamente ci sono e ho idea che proliferino proprio in funzione della fiorente economia e del largo sviluppo imprenditoriale del nord e conseguentemente della bergamasca.

Pur operando in una realtà ben diversa, lei ha mai subito minacce o avuto paura?

Indubbiamente la nostra è una realtà diversa da quella siciliana, anche se come dicevo le infiltrazioni soprattutto nelle attività commerciali ed economiche ci sono. La minaccia facendo il magistrato devi darla in un certo senso per scontata, quanto meno sotto forma di avvertimenti e avviene quando colpisci il nervo scoperto di qualche settore inesplorato.

Sotto questo aspetto le frasi e gli scritti minacciosi o denigratori che mi hanno a volte indirizzato non hanno mai superato la soglia da mettermi veramente in allarme, convinta come sono (e il caso dei due eroi magistrati di cui abbiamo parlato ce lo insegna) che se vogliono veramente farti del male ci riescono al di là di ogni protezione.

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