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L'intervista

Scaglia: “Bergamo? Ha grandissime potenzialità, ne sia consapevole”

Stefano Scaglia, Presidente di Confindustria Bergamo traccia un bilancio del suo mandato. E lancia un messaggio: "Bergamo ha grandi valori, ha grandi capacità. Molto più di quello che noi Bergamaschi pensiamo di noi stessi. Siamo molto più aperti, molto più visionari e siamo anche molto più capaci di guardare lontano. Siamo molto più coesi di quanto noi stessi crediamo".

Bergamo. Il prossimo 21 giugno Stefano Scaglia conclude il suo mandato di presidente di Confindustria Bergamo. Ha assolto e svolto il suo compito con grande dedizione ed impegno, come è nel suo stile. Qui ne traccia un bilancio positivo, ma ammette che vuole tornare a riprendersi una parte della sua vita: “Dalle corse in bicicletta alle camminate in montagna”. E capisci che ha dato il massimo per ricoprire quel ruolo, sacrificando moltissimo.

Presidente Scaglia, settimana prossima terminerà il suo mandato. Che esperienza è stata?

È stata un’esperienza molto intensa e coinvolgente, anche stante il periodo indubbiamente complicato che abbiamo dovuto affrontare a causa della pandemia da Covid-19. Nel complesso, sono stati anni ricchi di relazioni interpersonali e di grande coinvolgimento sia emotivo sia mentale: hanno richiesto tante energie.

Che Confindustria lascia? 

Confindustria Bergamo ha lavorato molto. Non solo nel suo ambito tipico economico, sicuramente si è dedicata molto anche alla nostra comunità e al sociale. Dal primo dal titolo della prima assemblea che è stato quello “la persona al centro di innovazione” che abbiamo tenuto nel 2017, è stata un po’ l’enunciazione programmatica e di quello che si voleva fare. L’idea è proprio quella di dare a tutti un’opportunità che venisse dalla formazione, affermando il merito e affermato il valore del lavoro. Ci siamo dedicati quindi all’orientamento, alla formazione, abbiamo aperto le aziende ai nostri giovani, ci siamo dedicati molto ai temi dell’Innovazione con Intellimech, abbiamo costituito il laboratorio insieme all’Istituto Italiano di tecnologia e abbiamo aperto il laboratorio Smile per la formazione dei giovani qui al Kilometro Rosso. Non solo ci siamo dedicati alle infrastrutture immateriali ma anche quelle materiali: abbiamo lavorato per studiare, per capire quelle che potevano essere le migliori infrastrutturazioni del nostro territorio e offrire così un contributo agli enti del nostro territorio perché potessero decidere al meglio quello che è il futuro della infrastrutturazione della nostra provincia.

Che cosa deve fare Bergamo?

Certamente deve prendere coscienza di questi grandi valori che ha. Io mi sono reso conto in questo periodo, in cui mi sono occupato un po’ delle tematiche pubbliche di Bergamo, che Bergamo ha grandi valori, ha grandi capacità. Molto più di quello che noi Bergamaschi pensiamo di noi stessi. Siamo molto più aperti, molto più visionari e siamo anche molto più capaci di guardare lontano. Siamo molto più coesi di quanto noi stessi crediamo. Ecco, io credo che sia importante continuare su questa strada: che sia importante, con orgoglio con determinazione, portare fuori dal nostro territorio questi grandi valori che hanno fatto la nostra provincia una delle province trainanti del nostro Paese.

Partendo dalla stretta attualità, domenica ha votato al referendum?

No, perché ritengo che i temi della Giustizia fossero eccessivamente tecnici e che le forze politiche non debbano abdicare al loro compito di realizzare le riforme. Inoltre, penso che non sia possibile cambiare pezzettini di assetti concepiti organicamente. Vista l’esperienza della riforma delle province, che alla fine non è andata a termine e abbiamo un’istituzione che non è quella di prima ma nemmeno una cosa nuova, temevo che anche in questo caso rimanesse qualcosa a metà. Invece di giungere a una situazione che fatica a rimanere assieme, credo che sia meglio avere una costruzione organica anche se magari non funziona in maniera auspicabile. Quando si parla di riforme bisogna pensare ad interventi strutturati e organizzati, organici e complessivi: non si può “ragionare a pezzettini.

E come interpreta il grande astensionismo che si è registrato al referendum? È un segnale alla politica?

Penso di sì. Ora c’è comunque un’occasione di riforma della Giustizia in parlamento ed è un’opportunità importante per dimostrare che le cose si vogliono riformare veramente. Non era necessario il referendum: a giorni i parlamentari saranno chiamati a mettere mano a questa riforma, ma ritengo che non ci si debba fermare qui. Bisogna intervenire su tanti altri aspetti perché ci viene richiesto per l’assegnazione dei fondi del PNRR e, soprattutto, perché quando li hanno accettati tutte le forze politiche hanno anche accettato le relative condizioni. Hanno acconsentito, cioè, la realizzazione di queste riforme e adesso non possono sottrarsi dall’attuarle: credo che debbano darsi da fare e procedere per arrivare a un risultato”.

In questi mesi si parla molto dei giovani che sono accusati di non lavorare e di chiedere permessi o ferie prima di iniziare. Si unisce a questo coro oppure ha una sua visione?

Mi sembrano affermazioni esagerate. Sicuramente, però, rispetto al passato viene data una rilevanza crescente ad altri aspetti della vita mentre, forse, la generazione prima della mia guardava innanzitutto al lavoro. Era il tema principale, fondante, mentre oggi si punta a dare importanza anche a diversi ambiti: il lavoro non è la priorità alla quale adeguare il resto della propria vita personale e sociale.

Ma a lei come imprenditore è capitato che i giovani facessero certe richieste oppure è una forzatura?

È una forzatura, anche se a volte si rimane sorpresi perché non colgono opportunità come andare all’estero o ricoprire posizioni che, però, implicano la rinuncia a una parte di vita privata. Per esempio, se una persona si reca in altri Paesi, magari, deve rinunciare a una serie di relazioni che può avere qui a fronte del beneficio di poterne costruire altre. Analogamente, assumendo ruoli di un certo tipo si hanno maggiori responsabilità e occorre rinunciare a qualcosa.

Spesso si parla di salario minimo. Mi sembra di capire che Bergamo sia un’isola felice: è così?

Non lo è solo Bergamo, tutta l’industria ha contratti superiori ai 9 euro all’ora di cui si sta parlando in questi giorni. Nel complesso ci sono i salari minimi di riferimento dei contratti, i super-minimi in funzione delle capacità delle persone e delle competenze e poi un mercato che determina i salari.

Bergamo ha saputo riconoscere prima delle altre realtà questa esigenza?

Non so se lo ha fatto in maniera cosciente. La valorizzazione delle persone è sempre stata un aspetto molto importante dell’imprenditoria bergamasca: a prescindere dal salario minimo si è sempre cercato di riconoscere alle persone con cui si lavora tutto il possibile.

Altro tema caldo è l’energia. L’autunno sarà il vero banco di prova: come siamo messi? Che cosa si può fare?

Non siamo messi bene. Al di là di quello che si può pensare del gas per il riscaldamento, va considerato che l’industria consuma energia per svolgere la sua attività caratteristica. Alcune aziende, dette energivore, ne adoperano di più e altre quantitativi inferiori, ma il problema c’è ed è serio. Rischia di compromettere la presenza sul mercato di molte imprese perché non colpisce tutti i Paesi in maniera uniforme. Alcuni come l’Italia ne risentono particolarmente mentre altri meno. Ne è un esempio la Turchia che, in questo momento, in tanti settori industriali come la plastica e il tessile sta facendo una competizione molto importante alle nostre imprese con prezzi più bassi. Questa situazione rischia di portare a una perdita permanente di clientela.

Cosa le lascia l’esperienza da presidente di Confindustria Bergamo?

Soprattutto i rapporti che ho intessuto con tantissime persone, non solo con tanti colleghi imprenditori ma anche con i rappresentanti delle istituzioni. Inoltre, mi ha lasciato un grande bagaglio di idee che mi permette di comprendere la complessità di situazioni e meccanismi che parecchie volte non si riescono a capire leggendo i giornali.

E si rimprovera qualcosa?

No, rifarei quello che ho fatto.

Dopo questa esperienza ha voglia di impegnarsi in politica o in un altro campo?

In questo momento no. Ho la necessità di recuperare spazi sia per la vita privata sia per il lavoro in azienda. In questi anni non ho mai abbandonato la mia attività, ma ho sacrificato molto della mia vita privata. Gran parte del tempo che trascorrevo insieme ai famigliari è stata dedicata all’associazione: la famiglia ne ha sofferto maggiormente e le sono grato perché mi ha sempre sostenuto, capito e supportato. Va tenuto conto, inoltre, della vicenda di cui sto portando ancora le conseguenze (minacce con l’invio di proiettili, ndr): da allora ho la scorta: ha avuto un impatto importante sulla vita privata.

Quell’avvenimento l’ha ferita particolarmente?

Provo amarezza e rabbia per quanto successo. Amarezza perché i mittenti non hanno capito nulla di quello che è stato fatto e rabbia perché ci sono altre modalità per manifestare opinioni diverse: parlandone si sarebbe potuto entrare nel merito delle questioni per comprenderne la complessità.

Da presidente di Confindustria Bergamo ha aperto a ovest con Sondrio e Lecco. Possono esserci anche nuovi orizzonti su Brescia?

L’orizzonte può essere dappertutto: non è privilegiato a est o a ovest. Con questa esperienza abbiamo capito che è importante lavorare insieme e fare massa critica, dopodiché si valuterà come agire guardando a progetti specifici. E anche Confindustria Lombardia sta cercando di sviluppare sinergia su numerosi aspetti.

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