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L'intervista

Prandelli: “Orgogliosi di questa Atalanta. E ringraziate Gasperini”

"Io maestro dei giovani? L'artefice di tutto è stato Mino Favini, che ha creato una squadra di allenatori. Ho insegnato a giocare bene al calcio: per vincere, non per il possesso palla"

Dice che adesso i nipoti lo fanno correre quando gioca a golf, il suo sport preferito oggi, da praticante. Dice di non avere più la gamba di prima, ma quando vedi arrivare Cesare Prandelli riconosci subito la sua camminata spedita, a testa alta.

Per uno che a Bergamo “ho passato vent’anni della mia vita, mia figlia è nata qui”, ogni volta è come ritrovare un pezzo di cuore, tanti abbracci e un doveroso omaggio al’Accademia del Tennis Vip di Giovanni Licini perchè “le persone che dedicano tempo libero ad altri sono speciali. E la mia presenza qui mi sembra una testimonianza doverosa. Però, impossibile non parlare di calcio. Così il Cesare si concede volentieri al ping pong con i cronisti, per una lunga intervista.

Con un omaggio al collega che guida la Dea: “I tifosi dell’Atalanta dovrebbero ringraziare per tutta la vita Gasperini perché è stato promotore di qualcosa di inimmaginabile per tutti i tifosi dell’Atalanta. Dovrebbero rivedersi questi anni e auguro che in futuro siano migliori, ma non devono dimenticare mai che l’Atalanta ha offerto al calcio italiano e europeo qualcosa di speciale”.

Che cosa pensa della nuova Atalanta?

È un momento storico, penso che ci dovrebbe essere una comunicazione diretta, una pianificazione chiara da parte dei nuovi proprietari, gli obiettivi che vogliono raggiungere e come vogliono raggiungerli. Poi la gestione comunque della famiglia Percassi perché quello che hanno fatto e per quello che faranno lasceranno sempre un’impronta forte, dal punto di vista professionale e umano.

Il passaggio dai presidenti bergamaschi a quelli americani, che segnale è? Come lo vede?

Stiamo andando sulla strada della globalità assoluta a tutti i livelli e quindi lo sport trasmette non solo emozioni ma anche sotto l’aspetto economico riscontri importanti. Il fatto che degli americani abbiano pensato all’Atalanta… io se fossi un tifoso, di quelli che sono nati con la maglia dell’Atalanta, sarei orgoglioso: un americano che arriva a Bergamo, ha visto delle grandissime potenzialità non solo in questa squadra ma anche nel suo territorio.

Rispetto all’Atalanta degli anni di Prandelli?

È sempre difficile fare paragoni, però quando riesci a ottenere dei risultati, a mantenere determinati rapporti è perché il gruppo squadra sta bene assieme. Poi naturalmente l’allenatore ha contribuito in maniera straordinaria, la società è sempre stata presente come lo erano i Bortolotti, i Ruggeri, i Percassi. Però la bravura delle società è quella di scegliere le persone giuste al posto giusto. E quindi il settore giovanile dell’Atalanta osannato e forse un po’ copiato da tutti aveva un responsabile che è stato Mino Favini, che è stato l’artefice, lo stratega nel programmare il futuro di questi ragazzi.

Un po’ come ai tempi della Banda Prandelli?

Anche lì Mino è stato bravo a coinvolgere tutti noi: io, Vava, Fina, Gustinetti, Eugenio Perico… Chi fa settore giovanile lo deve fare perchè ha una missione da compiere. Se uno ci entra pensando ai risultati e alla propria carriera non fa del bene a se stesso e nemmeno alla propria società. Quindi Mino Favini è stato straordinario perché ci coinvolgeva settimanalmente. Per esempio, io allenavo la Primavera ma se Vava aveva un problema con gli Allievi o Modanesi con i Giovanissimi, o Perico con i suoi, eravamo tutti pronti a risolvere il problema dell’altro perché poi sarebbe arrivato a me. Questa è stata la nostra forza: il gruppo allenatori, tutti disponibili, nel cercare di far crescere questi ragazzi, che hanno mille aspettative, i genitori che pressano, non tutti arrivano e quindi diventa tutto complicato. Tante volte i dirigenti ti chiedono giocatori già pronti, veloci e non puoi sfornare giocatori come sfornare il pane. Però quel gruppo di giocatori, in quel decennio, è stata un po’ la base dell’Atalanta del futuro.

Ed è nata infatti anche l’Atalanta tutta fatta in casa del Vava…

Sì. Chiaro che adesso sono cambiate le strategie, è cambiato tutto, ma il marchio Atalanta del settore giovanile è sempre un marchio vincente. Vai in Europa, parli di Atalanta e sanno come e dove lavorano e con quali obiettivi.

Aver alzato il livello può aver reso più difficile l’ingresso dei ragazzi in prima squadra?

Scalvini è la dimostrazione che quando i ragazzi sono pronti, l’allenatore non aspetta molto. È chiaro che avere tutti gli anni tre o quattro ragazzi pronti diventa più complicato. Prima forse c’era più tempo ma gli obiettivi non erano la Champions League, ma arrivare a metà classifica o salvarsi.

Se una squadra arriva per tre volte consecutive in Champions diventa forse difficile per il tifoso mantenere un equilibrio?

Io ripeto: il tifoso dell’Atalanta dev’essere orgoglioso di quello che ha fatto negli anni questa Atalanta, che rimarrà non solo nel calcio italiano ma in quello europeo. Chiaro le aspettative aumentano, ma il tifoso si ricordi bene, quello che ha fatto l’Atalanta in questi anni non l’hanno fatto le grandi squadre. La forza dell’Atalanta è quella di saper tramandare il valore di questa maglia. E quando mi chiedono qual è la differenza, rispetto alle altre squadre, è che il tifoso dice: vado all’Atalanta, che vuol dire già tutto, fa capire cosa vuol dire essere tifoso dell’Atalanta.

Da calciatore ha vinto scudetti e Champions con la Juve, da allenatore Prandelli ama essere ricordato come il maestro dei giovani, quello che con i ragazzi dell’Atalanta ha vinto tutto?

La mia fortuna è stata quella che una volta iniziato questo lavoro ci abbiamo dedicato la nostra passione. Se tu trasmetti la passione, magari puoi avere qualche idea, però se non hai gli interpreti che riescono a realizzare quello che tu hai in testa, l’allenatore fa poco o niente. Io ho avuto la fortuna di avere giocatori, ragazzi potenzialmente forti e con loro ci siamo dati un obiettivo: dovevamo diventare una squadra che sapeva proporre un calcio piacevole e anche qui puoi discutere, però ho ricordato sempre che vai in campo per vincere. Perché alla fine poi…non voglio fare polemica, ma se uno pensa che il possesso palla sia la panacea del far bene il gioco del calcio, allora diventi limitativo dal punto di vista caratteriale e poi ti dimentichi dell’obiettivo principale che è quello di vincere. Lo dico perchè eravamo considerati la squadra che giocava il miglior calcio giovanile in Italia e dicevano, ah ma voi non fate pressing, tenevamo palla per 80 minuti, però il nostro obiettivo era quello di andare a concludere, non un possesso palla che se calcoli anche quante volte giochi la palla col portiere prima che arrivi all’altra metà campo, beh diventa un po’ complicata la cosa. Però l’ho provato e lo posso testimoniare: se una squadra insiste molto sul possesso palla perde in aggressività, determinazione e perde l’obiettivo della vittoria.

Ma Prandelli non era già allenatore da calciatore?

(Sorride) Io non lo sapevo. Me ne sono reso conto quando i più giovani, Barcella, Bonacina, negli ultimi due anni venivano in camera e mi chiedevano consigli. Però devo dire che non ero a disagio. Poi ammetto che sono stato bravo a…togliermi la maglia da giocatore, quando sono passato ad allenare gli Allievi B. Ma tutto è arrivato quasi naturalmente, negli ultimi anni io e Glenn Stromberg eravamo rappresentanti della squadra e quindi sono cresciuto avendo una responsabilità e quando esci dallo spogliatoio e devi rappresentare venti ragazzi che ti dicono vai, dì al presidente…ecco non è facile. Così una volta con Cesare Bortolotti quasi abbiamo litigato e pensare che eravamo amici fin da ragazzi. Perché la squadra mi ha detto: se non ci dà questi premi digli che gioca la Primavera e io gliel’ho detto, a Cesare ‘Guarda, rappresento la squadra, stiamo facendo bene e i premi sono questi, altrimenti chiama la Primavera’. Mamma mia, la reazione del presidente. E io: Cesare, era una provocazione, come rappresentante dovevo dirlo. E lui cos’ha detto? Che ci faceva un c… così. Il gioco delle parti, no?

Prandelli, che augurio farebbe al presidente Percassi per il suo compleanno (9 giugno, 69 anni)?

Gli augurerei di ripetere questi anni con qualcosa in più, magari certe volte uscire dal campo non giocando bene ma portando a casa qualcosa, perché poi alla fine ti rimane nella storia. Anche se questa Atalanta rimarrà comunque, perché ha dato qualcosa veramente di impensabile, soprattutto ripetuto nel tempo e negli anni. Quindi auguro al presidente di stare bene fisicamente, naturalmente e godersi questa Atalanta.

Prandelli fa una pausa e aggiunge: “Vincente”.

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