Gentile direttrice
come noto a me e a lei, ma forse non ai più, domenica il corpo elettorale sarà chiamato a esprimersi su cinque quesiti referendari, relativi all’abrogazione di norme relative tutte al funzionamento della giustizia.
Non riepilogo qui inutilmente il testo dei quesiti, che saranno illustrati da giuristi ben più esperti di me.
Ma debbo prendere atto della circostanza di come non passi giorno senza che qualche cliente o conoscente tra i più informati almeno sull’indizione della giornata referendaria chiedano a me come votare.
E allora ho cominciato a interrogarmi.
Che senso può avere devolvere al suffragio universale la modifica di leggi regolatrici di materie tanto tecniche, su cui pochissimi potranno avere una opinione realmente informata, tanto che nessuno – nemmeno il più ottimista- immagina il raggiungimento del quorum di validità della consultazione?
Forse dare “al legislatore” (che immagino come un buon uomo in marsina) una spinta a legiferare meglio, come da più parti mi si scrive e mi si dice.
Ma tuttavia anche questo argomento non mi spinge ad andare a votare con il consueto entusiasmo.
Temo che per legiferare meglio occorra votare persone più tecnicamente preparate, consapevoli della realtà e dialetticamente inclini a gestire la complessità: questo pretende e impone un’attività così nobile e onerosa quale scriver modificare o abrogare leggi che regolino la vita dei consociati.
È per questo, non altro, che il corpo elettorale dovrebbe spendersi, secondo me, occupandosi di una migliore selezione del ceto politico, che eserciti le proprie funzioni con l’onore e la disciplina di cui all’articolo 54 della Costituzione, senza scimmiottare sui social né i Ferragnez né Gianluca Vacchi, per citare tre personaggi che attualmente informano e formano l’opinione pubblica molto più di qualsiasi referendum.
E forse proprio questo è il maledetto vero nodo del problema, nell’anno domini 2022.
*Avvocato
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