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Arte

Bergamo

La GAMeC dà il via ai festeggiamenti per i suoi 30 anni con le mostre di Anri Sala e Christian Frosi video

Da venerdì 10 giugno fino al 16 ottobre al Palazzo della Ragione in Città Alta e nel museo cittadino fino al 25 settembre

Bergamo. “Sotto i portici del Palazzo della Ragione, il primo Palazzo comunale d’Italia, presentiamo la nuova mostra della GAMeC Bergamo – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea dedicata all’artista albanese Anri Sala, allestita nella Sala delle Capriate. Da venerdì 10 giugno al 16 ottobre”. Twitta così Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, presente giovedì mattina alla conferenza stampa di uno dei due grandi eventi culturali che aprono la stagione estiva della GAMeC, precisamente quella allestita nel cuore pulsante di Città Alta, e quella di Christian Frosi, nella sede del museo cittadino.

Due eventi importanti, due mostre differenti ma altrettanto significative, non solo per i contenuti, ma perché celebrano, una volta di più, l’ingegno, la passione e la cura delle scelte di una realtà, quella della GAMeC, capace di essere finestra sul mondo del piacere del bello, facilitatore di una cultura che avvicina e mai allontana e che consente al cittadino, al turista, all’appassionato ma anche al semplice curioso di approcciarsi alla vita secondo una prospettiva diversa, ma significativa. Una celebration degna di 30 anni di attività, quella di una realtà sempre più di respiro internazionale.

La conferenza di presentazione

Ad aprire la presentazione della mostra ci ha pensato Alberto Barcella, presidente di GAMeC: “Questa è una bellissima occasione, quella più adatta a celebrare i 30 anni di vita della nostra realtà museale. E lo facciamo dando il via alla stagione con due mostre dal grande valore, l’una diversa dall’altra. Da una parte, alla Gamec, abbiamo gli allestimenti di Frosi, artista che ha scelto di ritirarsi dalle scene più di dieci anni fa, ma del quale oggi proponiamo il suo testamento, le sue opere, che ci raccontano di lui e del suo grande talento; dall’altra quella di Sala che ci ha regalato il suo genio nel contesto delle meraviglie del Palazzo della Ragione. Questi due appuntamenti, importanti per la città e non solo, sottolineano come la GAMeC abbia scelto la via del respiro internazionale, diventando sempre più punto di riferimento in tutto il mondo. Per questo mi sento di ringraziare in particolare Lorenzo Giusti, il nostro direttore, l’amministrazione comunale e tutti i nostri sostenitori”.

“Sono felice di essere qui per dare il benvenuto a due mostre importanti che, insieme ad una serie di altre iniziative, tornano a dare linfa alla vita cittadina e turistica della nostra città dopo due anni di grande sofferenza – ha spiegato Gori -. Con grande soddisfazione posso dire che, nonostante gli ultimi due anni di compressione, i mesi di maggio e di giugno hanno segnato un grande afflusso di turisti a Bergamo. Nello specifico, la rappresentazione audiovisiva di Sala indica la direzione che, dal 2018 ad oggi, la GaMec ha preso, quella di una realtà di carattere sempre più internazionale capace di aprirsi alla città, secondo i dettami di quel perfetto connubio, tra pubblico e privato, che con passione stiamo cercando di coltivare. E in questo va riconosciuto il merito assoluto a Giusti, la cui impronta è stata fondamentale”.

“Portare un evento come questo in Città Alta – ha raccontato Nadia Ghisalberti, assessore alla Cultura del comune di Bergamo -, dall’indiscusso valore internazionale, rappresenta una grande occasione per tutti i bergamaschi e non solo, perché fa sì che il vasto pubblico, anche quello meno avvezzo, si possa avvicinare ad un esempio di arte suggestiva. L’opera in questione infatti, parlo di quella di Sala, racconta di drammi di ieri, di oggi e di domani, della guerra e di una serie di segni che credevamo di aver fortunatamente dimenticato ma che oggi, purtroppo, riaffiorano. Accanto alla caducità della vita, però, la musica e e la luce emergono come segni di speranza e di vita, il tutto in un luogo speciale che rimanda al dialogo costante con la vita”. Poi uno sguardo al 2023: “Non dimentichiamo il valore aggiunto che l’arte ha e può avere nei confronti dei nostri giovani e a quanto può attrarli a sé. Questa mostra, insieme a quella di Frosi, apre la strada al grande evento che ci attende l’anno prossimo, come la nuova sede al Palazzetto dello Sport”.

Prima di passare alle parole dell’artista, la chiusa di Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC: “Innanzitutto ringrazio l’amministrazione comunale per la grande collaborazione e i tanti sostenitori che credono in noi, in particolare Simona Bonaldi. Ad Anri va il mio infinito grazie per averci donato un’esperienza di questo tipo: per noi è un onore esporre la sua opera a Bergamo, oltretutto in un contesto come quello di Palazzo della Ragione, luogo che ha vissuto un riadattamento capace di appagare chiunque si appresti a vivere l’esperienza della mostra, in un continuo ribaltamento sensoriale, frutto di stimoli e di valorizzazione di contesti e di luoghi”.

Grande soddisfazione anche per lo stesso artista, Anri Sala: “Ho accolto con grande entusiasmo la proposta che mi è stata fatta da Lorenzo, anche perché ci è stata offerta la possibilità di poter allestire un’opera all’interno di un luogo storico, di grande fascino, la cui bellezza è certamente avvalorata dalla presenza degli affreschi e dei dipinti. Ed è proprio in questo contesto che la mia opera acquista ancora più valore, perché la fusione e il flusso tra passato, presente e futuro dialoga in luogo magico, che diventa museo”.

La mostra di Anri Sala, Transfigured

Proiettato su uno schermo flottante lungo 16 metri, Time No Longer si concentra sull’immagine di un giradischi galleggiante in una stazione spaziale. Ancorato al solo cavo elettrico di alimentazione, il giradischi riproduce un nuovo arrangiamento di Quartet for the End of Time, una composizione realizzata dal musicista francese Olivier Messiaen, considerata la più celebre opera musicale composta in prigionia. Durante la seconda guerra mondiale, Messiaen (1908-1992) fu catturato a Verdun e fatto prigioniero in un campo tedesco. Fu durante quel periodo che scrisse Quartet for the End of Time, presentandolo per la prima volta nel 1941 – insieme a tre musicisti anch’essi reclusi – davanti a un pubblico di soli detenuti e guardie. In particolare, per la realizzazione di Time No Longer, Sala si è ispirato all’unico movimento solista del quartetto, “The Abyss of the Birds”, scritto per clarinetto e suonato dal commilitone e musicista algerino Henri Akoka.

Alla dimensione di solitudine e costrizione del clarinetto di Henri Akoka, fa eco la suggestiva storia del sassofono di Ronald McNair. Nel 1986 McNair, uno dei primi astronauti neri ad aver raggiunto lo spazio, e allo stesso tempo sassofonista professionista di talento, aveva pianificato di suonare e registrare un assolo a bordo dello Space Shuttle Challenger. Questo sarebbe stato il primo brano musicale originale registrato nello spazio se il veicolo spaziale non si fosse disintegrato pochi secondi dopo il decollo, uccidendo tragicamente tutti gli astronauti a bordo. Gioiello tecnologico, lo shuttle si manifesta nella sua tragica fragilità evocando la vulnerabilità della condizione di prigioniero di Messiaen.

Con la collaborazione del musicista André Vida e del sound designer Olivier Goinard, Anri Sala crea così un duetto fra due voci strumentali: una performance senza performer dove il clarinetto, a tratti, si confonde con il sassofono, unendo due momenti distanti nella storia e nel tempo, ma accomunati da un senso profondo di solitudine e allo stesso tempo di determinazione e volontà. La composizione musicale costituisce una colonna sonora dell’intenzione, alludendo alla registrazione pianificata ma mai realizzata da McNair.

La proiezione sospesa e il buio della Sala delle Capriate evocano l’assenza di luce e di gravità dell’universo, la dimensione del vuoto in cui galleggia il giradischi. Nella sala il buio è interrotto a tratti da bagliori di luce provenienti da alcune lampade posizionate sul retro dello schermo che, seguendo il ritmo della musica, illuminano la sala e, insieme a essa, i dipinti e gli affreschi disposti sulle pareti. I personaggi ritratti – tra cui la Vergine Maria e i Santi patroni della città Alessandro e Vincenzo, così come la figura della Giustizia, e in particolare i quattro angeli musici che, intenti a suonare i loro strumenti (una viola, una cornetta, un flauto e un organo), sembrano dialogare con i quattro musicisti di Quartet for the End of Time – si fanno così testimoni di un’umanità scomparsa, collegando temporalità diverse che attraversano il passato, il presente, e il futuro.

Alla deriva nello spazio infinito, mentre si susseguono 16 albe e 16 tramonti, il giradischi trova in questo modo una maniera per rimanere ancorato al tempo e alla storia, per quanto anch’esso prigioniero della propria solitudine, come McNair e Messiaen.

La mostra di Christian Frosi, La Stanza Vuota

In occasione di questa prima esposizione museale del suo lavoro a distanza di tanti anni, la GAMeC ha raccolto e presenta per la prima volta insieme oltre 30 opere, realizzate in poco più di dieci anni di attività, che raccontano la transitorietà, elemento costante della sua produzione artistica.

Il percorso di mostra comprende lavori diventati iconici, come la nuvola di schiuma prodotta per la prima personale a Milano (Foam, 2003), e altri meno conosciuti, tutti costruiti attorno a principi di precarietà, fuggevolezza, evanescenza, che ritroviamo anche nella carriera dell’artista.

L’inizio del percorso di Frosi è facilmente documentabile e coincide con la conclusione degli studi a Brera nel 1999, mentre le sue ultime tappe professionali sono, a partire dal 2012, sempre meno rintracciabili. Da quell’anno, seppur non ci sia un momento preciso, Christian Frosi smette di essere un artista: sceglie di non produrre, di non partecipare, di sottrarsi alla storia dell’arte, alle sue circostanze e ai suoi attori. Frosi si è lentamente e inesorabilmente reso irraggiungibile, troncando qualsiasi comunicazione con il mondo dell’arte, unendosi, senza una ragione evidente, alla schiera dei dropout, di coloro che, nella definizione di Alexander Koch, “in un determinato momento X sono stati localizzabili nel campo dell’arte e in un momento Y, successivo nel tempo, non lo sono stati più”.

Il momento X di Frosi coincide con numerose mostre personali sia in Italia che all’estero e con la partecipazione ad alcune delle collettive che hanno finito per definire gli artisti italiani della sua generazione: dalla prima Triennale di Torino, a cura di Francesco Bonami e Carolyn Christov-Bakargiev (2005), a Sindrome Italiana, la jeune création artistique italienne al Magasin – Centre National d’Art contemporain di Grenoble (2010), fino a Fuoriclasse, la mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Milano curata da Luca Cerizza e dedicata agli allievi di Alberto Garutti. Il momento Y, invece, coincide col giorno d’oggi.

La scelta di occuparsi di Frosi, dopo quasi dieci anni di silenzio e inaccessibilità, nasce innanzitutto dalla necessità di ricordare, proteggere, conservare il suo lavoro in modo che si possa continuare a osservare, contestualizzare e magari capire sempre meglio l’artista. La seconda ragione sta nella volontà di leggere la sua invisibilità alla luce di un presente artistico e sociale in cui si è chiamati a esserci sempre, in cui il silenzio è una scelta sempre più impervia e rara.

Osservare queste pratiche aiuta a comprendere le innumerevoli sfumature che nell’arte assumono la fuga, il vuoto, che nel caso di Christian Frosi hanno trovato compensazione in una produzione enigmatica e transitoria, capace di dominare per dieci anni la scena italiana e che oggi è presentata alla GAMeC.

La mostra sarà esposta da domani 10 giugno fino al 25 settembre 2022.

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