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L'analisi

Oltre la crisi energetica, che cosa cambia per la finanza e gli investimenti green

Le politiche energetiche devono essere in grado di attrarre gli investimenti privati, grazie, per esempio, a uno snellimento della burocrazia connessa alla realizzazione d’impianti di energia rinnovabile e a una cooperazione ancor più stretta tra settore pubblico e privato

Bergamo. La guerra in Ucraina spinge verso una più veloce transizione energetica. Si tratta di rendere l’Europa indipendente dalla Russia ma, soprattutto, di raggiungere l’indipendenza energetica e la decarbonizzazione dell’economia.

Un obiettivo strategico, che consentirà a imprese e famiglie di avere la sicurezza energetica e alle future generazioni di agire in un’economia più sostenibile.
Il raggiungimento di questi target energetici così ambiziosi rende ancora più necessario utilizzare in maniera rapida ed efficace le risorse del Pnrr. Le politiche energetiche devono essere in grado di attrarre gli investimenti privati, grazie, per esempio, a uno snellimento della burocrazia connessa alla realizzazione d’impianti di energia rinnovabile e a una cooperazione ancor più stretta tra settore pubblico e privato.

IL QUADRO ECONOMICO
In seguito all’invasione, un’ampia parte della comunità internazionale ha risposto tempestivamente nei confronti della Russia con sanzioni che non hanno precedenti per severità ed estensione. Gli effetti immediati del conflitto sulle quotazioni nei mercati finanziari globali sono stati significativi, sebbene si siano attenuati dalla metà di marzo; la volatilità rimane elevata in molti segmenti di mercato. I prezzi delle materie prime, soprattutto energetiche, per le quali la Russia detiene una quota rilevante del mercato mondiale, sono aumentati ulteriormente.
Nel complesso, la guerra acuisce i rischi al ribasso per il ciclo economico mondiale e al rialzo per l’inflazione. 

LE SANZIONI DELL’UNIONE EUROPEA
Dall’inizio del conflitto in Ucraina sono state progressivamente imposte una serie di sanzioni, sia sulle esportazioni di prodotti e tecnologia occidentale verso la Russia, sia sull’importazione di materie prime e prodotti russi.

Le ultime sanzioni, adottate dall’Unione europea il 30-31 maggio scorso, hanno riguardato una serie d’interventi oltre all’embargo al petrolio.
Banche, media di regime, oligarchi e ufficiali delle forze armate. Le banche scollegate dal sistema dei pagamenti internazionali Swift, sono salite a dieci. È stata inserita Sberbank, una delle più grandi banche russe, mentre le altre due – secondo quanto riferiscono fonti Ue – sono la Credit Bank of Moscow and Russian Agricultural Bank.
Il gabinetto von der Leyen per ora non tocca Gazprombank, la banca controllata del gigante energetico russo Gazprom, che serve all’Ue per continuare a pagare le forniture di gas e nonostante
le recenti complessità legate all’apertura di un secondo conto in rubli. L’obiettivo rimane quello di colpire le banche “critiche” per il sistema finanziario russo, isolandole sul piano finanziario. Inoltre, considerato il fatto che il Cremlino si affida a contabili, consulenti e spin-doctor europei, Bruxelles vieterà la fornitura di questi servizi alle società russe e sta puntando a rafforzare il regime di sanzioni con la proposta di confiscare e riutilizzare i beni degli oligarchi nel caso di violazione delle misure restrittive (anche attraverso contabili e consulenti dei Ventisette).

IL PETROLIO E IL GAS. DUE CASI MOLTO DIVERSI
Anche se petrolio e gas sono spesso accomunati, trasporto e commercio di questi due idrocarburi seguono logiche molto diverse.

IL CASO PETROLIO
Il petrolio viene principalmente commercializzato su scala mondiale tramite petroliere e i tre quarti del petrolio importato dall’Unione europea arrivano sulle nostre coste tramite trasporto
marittimo. La parte rimanente arriva attraverso un oleodotto dal Mare del Nord e un secondo oleodotto (Druzbha) dalla Russia. Il fatto che la maggioranza del petrolio arrivi in Europa tramite
petroliere lo rende una commodity fungibile.

Nel caso in cui l’Unione Europea – che dipende dal petrolio russo per il 27% delle sue importazioni – decidesse di non comprarlo immediatamente più, potrebbe approvvigionarsi tramite petroliere da altri fornitori; ciò non sarebbe né semplice né a buon mercato, ma possibile. Alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale che non hanno accesso al mare, avrebbero qualche problema logistico ma potrebbero in ogni caso rifornirsi di petrolio tramite oleodotti interni che li collegano a porti europei.

Questione della fungibilità funziona altresì nei due sensi e, se non dovessimo più comprare il petrolio russo, questo sarebbe venduto tramite petroliere ad altri compratori. Ciò sta già avvenendo
e il greggio russo si sta ridirigendo da compratori occidentali verso acquirenti in altri mercati, dove però è venduto con sconti fino a 30 dollari al barile.
Sul fronte commerciale, gli operatori europei stanno già progressivamente riducendo o addirittura azzerando gli acquisti di petrolio russo con regimi di “autosanzioni”.
Ciò accade per regioni diverse: danni di reputazione; problemi logistici (per esempio gli scaricatori di un porto britannico si sono rifiutati di scaricare petrolio russo) e commerciali, in quanto gli operatori non vogliono dipendere da un fornitore sempre più inaffidabile. La conseguenza di tutto ciò è che anche senza interventi governativi uno abbandono dal petrolio russo sta già avvenendo e ridurrà progressivamente le entrate petrolifere che costituiscono la parte preponderante del miliardo di euro pagato giornalmente dall’Unione Europea alla Russia.
Il progressivo abbandono da parte degli operatori commerciali europei del petrolio russo riduce così i finanziamenti alla macchina da guerra russa senza compromettere la sicurezza dei nostri
approvvigionamenti.

IL CASO DEL GAS
Le modalità di trasporto e commercio del gas sono completamente diverse da quelle del petrolio, in quanto circa tre quarti del gas importato nell’Unione Europea arrivano tramite gasdotti.
Il gas liquefatto importato tramite gasiere copre circa un quarto dell’approvvigionamento totale della Ue, quindi pensare di rimpiazzare in tempi brevi i 155 miliardi di metri cubi di gas importati
dalla Russia tramite gasdotti con gas naturale liquefatto è una mission impossible.
È molto difficile per l’Unione Europea rimpiazzare il gas russo, come pure sarebbe ugualmente difficile per la Russia riorientare le esportazioni di gas verso altri consumatori come la Cina. I giacimenti di gas e i gasdotti verso l’Europa si trovano nella parte occidentale della Russia e non è attualmente possibile per Mosca ridirigere il gas destinato all’Europa verso la Cina. L’unico
gasdotto che collega la Russia alla Cina è il “Power of Siberia 1” con una capacità di trasporto di 15 miliardi di metri cubi all’anno, un decimo dell’export russo attuale verso l’Europa.

COME RIDURRE LA DIPENDENZA DAL GAS RUSSO?
I 155 miliardi di metri cubi provenienti dalla Russia coprono il 45% dell’import europeo. Anche se non è possibile rimpiazzarli immediatamente è però possibile ridurli velocemente. L’8 marzo 2022, la Commissione europea ha adottato il piano  REPowerEU  con proposte per ridurre a un terzo l’import di gas russo entro la fine dell’anno e a eliminarlo per il 2030. REPowerEU contiene une serie di iniziative come l’aumento, entro il 2022, delle forniture tramite gasdotti da Nord Africa, Azerbaijan e Norvegia e ulteriori importazioni di gas naturale liquefatto per un totale di 60 miliardi di metri cubi. Ulteriori riduzioni della domanda per il gas russo possono venire da misure di efficienza energetica e di promozione delle fonti rinnovabili includendo il biometano.

Un embargo totale immediato sul gas russo, come richiesto fra gli altri dal Parlamento Europeo, sarebbe una misura molto penalizzante, tenuto conto del fatto che parte delle forniture russe sono legate a contratti di lungo termine con clausole di take or pay che vincolano il compratore nei confronti del fornitore. La strategia europea sul gas russo non può essere basata solo su un sistema di sanzioni che sarebbe più penalizzante per il sanzionante – Unione europea – che per il sanzionato Russia, ma su una progressiva riduzione delle importazioni.

ALCUNE RIFLESSIONI
Per il petrolio, gli operatori commerciali stanno già implementando un regime di auto-sanzioni che le porterà a abbandonare il petrolio russo nei prossimi mesi. Un embargo totale sul gas russo non è logisticamente possibile e se implementato si tradurrebbe in una misura autolesionista che farebbe più male a chi le impone che a chi la riceve. È invece necessaria, come proposto dalla Commissione europea, nella Comunicazione REPowerEU, una progressiva diminuzione delle importazioni di gas russo con il duplice obbiettivo di limitare i nostri finanziamenti alla Russia e ridurre la nostra dipendenza energetica

IL CASO DEL GAS IN ITALIA
Ci sono margini per fare a meno del metano russo in Italia? La coperta è stretta e se da un lato si rischia di lasciare al freddo le famiglie, dall’altro si rischia di rallentare la produzione industriale. La maggior parte dei programmi, come l’incentivo del 110% per gli edifici, chiedono anni per poter dispiegare la loro efficacia. Quali gli intervenirti immediati?
In base ai dati riportati in uno studio di Nicolandrea Calabrese, responsabile Enea del laboratorio efficienza energetica negli edifici e sviluppo urbano, se si abbassasse di un grado il riscaldamento di casa, una famiglia di risparmierebbe mediamente 118,6 metri cubi l’anno.
I 25,7 milioni di famiglie italiane in totale potrebbero fare a meno di 3,05 miliardi di metri cubi di gas. Nel 2021 l’Italia ha estratto dai suoi giacimenti 3,3 miliardi di metri cubi di gas.
Un possibile risparmio fino al 10%. Con alcuni comportamenti quotidiani è possibile risparmiare fino al 10% sulla bolletta: ad esempio spegnere le luci e il riscaldamento quando usciamo di casa, non aprire le finestre se c’è il termo acceso e spegnere il pc se non lo usiamo. Importante anche non eccedere con la temperatura nell’abitazione, ovvero oltre i 20 gradi.

Con queste piccole avvertenze una famiglia taglia gli sprechi fra il 2% e il 10%.
L’Italia è un Paese storicamente efficiente e risparmioso, indotto alla sobrietà anche da un secolo di rapacità fiscale sull’energia. L’intensità energetica primaria in Italia nel 2019 è stata pari a
90,07 tep/M€2015, ovvero per produrre beni (Pil) pari a un milione di euro a valori 2015 serve l’energia pari a quella di 90,07 tonnellate di petrolio. Assai meno energia rispetto alla media Ue di 101,7 tep/M€2015.

L’economista dell’energia Alessandro Marangoni sostiene che risparmi sui consumi sono possibili con alcune interventi diversificati nel breve e medio termine.
L’industria italiana ha già elevati livelli di efficienza, ma una maggiore sicurezza negli approvvigionamenti è possibile aumentando l’autoconsumo da fonti rinnovabili. Vi sono altresì ancora ampi margini di miglioramento negli edifici, a cominciare da quelli pubblici (ad esempio le scuole), spesso obsoleti e carenti di manutenzione. Anche nei trasporti ci sono spazi importanti, svecchiando il parco mezzi del trasporto pubblico locale, favorendo il trasporto su ferro e la sostituzione dei furgoni più anziani. Il settore civile (case, negozi, uffici) assorbe il 41,1% dei consumi finali di energia, seguito dai trasporti (29,8%) e dall’industria (20,7).

In termini di efficienza energetica il ventennio dal 1990 al 2019 ha visto l’Italia aumentare i consumi ma dopo il 2005 ha aumentato l’efficienza ed è tornata a consumare energia come alla metà degli anni 90. Chi è riuscita a modificare meglio di altri il consumo di energia è stata l’industria che (Rapporto 2021 Enea sull’efficienza energetica), dal 2005 ha ridotto i consumi del 33%. Motori sempre più efficienti, i trasporti hanno registrato dal 2007 un calo del -15,3% del fabbisogno di energia. Il settore civile, cioè famiglie, uffici, negozi e così via, “è l’unico settore che nel periodo 1990-2019 ha mostrato un andamento dei consumi crescente”, rileva l’Enea. In cifra: +44,1%. Nelle case, la maggior parte dei consumi (il 70%) è per scaldare o raffreddare; il 17,7% serve a cuocere e scaldare l’acqua. Il resto serve a fare luce e ad assicurare tutti gli altri servizi, come l’elettronica e la tv.

Alberto Giordano, consulente finanziario per Global Finance Magazine Nyc, scrive per il Gruppo Il Sole24ore.

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