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L'intervista

Il sindaco Gori: “In questi 8 anni Bergamo è cambiata. Tanto. E io con lei”

E sul suo futuro: "Non è escluso un successore che appartenga alla società civile. Io? Vorrei occuparmi di temi internazionali"

Bergamo. “Il futuro di questa città mi sta molto a cuore e il mio auspicio è quello di far sì che, al termine del mio secondo mandato, possa esserci una continuità d’opera. Certo, non tocca a me decidere chi sarà la persona che prenderà il mio posto, al momento non ho in testa una proposta puntuale, non sono portatore di un’istanza particolare. Quello che so è che abbiamo vinto due volte partendo da una chiara riconoscibilità di partito, riuscendo ad allargare molto il nostro consenso e a conquistare degli elettori che, almeno inizialmente, non erano dalla nostra parte. Questa resta la sfida del 2024. Per vincere a Bergamo devi andare oltre il consenso consolidato”.

Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, a otto anni dalla sua prima investitura ufficiale traccia un bilancio di quanto è stato fatto. Un’analisi ampia, lucida e analitica per certi versi, in cui il primo cittadino racconta di sé in realtà raccontando la sua città, partendo da una visione chiara e precisa, la stessa che aveva bene a mente quando nel 2014 gli elettori gli hanno dato fiducia per la prima volta. Una visione che l’ha portato, negli anni, a cambiare il volto di Bergamo, dandogli un’impronta sempre meno provinciale e più europea.

E ora, arrivati al giro di boa del secondo mandato, è tempo di fare bilanci e di pensare anche a un dopo, nonostante i suoi pensieri siano ancora fermamente ancorati sul fare dell’oggi: “Per vincere bisogna andare oltre il 51% dei consensi e, in questo, il dialogo con la società civile è fondamentale. Non è detto che il candidato debba essere estraneo alla vita del partito, come non è detto che non possa appartenere alla società civile. Sicuramente questi due mondi devono collimare, portando alla proposta migliore possibile”.

Quali sono i suoi pensieri a otto anni di distanza dalla prima elezione?

Io sono contento di ciò che è stato fatto finora. Il sogno era quello di dare una mossa alla città, di aprirla, di darle una veste più moderna, renderla più dinamica e accogliente e credo che in questo gli obiettivi siano stati centrati. Il merito è sì dell’amministrazione che ha lavorato con impegno e dedizione, ma non solo: c’è infatti anche una componente di investimento privato molto significativa che ha concorso ad aiutarci a dare un volto nuovo alla città. Noi abbiamo tracciato la via, segnato la rotta, e creato un clima di fiducia in grado di favorire gli investimenti, ma gli attori che hanno lavorato con noi in questi anni sono stati fondamentali. Uno dei presupposti del mio operato è sempre stato la volontà di puntare molto sul concetto di rigenerazione urbana e devo dire che in questo senso abbiamo lasciato un segno: la dimensione del riuso di aree e immobili che erano dismessi è molto rilevante. Rispetto a otto anni fa, oggi, tutte le aree in questione sono state rigenerate o sono oggetto di un progetto con una definizione ben precisa, finanziato o in itinere. I buchi neri in città erano tanti e questi sono solo alcuni esempi di come abbiamo lavorato pensato a rendere Bergamo una città un po’ più ambiziosa e di marca europea.

Quello che ha guidato il suo fare politica certamente è la volontà di avere una visione.

La visione è importante, anche se solo quella, ovviamente, non basta. La politica deve camminare tenendo ben presente sia il piano degli investimenti per le grandi opere e per gli obiettivi più strategici, i cui risultati spesso non sono immediatamente visibili, sia quello del presente, delle cose più minute. A proposito ricordo spesso che, durante la campagna elettorale per il secondo mandato, quando avevo organizzato gli incontri definiti “Il caffè con il sindaco”, i cittadini non mi parlavano mai di grandi opere come lo stadio, della Montelungo, della nuova Gamec, Porta Sud, piuttosto delle aree cani, dei parcheggi, della sicurezza e di altro ancora. Mi raccontavano, e io prendevo appunti di vita vissuta e quello che ho imparato, negli anni, è che avere una visione è importante ma al tempo stesso lo è anche vivere l’oggi.

Bergamo, una città europea in potenza ma che, con l’amministrazione Gori, ha trovato la sua espressione.

Lo era già, assolutamente. È sufficiente pensare alla nostra economia, potente e di respiro internazionale. Bergamo però non trovava nella sua dimensione amministrativa e nella cultura condivisa un corrispettivo. Rispetto a come eravamo, abbiamo imparato ad alzare lo sguardo e a confrontarci senza timidezza anche con altre città più grandi di noi. Abbiamo fatto un po’ come l’Atalanta, né più né meno: pur squadra di provincia, si è giocata tutte le sue carte, facendolo al meglio, ha vissuto l’esperienza della Champions, senza paura. Questo è un cambio di mentalità e non è solo il frutto dell’impegno e del lavoro dell’amministrazione: in questo senso, infatti, anche la presenza dell’aeroporto e della nostra università si sono rivelati due fattori rilevanti nel contesto di questa trasformazione.

Una visione d’insieme che non dimentica, ma al contrario, punta la lente sempre di più sui quartieri. Il concetto di decentramento, tema ricorrente anche nelle politiche dei vari assessorati, non ha fatto altro che rendere ancor più saldo il legame con il centro cittadino. 

Quanto più diventi cittadino del mondo, tanto più hai bisogno di avere delle radici, un’identità, un’appartenenza, specialmente in un momento di trasformazione e cambiamento come in questo momento storico. Pensiamo ai grandi temi della tecnologia, della salvaguardia ambientale, le pandemia, le guerre, la demografia, a come è cambiato il mondo negli ultimi anni: per molti sono realtà vissute destabilizzanti e quindi ben si può comprendere quanto sia importante avere punti saldi nella propria vita, avere riferimenti anche culturali per leggere le situazioni e per poterle affrontare. Lavorare su elementi di appartenenza è fondamentale per garantire al cittadino anche una maggior stabilità, fiducia e positività nel vivere comune: quando mi sono candidato, io stesso, non avevo assolutamente presente quanto fosse importante questo tipo di approccio. Credevo infatti di essere stato chiamato ad amministrare, credevo semplicemente che, da sindaco, il mio compito fosse quello di affrontare problemi per trovare soluzioni. È certamente così, ma non è tutto. O meglio, non è solo questo. Molto è infatti lavorare sulle connessioni, sulle relazioni, sulla tenuta di una coesione della società e della comunità.

Come è cambiato, se è cambiato, il suo fare politica negli anni?

Sicuramente la drammaticità degli eventi che ci ha travolti ha cambiato il mio modo di fare politica e ha cambiato anche me, nella misura in cui mi ha insegnato che fare il sindaco significa anche parlare con i concittadini, offrire una sponda, un consiglio, una rassicurazione. Ecco, tutto questo, e lo dico in totale sincerità, prima non mi era ben chiaro, credevo che il mio ruolo avesse solo una cifra pragmatica.

Negli ultimi giorni si è più volte espresso a favore dei referendum per i quali i cittadini saranno chiamati a votati a inizio giugno. 

Sì, sono a favore di tutti e cinque i quesiti, come ho già detto più volte. In particolare, ci tengo ad esprimere il mio sì alla modifica della legge Severino perché trovo che abbia un contenuto controverso e per certi versi inaccettabile. Il mio assenso anche alla separazione delle carriere di giudice e accusatore, ristabilendo così un sostanziale equilibrio in sede di processo penale, e anche il mio via libera alla cancellazione di uno dei tre fattori, in particolare la reiterazione del reato, che concorrono a garantire la custodia cautelare in carcere. Credo che questa sia una misura di cui spesso si abusa, basta confrontare i dati italiani con quelli europei. Non condivido la posizione del mio partito, che è per cinque no, ma al tempo stesso apprezzo la possibilità che ci è stata data, in termini di libero arbitrio, di rispondere ai quesiti secondo coscienza.

Del resto lei ha detto più volte che laddove non arriva il parlamento, devono arrivare i cittadini.

Direi di sì. Noi sindaci l’abbiamo detto davvero in molte occasioni ai vertici del nostro partito che, ad esempio, la legge Severino andava ritoccata ad esempio quando poteva toccare o punire ingiustamente la figura degli amministratori. Ecco, non è cambiato nulla. Quindi, ora vediamo se succede qualcosa di diverso. Mi rendo anche conto che, col fatto che la Corte Costituzionale ha cancellato i quesiti più popolari, probabilmente il quorum non verrà raggiunto, però questa non è una ragione per non andare a votare.

Pensare all’Italia è d’obbligo, ma lo è altrettanto volgere il pensiero alla drammaticità degli eventi internazionali. Come legge la situazione oggi? Cosa si poteva fare per evitare un conflitto mondiale? 

Abbiamo colpevolmente sottovalutato tutta una serie di situazioni, dal 2008 in avanti, come ad esempio quando la Crimea e la Georgia sono state invase. Anche in quelle occasioni Putin aveva chiaramente espresso le sue intenzioni e noi abbiamo fatto un po’ spallucce, pensando anche a sanzioni molto leggere. Abbiamo trascurato tutte le situazioni drammatiche a cui sono andati incontri i suoi avversari politici: ammazzamenti, avvelenamenti, arresti a raffica, pensando che fossero fatti loro, che fossero manifestazioni di un fascismo contemporaneo. Questo per quanto riguarda gli errori del passato, mentre sull’oggi, secondo me, stiamo facendo quello che dobbiamo fare, dando supporto difensivo all’Ucraina, senza lesinare aiuti. Sono però preoccupato, in queste ore, perché vedo questa Europa che tanto abbiamo celebrato nelle scorse settimane, anche per la straordinaria capacità dimostrata durante il periodo della pandemia, arrancare quando si tratta di trovare il giusto coraggio nell’applicare le sanzioni. Ci abbiamo messo un mese, ad esempio, a prendere una decisione sul petrolio e ne vedremo gli effetti alla fine dell’anno. È come se, quando c’è da mettere sul piatto qualcosa di proprio, quando ci dobbiamo giocare qualcosa di nostro, si facesse fatica e si tirasse indietro la mano. Del resto, però, secondo me, questa è l’unica via per accorciare il corso del conflitto e per aiutare l’Ucraina. Spero che si riesca a non dividersi, che resti una comunione di obiettivi e d’intenti non solo tra i Paesi facenti parte dell’Europa, ma anche con l’America. Anche per non perdere gli effetti positivi degli investimenti che l’Europa ha fatto sull’Italia, perché questo è il PNRR e per cercare di mantenere una stabilità che, al momento, è garantita dalla presenza al Governo della figura più autorevole che potessimo avere, ampiamente rispettata sul piano internazionale. Ecco, tra un anno andiamo a votare e su cosa ne possa derivare, non lo so. E questo può rendere il quadro ancora più incerto.

Siamo arrivati alla fine, sindaco. Lei come si vede tra due anni?

Sto cominciando ora a ragionare su cosa potrei fare a mandato terminato. Quel che è certo è che non mi vedo fermo, continuerò a fare, anche dopo questa bellissima esperienza locale. In questi anni, quello che mi è un po’ mancata è la dimensione estesa dello spazio, cioè viaggiare, girare il mondo. Mi piacerebbe avere la possibilità di affrontare anche altri temi, internazionali, allargando appunto il mio orizzonte, dopo tanti anni vissuti fianco a fianco alla mia città. Di certo non fare più televisione, di questo sono assolutamente sicuro. E per quanto riguarda Bergamo, credo che tocchi a qualcun altro. Se anche ci fosse il terzo mandato, non mi ricandiderei.

 

 

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