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La recensione

A Cannes “Le otto montagne” con Alessandro Borghi: una storia d’amicizia tra le vette maestose

Film italianissimo nonostante i registi stranieri, tratto dal libro che nel 2017 ha vinto il premio Strega

“Le otto montagne” nasce da un adattamento del romanzo omonimo di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega nel 2017. Ambientato in Valle d’Aosta, è una storia tutta italiana girata però a quattro mani dai registi belgi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeeersch.

“L’amicizia è un luogo dove metti le radici e che resta ad aspettarti”. Si apre così il film mentre vengono inquadrati verdi alberi maestosi che si staccano sullo sfondo di montagne austere. Amicizia e montagna, i temi della pellicola sono dichiarati nell’incipit.

L’amicizia tra Pietro, un bimbo di città che va in vacanza in montagna d’estate e aspetta tutto l’anno quel momento per rivedere il suo amico Bruno, che è l’unico bambino rimasto in un paesino di ormai sole 14 anime: “quando è arrivata la strada per portare i turisti, invece è stata la gente del paese ad andarsene” dice Bruno.

L’amicizia dei protagonisti evolve nel tempo, mentre i due crescono, ma vive e si rafforza proprio grazie alla montagna. E attraverso l’amicizia e la montagna Pietro e Bruno cercano il loro posto nel mondo, il loro habitat naturale, il primo in un irrequieto cercare un “altrove” che lo porta anche in Nepal (da qui il titolo che si riferisce a una concezione del mondo nepalese), il secondo in un granitico rimanere attaccato alle proprie radici.

Sottotraccia c’è anche una storia di padri e di figli che crescono, del rapporto di Bruno con un padre violento e perlopiù assente, di Pietro con un padre solitario e innamorato della montagna ma soffertamente fedele al suo lavoro in città. Quando Pietro dall’adolescenza in poi si allontanerà dai genitori criticando soprattutto il modello di vita del padre, sarà Bruno ad accompagnare il padre di PIetro nelle escursioni in montagna.

Belle immagini di montagna accompagnano i momenti, i silenzi e i dialoghi chiave; bellissime quelle dei due bambini che inventano giochi nella natura in giornate estive che sembrano infinite. Le riprese sono in formato quadrato, così evitano l’ampiezza della panoramica e lasciano sempre una parte di paesaggio fuori campo proprio come “fuori campo” , aldilà di temporanei incontri vissuti in montagna, resta gran parte delle vite dei due.

Nonostante il film sia misurato nelle parole – e forse l’adattamento dal libro è riduttivo nel rendere alcune sfumature, come l’origine della crisi tra Pietro e il padre – è pervaso da una sensibilità che aggancia lo spettatore in molti momenti della narrazione, ma in altri suona un po’ scolastico.

Davvero azzeccati gli interpreti dei due bambini e ben recitato da Alessandro Borghi il personaggio del ruvido Bruno. Un film che apre gradevolmente la competizione per la Palma d’Oro, ma non crediamo la vincerà, perchè manca un afflato che lo faccia volare alto come le cime tra cui è ambientato.

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