• Abbonati
Ambiente

Transizione energetica, Celata: “Ci sono lungaggini burocratiche spaventose”

Al primo evento di Bergamo Next Level si è parlato di energie rinnovabili con uno dei maggiori esperti nazionali: "Non è possibile impiegare 14 anni per sbloccare un parco eolico, come è stato fatto a Brindisi"

Bergamo. Il primo evento di Bergamo Next Level 2022 ha al centro un tema di estrema attualità: l’energia. Un talk, una chiacchierata aperta per fare il punto sulla transizione energetica e sulle fonti rinnovabili. Con uno dei maggiori esperti nazionali sull’argomento: Gian Piero Celata, presidente del Cluster Tecnologico Nazionale Energia. Già direttore del Dipartimento Tecnologie Energetiche dell’Enea e membro dell’European Energy Research Alliance, l’ingegnere in collegamento in diretta ha risposto alle sollecitazioni degli ospiti presenti nell’auditorium Calegari di Confartigianato.

Celata ha ricordato le condizioni ambientali di partenza per affrontare la questione: “I cambiamenti climatici sono dovuti all’effetto antropico e in particolare alle emissioni di Co2. Per questo l’impiego crescente di energie rinnovabili rappresenta un affrancamento dalle importazioni di gas e petrolio”.

Puntare sul green è ancora più importante in considerazione dell’aumento del costo del gas.
“Sono due le cause dell’aumento negli ultimi mesi. La prima la ripresa economica del post pandemia, che ha generato una domanda superiore alle possibilità dell’offerta ma anche forti speculazioni. La seconda è la guerra in Ucraina. Dalla Russia importiamo 29 miliardi di metri cubi di gas, pari al 38%, sui 76 miliardi totali. E il 45% della produzione elettrica è legata al metano”.

La soluzione dunque restano le rinnovabili. Ma a che punto siamo in Italia? “L’Unione Europea è stata un precursore, mettendo come obiettivi per il 2020 il 20% di riduzione dei gas serra e l’ampliamento del 20% delle rinnovabili. In Italia, anche grazie agli incentivi, siamo andati bene fino al 2015, arrivando a 110-115 tera watt ora. Da quel momento in poi però ci siamo fermati. Negli ultimi 5-6 anni siamo andati avanti con la media di uno all’anno. Da qui al 2030, per raggiungere gli obiettivi europei, dobbiamo installare altri 70 giga watt. Abbiamo otto anni, con questi ritmi ce ne metteremo settanta”. La domanda è una sola e la risposta pure. “Perché abbiamo rallentato? Ci sono lungaggini amministrative e burocratiche spaventose. Non è possibile impiegare 14 anni per sbloccare un parco eolico, come è stato fatto a Brindisi”.

Ad aprire il dibattito moderato da Giuseppe Franchini, docente dell’Università di Bergamo, è stato Massimo De Petro, Cpo di Radici Group e Ceo di Geoenergie: “Aziende come la nostra che partono dalla chimica, vanno nella trasformazione e finiscono poi nella produzione per fare applicazioni, come quelle tessili, sono fortemente energivore. Abbiamo un consumo di energia elettrica nel novero di 450-480 giga watt. In Italia ne consumiamo dai 300 ai 330. Di questi 330, 70 giga watt sono di energia rinnovabile. Per noi come Gruppo Radici l’obiettivo è aumentare in maniera esponenziale la nostra autoproduzione di rinnovabile, ma il problema sono le lungaggini burocratiche”.

Anche De Petro concorda con la tesi di Celata. “Per l’approvazione di un progetto ci sono dieci anni di attesa. Ma in dieci anni il mondo cambia. Se non cogliamo l’opportunità, perché la crisi è un’opportunità, di sviluppare le rinnovabili, che erano necessarie anche prima della guerra, non potremo essere indipendenti dalla Russia con il gas che costa 5 volte di più rispetto a settembre e con le speculazioni imperanti, da cui molti paesi stanno traendo profitto. Dobbiamo stringere l’iter burocratico a non più di un anno”.

Il vantaggio di una velocizzazione delle procedure non è solo ambientale ma anche per il posizionamento sul mercato: “Se non andiamo nella direzione delle rinnovabili, in cui le materie prime le abbiamo, soprattutto il sole, non ce la facciamo a livello competitivo a stare in Europa, e tantomeno a livello mondiale. Le rinnovabili non solo porterebbero un miglioramento ambientale ma anche una stabilizzazione dei prezzi nei confronti dei paesi europei che ci renderebbe competitivi”. Per gli imprenditori, sostiene, non è una questione di fondi: “Gli imprenditori non chiedono soldi e incentivi per portare avanti le rinnovabili: i soldi ci sono e gli imprenditori vogliono investire. Quello che manca è lo snellimento della parte burocratica”.

Identica la posizione del presidente di Confartigianato Imprese Bergamo Giacinto Giambellini: “Parlando di energia è importante saltare l’asticella. Ma bisogna essere allenati e saper saltare, perché l’asticella purtroppo viene continuamente alzata, prima lo ha fatto il Covid e ora la guerra. Il problema è che la burocrazia ci fa morire”.

Per Giambellini è possibile farcela, ma serve un cambio di mentalità. “Venticinque anni fa dicevamo che la burocrazia ci uccideva. Se continuiamo a dirlo tra di noi, probabilmente tra 15 anni saremo ancora qui a dircelo. Bisognerebbe che accadesse qualcosa di ancora più straordinario”. Più straordinario di quello che già sta avvenendo? “Faccio un esempio. Se per caricare il cellulare per chiamare nostro figlio o nostra figlia per una questione di vita o di morte l’unica soluzione a disposizione fosse pedalare, cosa faremmo? Si pedala. La guerra è questo. Questa è l’asticella da superare, ma se saltiamo insieme sulle rinnovabili possiamo farcela”. L’unico modo per uscire dall’impasse è spingere sulla sburocratizzazione e sulle fonti sostenibili.

Ineludibile, visto il tema, concludere parlando di nucleare. Gian Piero Celata, ingegnere nucleare, ha dato la propria visione: “Innanzitutto bisogna precisare che il nucleare non è propriamente un’energia rinnovabile ma è considerata ‘pulita’ perché non produce Co2. In ogni caso sono molto perplesso sul fatto che in Italia sia perseguibile. Abbiamo perso vari treni. La prima volta con il disastro di Chernobyl e la seconda volta con l’incidente di Fukushima nel 2011. Le filiere nazionali inoltre sono state smantellate”. Non siamo pronti per il nucleare, e forse non lo saremo più. Anche perché i tempi di realizzazione sono lunghissimi: “Se ci mettiamo dieci anni per realizzare un impianto fotovoltaico – conclude Celata – quanti ce ne metteremmo per uno nucleare?”

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI