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Il convegno

Mazzoleni: “Bergamo prima provincia lombarda per consumo di energia, quinta in Italia”

Con la Camera di commercio una riflessione che si muove tra le scelte degli scorsi decenni e quelle che guardano almeno alla metà del secolo, lungo le strette connessioni tra assetti geopolitici ed energia, un confronto per fare il punto della situazione a due mesi dallo scoppio della guerra

Bergamo. Se il futuro del mercato dell’energia italiano va riscritto – ed è già in fase di rapida riscrittura, dopo l’inizio dell’invasione in Ucraina –, accanto alla fuga dal gas russo a vantaggio di quello di altri paesi del mondo ci si torna a chiedere se davvero non sia questa l’occasione giusta per le energie rinnovabili, come soluzione di lungo periodo in grado di avvicinare il Paese all’autonomia energetica.

È un salto in avanti e indietro nel tempo e nello spazio quello sviluppato nel corso dell’incontro organizzato dalla Camera di Commercio di Bergamo, dal titolo “Geopolitica dell’energia”: una riflessione che si muove tra le scelte degli scorsi decenni e quelle che guardano almeno alla metà del secolo, lungo le strette connessioni – rese evidenti dal conflitto – tra assetti geopolitici ed energia, un confronto per fare il punto della situazione a due mesi dallo scoppio di una guerra i cui risvolti si fanno sentire anche nella provincia di Bergamo.

“Siamo la prima provincia lombarda per consumo di gas naturale, la quinta in Italia – ha spiegato in apertura Carlo Mazzoleni, presidente della Camera di Commercio di Bergamo – Credo che a questo punto l’obiettivo della decarbonizzazione che ci eravamo posti con il PNRR debba essere conciliato con una politica energetica in grado di mettere in sicurezza il paese”. La parola chiave di questi anni per Mazzoleni è ‘discontinuità’: “La stiamo osservando a tutti i livelli – ha commentato –: geopolitico, culturale, religioso, ed ovviamente economico: non è la fine della globalizzazione come qualcuno sostiene, ma certamente è l’inizio di un nuovo ciclo”.

“L’Europa è in grado di fare a meno del gas russo – ha sostenuto Renato Mazzoncini, amministratore delegato di A2A –, ma nessuno dei paesi con cui lo sta sostituendo, in Africa soprattutto, ci può lasciare tranquilli. Il problema della dipendenza energetica rimane. Così come rimarrebbe se puntassimo al nucleare, visto che servirebbe una quantità di uranio che oggi non abbiamo e che dovremmo importare”. Per Mazzoncini l’attenzione va quindi rivolta alle fonti di energia alternative. “Quelle autoctone, innanzitutto: l’acqua, con l’Italia terzo produttore di energia idroelettrica d’Europa, il sole, che abbiamo più della media europea, il vento e la geotermia. E poi i rifiuti, in grado di garantire una quantità di energia 4-5 volte superiore a quella data dal gas che possiamo estrarre dall’Adriatico. So bene che in questo modo non possiamo diventare completamente autonomi, per questo serve una politica energetica comune in Europa: alla fine tiriamo le somme e importiamo insieme la quota, non altissima, che manca. Vanno poi efficientati edifici e mobilità, mentre l’industria ha già fatto moltissimo”.

Gli fa eco Antonio Gozzi, presidente di Duferco Italia Holding, leader in Italia nella produzione di acciaio, un comparto che di energia ne consuma parecchia: “I passi avanti sull’efficientamento energetico sono stati enormi – ha commentato Gozzi – e la produzione della siderurgia italiana, unica al mondo, deriva all’80 per cento da forno elettrico: i nostri imprenditori conoscono da tempo il problema dell’approvvigionamento energetico, e si sono attrezzati. Non c’è una sola tecnologia che può dare la soluzione: credo più nel concetto di neutralità energetica: nel nostro portafoglio energetico a prevalere non deve esserci una sola fonte. E in termini di energie rinnovabili, dobbiamo sfruttare anche la miniera infinita di biogas che viene dalle aziende zootecniche di cui siamo circondati”.

La domanda di fondo rimane quanto e come l’Italia può rendersi il più possibile autonoma, sul fronte energetico ma non solo. È il punto di approdo della riflessione di Paolo Magri, vicepresidente esecutivo di ISPI, che traccia il quadro del conflitto ucraino e gli scenari dei prossimi mesi: “Ci aspettiamo che la guerra continui ancora a lungo – ha spiegato Magri –, e nelle prossime settimane assisteremo a nuove devastazioni. Il blocco occidentale sembra rafforzato da una ritrovata coesione attorno ai propri valori, ma bisogna ammettere che l’altro blocco è quello del futuro, composto da paesi asiatici e africani che non stanno contrastando la Russia e che sono quelli con i più alti livelli di crescita. Molto dipenderà dalla posizione della Cina: se si schierasse in modo più deciso con la Russia, allora sì che avremmo due chiari blocchi commerciali separati. E le crepe, nel nostro blocco, con il tempo emergeranno, negli stati e tra gli stati. Quello con gli USA è il miglior matrimonio su piazza, non ci sono esitazioni, ma la domanda è se il ritorno di questo appiattimento sugli Stati Uniti rappresenti o meno un passo in avanti per quella autonomia strategica che l’Europa andava cercando da tempo, e se i nostri interessi sono gli stessi, visto che già oggi subiamo costi della guerra molto diversi”.

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