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Giornata mondiale

Michela e Youssef, genitori di due bimbi autistici: “Siamo felici anche così, c’è chi sta peggio”

Adam ha 9 anni e Karim 6, poi c'è Leila che ne ha 11 ed è un punto di riferimento per i fratelli. "Una volta finito il percorso con Ats, che dura massimo 3 anni, le famiglie sono abbandonate a loro stesse"

Ponteranica. “Venerdì per Karim è stata l’ultima seduta del suo percorso con Ats. Da questo momento in poi ci dobbiamo arrangiare”.

A parlare è Michela Berti, 33 anni, mamma di Karim, 6 anni, un bimbo con disturbo dello spettro autistico di livello 3. Il secondo figlio, Adam, 9 anni, ha un autismo di livello 1. E poi c’è la primogenita, Leila, 11 anni, punto di riferimento per i suoi fratelli e grande aiuto nella gestione familiare.

Michela e Youssef Ouadoud, 40 anni, si conoscono nel 2010 tramite un’amica comune. Si innamorano, dopo un anno arriva Leyla: vivono inizialmente a Dalmine, poi si trasferiscono a Ponteranica, dove abitano i genitori di Michela. Nel 2012 la famiglia si allarga con l’arrivo di Adam.

La diagnosi di autismo arriva quando il bambino ha 5 anni e Michela è in attesa del terzo figlio. “Il primo ad accorgersi è stato lo zio. Adam faceva dei movimenti particolari, quando gli parlavi non ti guardava mai negli occhi, metteva in fila tutte le macchinine, i cucchiaini, accendeva sempre le luci, faceva fatica a parlare – racconta la mamma -. Quando ha iniziato ad andare all’asilo ho espresso alla maestra i nostri sospetti, ma lei mi ha detto di aspettare a trarre conclusioni, dato che era ancora piccolo. Poi, l’anno successivo, è stata lei a suggerirci di fare un controllo ed infatti gli è stata diagnosticata una forma di autismo ad alto funzionamento. L’ultimo anno di asilo gli è stato assegnato un insegnante di sostegno e ora a scuola ha sia il sostegno che un’assistente educativa”.

Adam è un bambino molto creativo, è un esperto di dinosauri, disegna, realizza sculture con la plastilina. Guardandolo e parlando con lui ci si accorge appena della sua disabilità. “Fatica un po’ a gestire le emozioni, sia quelle positive che quelle negative – spiega Youssef -. Per calmarsi ed elaborare ciò che sente ha degli amici immaginari. In questo periodo parla con un gattino di peluche che si chiama Saro, con lui si confida, gli racconta la sua giornata, i dialoghi che ha avuto con le maestre, con i compagni. Gli serve per gestire i momenti di stress”.

È un bambino simpatico, molto dolce: “Spesso ti si avvicina e di punto in bianco ti dice che ti vuole bene – continua il papà -. A scuola è ben voluto da tutti, le maestre lo coccolano, i compagni ci giocano. Poi però, una volta uscito dall’ambiente scolastico, non viene molto coinvolto purtroppo. E lui ci soffre, ci rimane male, dice che non lo invita mai nessuno a casa sua a giocare”.

Nel 2016 arriva Karim. “Con lui ci siamo accorti quasi subito che c’era qualcosa, anche perché avevamo già avuto l’esperienza con Adam. Aveva reazioni molto forti durante il pianto, a due anni e mezzo non diceva nessuna parola, così lo abbiamo portato a fare la visita e ci hanno detto che anche lui era autistico, ma ad un livello più alto rispetto al fratello”, dice Michela.

Karim ora ha sei anni, non parla ma è molto bravo a costruire con i lego, riesce anche a seguire le istruzioni di montaggio. “Non credo riuscirà mai a parlare – continua la mamma – però è in grado di comunicare attraverso il metodo Pecs: utilizza un libro con delle fotografie e quello che vuole te lo fa capire attraverso le immagini”.

Michela porta spesso i bambini al parco dove loro sono liberi di giocare. Riesce anche a distrarsi un po’ parlando con altre mamme, ma il suo orecchio è sempre teso: “Karim prende un legnetto e picchia contro ogni superficie che trova, sia fuori sia in casa. Io sento il suono e capisco che è nei paraggi ed è tranquillo”. Lei scherzando lo chiama ‘Il richiamo della foresta’.

Perché Michela e Youssef, nonostante tutto, sono due persone sorridenti, con una forza d’animo sorprendente: “Noi siamo felici anche così, ci riteniamo fortunati, c’è chi sta peggio”, dicono guardandosi negli occhi.

E poi c’è Leila, che dà una grande mano: “Lei è davvero collaborativa, fa la doccia a Karim, gli mette il pigiama. Quando la mattina siamo in ritardo lo veste, se io e Youssef siamo impegnati cura lei il fratellino”.

 

ouadoud

 

Il periodo della pandemia è stato molto difficile per la famiglia Ouadoud, tanto che, a luglio 2020, Youssef ha deciso di chiedere il congedo straordinario consentito dalla legge 104 e per due anni resterà a casa dal lavoro ad aiutare Michela nella gestione dei figli.

“Durante il primo lockdown abbiamo deciso di non portarli fuori, nonostante la legge ce lo consentisse. Ma ci siamo resi conto di aver sbagliato perché per Adam non è stato difficile ma Karim voleva uscire, è andato in crisi. E quando ci siamo decisi a portarli fuori, non voleva più rientrare a casa, si faceva ore di pianti quando dovevamo rincasare. Così ho pensato di stare a casa perché mia moglie da sola non poteva farcela. È stata davvero dura: alla sera, quando finalmente i bambini dormivano, io mi sedevo sul divano, lei se ne andava in camera, non ci parlavamo quasi e non perché non volessimo stare insieme ma perché eravamo esausti tutti e due, avevamo bisogno di silenzio e di riprenderci dalla giornata. Da quando ho preso questa decisione la situazione è molto migliorata, ci dividiamo i compiti, c’è complicità tra di noi e i bambini sono molto più sereni”.

Youssef e Michela cercano di condurre una vita normale: escono insieme ai loro figli, li portano in giro, a mangiare il gelato, al lago, in vacanza: “Anche al ristorante ogni tanto. Ci proviamo, incrociamo le dita ogni volta. Certo, siamo sempre sul chi va là perché capita spesso che Adam o Karim inizino a protestare, a fare capricci, ma noi non ci vogliamo chiudere in casa. Speriamo sempre di trovare persone comprensive ma non è facile, anche perché la gente quando pensa ad una persona autistica si immagina uno che sbatte, che urla o picchia. I nostri figli non fanno così, chi li vede pensa che siano due bambini normalissimi. Quando hanno certi comportamenti dovuti alla loro condizione, spesso li scambiano per maleducati, ma non è colpa loro. Purtroppo l’autismo si conosce poco e ciò che non si conosce fa spesso paura. La giornata per la consapevolezza dell’autismo dovrebbe essere tutti i giorni, non solo il 2 aprile!”.

La famiglia si sente un po’ abbandonata dallo Stato: “Quando finisce il percorso con l’Ats, che dura al massimo tre anni, le famiglie vengono lasciate a loro stesse – dice Michela -. Adam e Karim frequentano Spazio Autismo a Bergamo una volta la settimana ma per il resto, se volessimo portarli nei centri specializzati, dovremmo spendere circa mille euro a testa al mese tra terapista, visite, relazioni, incontri scuola-famiglia. Servirebbero dei voucher statali per sollevarci un po’ economicamente perché così ci sentiamo davvero abbandonati.  Siamo anche preoccupati per il cosiddetto ‘dopo di noi’ perché, almeno per il momento, non ci sono programmi per consentire a chi è affetto da autismo di sviluppare l’autonomia, non ci sono percorsi per inserimenti lavorativi”.

Ma a questo la famiglia Ouadoud penserà più avanti. Ora Michela e Youssef si godono i loro bambini che saranno anche di difficile gestione a volte, ma danno davvero grandi soddisfazioni e tutti e cinque insieme si fanno anche delle belle risate. Adam dice: “Io sono autistico, che vuol dire che non ascolto e faccio i capricci, però Karim è troppo autistico!”, aggiunge quando si arrabbia.

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