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Bergamo

Trent’anni del Centro Daccò, Garattini: “I sogni si possono realizzare”

Il fondatore e presidente dell'Istituto Mario Negri, Silvio Garattini, è intervenuto al convegno organizzato per il trentennale del centro Daccò

Bergamo. “Se sogniamo tutti insieme, i sogni si possono realizzare”. Con queste parole il professor Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto Mario Negri, invita ad affrontare con determinazione le sfide del presente e del futuro, guardando sempre a nuovi orizzonti con determinazione e lungimiranza.

La sua accorata esortazione ha concluso il convegno “Da 30 anni ricerchiamo la rarità”, organizzato nella serata di lunedì 28 marzo al Centro Congressi Giovanni XXIII di Bergamo per celebrare il trentennale della nascita del Centro di ricerche cliniche “Aldo e Cele Daccò” di Ranica, il primo in Italia a studiare le malattie rare. Il farmacologo e ricercatore bergamasco ha affermato: “Prendendo spunto dalla domanda contenuta nel titolo del mio intervento, ossia ‘Ne è valsa la pena?’, rispondo sicuramente si, almeno per due motivi. Prima di tutto abbiamo il dovere della gratitudine verso le persone che ci hanno aiutato e verso chi ci sostiene, perchè per fare qualsiasi cosa servono i mezzi e bisogna avere strutture adeguate. Abbiamo molte persone da ringraziare, a cominciare dal Comune di Ranica, per l’impegno che ha profuso affinchè Villa Camozzi potesse assumere questa destinazione d’uso”.

Fra le persone a cui dire grazie sicuramente c’è Cele Daccò, vedova di Aldo, ai quali il professor Garattini ha espresso la riconoscenza “per il fondamentale e generoso contributo per la realizzazione di questo grande progetto”.

“Un altro motivo di gratitudine – ha proseguito il presidente dell’Istituto Mario Negri – è tutto quello che si è visto oggi (lunedì 28 marzo, ndr) al convegno, cioè i ricercatori e tutti coloro che lavorano al centro, il loro entusiasmo, la loro dedizione e la voglia di andare avanti. Per farlo bisogna continuare l’attività svolta finora ma anche inventare nuove vie. Le malattie rare sono patologie anti-economiche perchè sviluppare i farmaci per poterle curare costa molto e i profitti sono inferiori rispetto a quelli generati in altri ambiti, quindi per le aziende farmaceutiche tante volte non risulta conveniente investire in questo settore. Per superare questo ostacolo si potrebbe puntare sull’imprenditorialità no-profit, che può rappresentare una nuova via ricca di potenzialità. Per individuare possibili soluzioni che possano portare a trovare cure efficaci mi sono chiesto: se le aziende farmaceutiche sono capaci di sviluppare farmaci, perchè non possiamo farlo anche noi, ricercatori, università ed enti di ricerca? Avviene già per altre patologie anti-economiche come le malattie tropicali, per le quali in alcuni casi si è riusciti ad avere farmaci a prezzi ragionevoli. In quest’ottica, è fondamentale che gli Stati e l’Europa mettano a disposizione le risorse per realizzare questa imprenditoria no-profit, che darà risultati anche dal punto di vista economico. I numeri, infatti, evidenziano che la spesa in ricerca viene sempre ampiamente ripagata: per ogni euro che si spende se ne ritrovano nove anche se serve un certo lasso di tempo. Il ritorno si ha dopo un po’ di anni: non sono investimenti attraenti per chi in politica agisce guardando alle prossime elezioni, che arrivano con una frequenza minore rispetto alla tempistica necessaria affinchè la scienza possa dare i risultati. Se si riuscisse a entrare in quest’ordine di idee e si sviluppasse questa impostazione, nulla sarebbe impossibile. Quando ero ragazzo avere una malattia era grave, se avevi i soldi la curavi altrimenti no: era impossibile pensare che si potesse avere il servizio sanitario nazionale, che si può e si deve migliorare ma è un bene straordinario che non dobbiamo perdere. Proseguendo su questa strada, bisogna compiere ulteriori passi avanti e penso che l’imprenditoria no-profit possa avere un grande ruolo strategico per giungere alle cure. In base al lungo percorso che ho compiuto e all’esperienza acquisita, sono convinto che queste nuove vie potranno portare al raggiungimento di altri importanti traguardi perchè se sogniamo tutti insieme i sogni si possono realizzare”.

In un convegno ricco di spunti, l’attenzione si è posta su diversi aspetti, spaziando fra il significato del concetto di malattia rara, l’importanza di sviluppare sinergie fra competenze differenti e investimenti in termini di risorse umane e non solo. Inoltre, in diversi passaggi, è stato evidenziato come lo studio delle malattie rare permetta di acquisire conoscenze che serviranno per la medicina del futuro, rendendo possibile un nuovo approccio che prenda in considerazione le specificità dei pazienti per le diverse patologie, non solo quelle rare.

convegno trent'anni centro daccò

Sono intervenuti molti esperti ma anche i pazienti che, portando le loro testimonianze, hanno sottolineato il valore della ricerca e le sue ricadute sulle nostre vite, il ruolo dell’Istituto Mario Negri e del Centro Daccò, la passione e la professionalità che guida ogni giorno i ricercatori ma anche la loro umanità nello stare accanto ai pazienti seguendoli passo passo.

Dopo i saluti istituzionali iniziali, alla presenza del sindaco di Bergamo Giorgio Gori e del vice-presidente di Regione Lombardia e assessore regionale alla sanità Letizia Moratti, hanno preso il via i lavori. Si sono susseguiti diversi relatori, a cominciare dal professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri (“30 anni e… sembra ieri”), l’introduzione di Sara Gamba; Erica Daina (“Passato e Futuro”); Ariela Benigni (“Si parte dal malato, poi si passa ai topi per tornare al malato”); Marina Noris (“È sempre e solo una questione di geni?”); Amantia Imeraj (“Appena laureata già nel vortice delle malattie rare”); Arrigo Schieppati (“Lettere, lettere, lettere: quante… ma servono?”); Matias Trillini (“Le malattie davvero rare si studiano in un altro modo”); Sara Gamba (“Una laurea per fare i letti?”); Valentina Bonetto (“A caccia di indizi”); Gianluigi Forloni (“Una questione di famiglia”) e Francesca Bassino (“Dove sono finita?”).

Quindi, si è continuato con i talk-show del professor Remuzzi e Alessandro Milan, dal titolo “Chi ci aiuta e perchè”, con la partecipazione di Daniela Gennaro Guadalupi (Fondazione A.R.M.R.), Fabrizio Spoleti (Progetto DDD onlus), Luca Romano (Fondazione La Nuova Speranza onlus), Anna Ambrosini (AriSLA) e Stefania Cappanera (A.I.R.C.S).

Sottolineando l’importanza di valorizzare il merito affinchè possano avere più spazio i più preparati, infine, intervenendo a un talk, il professor Remuzzi ha annotato: “Per ottenere i risultati bastano tre elementi, cioè la ricerca con gli animali, la presenza di un centro dedicato alla ricerca clinica e la possibilità di contare su un grande ospedale dove arrivino i medici migliori”.

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