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Bergamo

“Open”, di Daniel Ezralow, in scena al Creberg

Lo spettacolo, in scena giovedì 31 marzo, è un inno alla libertà creativa di questo coreografo

Bergamo. Giovedì 31 marzo alle 21 al teatro Creberg andrà in scena lo spettacolo “Open”, di Daniel Ezralow, ballerino, coreografo e attore statunitense, dedito alla danza contemporanea e attivo in campo teatrale, televisivo e cinematografico.

Daniel Ezralow vive a Los Angeles, ma va avanti e indietro fra Italia e Stati Uniti da più di venticinque anni. Ha un rapporto costante con il nostro Paese.

“In Maremma ho un rudere, e intorno ci sono 450 ulivi che hanno prodotto già una sessantina di litri d’olio. L’olio, con il caffè, sono gli alimenti che amo di più: due sapori molto mediterranei. Il mio intento è di coltivare un orto sano con ogni prodotto, come sto facendo a Los Angeles. L’Italia, per me, è un grande laboratorio creativo che mi ha dato la possibilità di sperimentare come da nessun’altra parte e di essere sempre “Open”, aperto. Credo che io e l’Italia ci siamo scelti reciprocamente. La mia seconda casa, dopo Los Angeles, è qui. Ci sono sempre stato bene, fin dalla prima volta che ci ho messo piede. Sia al nord che al sud, non vedo differenze. Amo l’Italia, c’è affinità fra me e la gente: ogni volta che vi atterro respiro la quiete, la serenità interiore. Adesso so parlare la vostra lingua e ho imparato a cucinare gli spaghetti e i risotti. Resto però uno straniero, un americano di origini ebreo russo-polacche”.
In Italia il Festival di Sanremo e Amici hanno accresciuto la sua popolarità, ma qui ha fatto anche pubblicità, cinema e teatro.

“Amici è sempre molto divertente e fresco. Sanremo è un impegno concitato, emozionante e coinvolgente dove ognuno cerca di dare il meglio di sé in tempi strettissimi. Mi è piaciuto lavorare ad Amici, anche se l’aspetto della competizione non mi appartiene. Maria De Filippi mi ha permesso di dare sfogo alla mia follia. Ho cercato di insegnare ai giovani a tirare fuori il genio che hanno dentro, indipendentemente dal loro collo del piede.
La grandezza del teatro, invece, risiede nel pubblico, nel luogo, nel feeling dei ballerini, negli applausi. Tra la televisione e il teatro, quello che cambia molto nella creazione della coreografia sono soprattutto i tempi: in televisione le coreografie sono brevi, di pochi minuti, e devono subito essere d’impatto; in teatro, invece, è l’esatto contrario”.
Daniel Ezralow all’Università ha studiato medicina e contemporaneamente si è dedicato allo sport. Poi si è avvicinato alla danza con un corso, e la febbre trasmessa non l’ha più lasciato. È stato un passaggio metamorfico: da atleta alla danza.

“La danza per me è vita, è un’energia dentro di noi universale. Perché siamo nati con il movimento. E’ come l’ossigeno nell’aria. Vorrei che chi vedesse Open avesse una buona sensazione e, poi, la trasmettesse a qualcun altro, come una cascata di gioia che si diffonde. Cerco spesso di trovare un modo diverso di esprimermi. Quando ho iniziato a danzare volevo solo capire come saltare. Poi ho cercato la perfezione del movimento. Ora non penso più a cosa fare, ma a cosa accade intorno al corpo. Ho capito che la danza esiste perché siamo vivi. Il battito del nostro cuore è un movimento che ci spinge a ballare e ci accompagna per tutta la vita. In questo momento mi viene in mente Lucio (Dalla): ho passato molto tempo nella sua casa di Bologna, a parlare di tutto. Ho dei ricordi meravigliosi anche della “Tosca”. Lui per la danza aveva un’enorme sensibilità. Ricordo che rivedendoci al Festival di Sanremo ci abbracciammo e ci mettemmo a ballare nei corridoi dell’Ariston. Gli proposi di lavorare di nuovo insieme e lui ne fu entusiasta. Poi una settimana dopo seppi che era morto. Mi manca tantissimo, ha lasciato un vuoto enorme”.
Daniel Ezralow è un coreografo molto eclettico e il successo dei suoi spettacoli è dovuto al fatto che riesce sempre ad attirare a sé un pubblico di età diverse, fattore che forse oggi nella danza viene sottovalutato. La sua è, infatti, una danza apprezzata anche da chi quest’arte non la conosce bene, perché fatta di una serie di elementi, tra cui leggerezza, ironia, ottimismo, gioiosità, sorpresa, coinvolgimento diretto, capacità di riunire il comico e il tragico in uno stesso momento. La genialità risiede nell’uso del sistema visivo, in una coreografia ingegnosa e straordinaria tempistica. Ezralow non fa che scavare nella sua fertile immaginazione per rinnovare il modo di toccare la gente. Pesca dal suo vasto retroterra e confeziona uno show che include e non esclude, esalta le differenze e invita gli spettatori ad aprirsi verso un mondo infinito di contaminazioni: somatiche, coreografiche e tecnologiche. Teatro, cinema, televisione, musica, moda, sport, pubblicità: sostiene di fare di tutto perché non è in grado di fare delle scelte. E lo fa sempre con molta umiltà. L’arte, dice, “è l’unica arma che l’uomo possiede per superare momenti di crisi, perché dà gioia, voglia di vivere e senso alla vita. Ed è proprio nei momenti di crisi che, chi ce l’ha, tira fuori tutta la propria creatività. L’arte è una delle rare cose che non può andare indietro, ma solo avanti”.
“Open”, scritto a quattro mani con la moglie Arabella Holzbog, è un patchwork di piccole storie che strizzano l’occhio allo spettatore con numeri a effetto, multimedialità, ironia e umorismo, all’insegna del più puro entertainment. “Un antidoto alla complicazione della vita”, come dichiara lo stesso Ezralow. Uno spettacolare inno alla libertà creativa, al ciclo della vita e alla rivisitazione dei successi da lui creati, volto a trasportare il pubblico in una nuova dimensione dove umorismo e intensità danno vita a una miscela esplosiva di straordinaria fantasia creativa ed emozione scenica.

“Prima di chiamare lo spettacolo Open, pensando a Calvino avevo pensato a Recostruction, perché dobbiamo continuamente rimuovere e ricostruire. Il titolo però non funzionava, così mia moglie mi ha suggerito Open: una parola che, con le sue quattro lettere molto bilanciate ha in sé tanta energia. I motivi per cui ho deciso di chiamare lo spettacolo “Open” sono diversi: aperti possono essere il cuore, la mente, gli occhi, una finestra. “Open” vuol dire aperto al mondo, al lavoro, al business, agli altri. Bisogna guardare al presente senza remore, appunto con mente aperta. La vita è spesso pesante, ma abbiamo tanta energia positiva che aiuta a risolvere i problemi. Il titolo fa riferimento a un’apertura culturale ma anche stilistica. A me piace mescolare. La mia formazione non è classica, quindi ci sono poche punte; non è neanche la break dance, quindi non roteo tanto sulla testa. Posso però usare ognuno di questi elementi per comunicare il senso del momento”.
Sul palcoscenico di Open, oltre ad una scenografia molto semplice composta di quattro pannelli su cui vengono proiettati una successione di quadri visivi e vignette in movimento, vi sono otto ballerini della sua compagnia americana che, nelle numerose sequenze di gruppo, così come negli assoli, coniugano con scioltezza il linguaggio neoclassico e la modern dance, incantando il pubblico in un mix tra sorpresa, divertimento, leggerezza e agilità. Nella coreografia si susseguono emozioni e sensazioni differenti, come l’ironia, il dolore, o la speranza, fino ad arrivare a un’idea ecologista.

“In Open c’è il contrasto tra città e natura, laddove solo quest’ultima può liberare l’uomo dalla frenesia della vita. Il filo conduttore è che attraverso la città arrivo alla natura. Ritengo che oggi i più giovani siano cresciuti con dei nuovi valori che noi non avevamo, come il rispetto per l’ecologia. L’ho visto in mio figlio che a dieci anni nella sua scuola di Los Angeles aveva seguito programmi innovativi sul rimboschimento. Saranno loro a salvare il mondo. Con questo spettacolo la mia intenzione non è raccontare una storia, tant’è che il clima è piuttosto astratto, ma sono i vari elementi messi insieme a fare la storia. I danzatori per metà spettacolo sono vestiti, per l’altra metà sono nudi ma dipinti. E’ stato a diciannove anni che avevo scoperto che potevo esprimermi e raccontare col corpo. Del resto il nostro linguaggio nasce dal corpo, che è il nostro strumento. La tecnica, invece, è un modo di esprimersi; a differire sono solo le finalità”.

Negli anni ’80, con Momix e Iso, Ezralow ha rinnovato la danza contemporanea rendendola giocosa, atletica, popolare, collaborando anche con rockstar come gli U2. Con Open, invece, punta sulla classica.
“Sono una persona che ha dedicato la vita alla creatività del movimento in ogni spazio: palcoscenico classico, Broadway, televisione. Per me l’atto creativo è sacro e può insorgere dalla cosa in apparenza più inutile. Nell’inseguirlo, le mie cellule provocano una reazione che fa vivere l’opera stessa. Non so dire dove sta andando la danza, semplicemente perché è molto più grande di noi ed è un istinto per me. L’importante è essere nell’oggi con il proprio bagaglio, perché è lo spirito che cambia. La mia danza è fisicità, ironia, leggerezza e tanta gioia. Non voglio un pubblico annoiato, ma felice e convinto, che quando esce dal teatro porti via qualcosa attraverso gli occhi. Voglio sorprenderlo. Così per Open ho scelto la musica classica e quella che ho scelto è alla portata di tutti, come nel film “Fantasia” di Disney. Ho scelto proprio la più tradizionale e conosciuta, come i Notturni di Chopin e le musiche più celebri di Rossini, Beethoven, Bach. Creano un bel contrasto. Ritengo sia un po’ scontato ormai costruire un balletto su una musica rock o elettronica oppure su una musica classica trasformata in musica rock. Dagli anni ‘80 in poi si è instaurato un legame fortissimo tra la danza e la musica pop-rock. I musicisti avevano cominciato ad affidare ai coreografi i videoclip delle loro canzoni e i ballerini delle grandi accademie si erano ritrovati a interpretare i Beatles. In questa idea, però, secondo me non c’è molto di nuovo. La novità, invece, è vedere un ballerino jazz o hip hop che danza sull’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini. Sono assolutamente convinto che le coreografie possano aiutare i giovani ad avvicinarsi alla musica classica. La classica oggi ha tanto da dire, in questo senso è nuovissima. In fondo è Lei che tiene insieme la danza classica, quella moderna e

l’hip hop. L’artista deve sempre de-costruire per rinnovarsi, è fondamentale per la creatività e in questa fase della mia vita mi rendo conto che la musica classica è molto moderna. Bach, ad esempio, è pazzesco. Se lo ascolti, dopo non ti piace più neanche il rock”.

Ezralow non vede una grande differenza nella formazione dei ballerini italiani e americani.
“Più della nazionalità, nella loro formazione emerge l’origine, vale a dire se un danzatore ha iniziato in televisione o in teatro oppure in strada per divertirsi e poi gli è stato consigliato di seguire un corso. Un tempo in Italia i danzatori non capivano la lezione di Martha Graham, oggi invece tutti conoscono l’importanza della contrazione e sanno che ogni movimento parte dal centro del corpo”.

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