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Dall’inviato

Ivan e Alex, diciott’anni: sembrano bambini che giocano alla guerra. Ma non è un gioco

Se non fossimo alla prima periferia di Huzhhorod, Ucraina, in un campo sportivo abbandonato, diresti che sono due studenti bergamaschi che prendono il bus per andare a scuola.

Che profumo ha il desiderio di difendere la propria libertà? La libertà del proprio Paese?

Ha il profumo di Ivan e Alex. Delle loro tute blu e grigia della Adidas, le scarpe immacolate della Nike. Il ciuffo di capelli che cade in avanti.

Se non fossimo alla prima periferia di Huzhhorod, Ucraina, in un campo sportivo abbandonato, diresti che sono due studenti bergamaschi che prendono il bus per andare a scuola.

Sorridono, ma non scherzano mentre provano a ricaricare il fucile, si stendono a terra, mirano ad obbiettivo e simulano la sparatoria.

Chissà se pensano davvero che dovranno sparare a un giovane della loro età? Se si rendono conto che a 18 anni si hanno davanti praterie di vita da scoprire e percorrere e non nemici da annientare.

Immaginano ancora una guerra uomo a uomo, quando qualcuno a Mosca ha il potere di premere un pulsante e sganciare missili che potrebbero distruggere l’intera Europa dalla faccia della Terra.

Davide Ucraina soldati aiuti

 

Li osservi e ti chiedi: che colpa hanno loro? Se non la loro giovane età e quel desiderio di essere come tutti i ragazzi del mondo: liberi.

Agili corrono sul percorso immaginario di guerra, uno copre l’altro, poi di nuovo a terra, caricano, mirano e sparano. Si rialzano pensando di avere la meglio. Come bambini che giocano alla guerra.

Intanto lungo il fiume del Tibisco uomini anziani lanciano lenze in acqua in attesa di una promettente pesca. Lungo il fiume giovani donne spingono passeggini, altre più mature chiacchierano animatamente sedute su una banchina.

I ponti che attraversano la città hanno bandierine e luci, il desiderio di una festa sincera fatta anche di poco. Da un cancello un militare stringe la sua giovane sposa che spinge a sé un piccolo mazzo di fiori.

Dall’inizio dell’invasione armata russa i matrimoni qui sono esplosi. Il fronte di guerra spinge anche i più indecisi ad avere qualcuna che li aspetta a casa.

Davide Ucraina soldati aiuti

 

Al termine del ponte coi lucchetti ci sono signore che vendono tulipani coloratissimi.

Accanto una donna anziana apre due sacchetti bianchi, vende per poco semi di zucca e di girasole. Anche se c’è il sole, si copre il capo per il freddo sotto un pesante foulard. Per pranzo si spingerá qualche passo più avanti dove l’amministrazione comunale ha aperto una mensa che sfama gratuitamente oltre diecimila pasti al giorno.

Sono tutti ucraini fuggiti da Kiev e dalle città bombardate dai russi.

Non hanno ancora lasciato il paese in attesa che questa guerra finisca presto e possano tornare a casa.

Sono ospitati in scuole, palestre, edifici pubblici. Non hanno con sé che solamente lo stretto necessario.

Intanto lungo il fiume si finge la vita di un normale sabato di marzo, in attesa di una primavera che liberi tutti dall’incubo dell’invasore e della distruzione nucleare.

Lo sanno bene anche i volontari della Protezione Civile Ana di Telgate che hanno portato cibo, farmaci e coperte.

Tra le richieste degli ucraini soccorsi c’è lo iodio. Chernobyl qui è un ricordo vivo soprattutto per le donne più grandi che sono apprensive, premurose e attente come solamente loro sanno essere. Madri anche senza aver generato.

Nella suddivisione del primo materiale arrivato da Bergamo ogni cosa ha un suo riferimento. Anche la più anonima scatola di legumi, lo zucchero, la salsa di pomodoro compongono razioni di borse che vanno alle famiglie.

Davide Ucraina soldati aiuti

 

Tutto fuori sembra normale, ma la tensione e la preoccupazione è tangibile.

Locali semivuoti e lunghe code alle stazioni di servizio: qui hanno già iniziato a razionalizzare i carburanti. Sacchi di sabbia sono stati posti persino sui balconi del municipio.

Si spara, si bombarda e si muore a meno di duecento chilometri da qui, da Huzhhorod e da Côp, regioni da sempre spartite e annesse alle guerre che hanno scandito i secoli della storia d’Europa. Quell’Europa che qui è più vicino che mai: dalla segnaletica stradale alle insegne in cirillico che ben convivono con l’inglese.

L’Ucraina è vicinissima, quanto nemmeno si potrebbe immaginare. È un’opinione condivisa dai volontari che dalla provincia orobica si sono spinti fin qui in questo primo convoglio di aiuti umanitari.

Hanno scaricato al freddo della notte, a meno nove gradi sotto zero, 32 bancali di cibo, farmaci e tanto altro materiale. Sono andati a letto alle 5.

Il tempo di rientrare prima che scattasse un allarme.

Hanno dormito per terra, sui tappeti del soggiorno di Anna, una funzionaria della dogana che li ha accolti perché alberghi e case sono tutti occupati di profughi.

Due ore di sonno e poi via ancora. L’incontro con i volontari dell’esercito e i richiamati, l’appuntamento con i funzionari del comune e del servizio che distribuisce viveri alla popolazione. Potete chiedere a loro, potete domandare a Tarcisio Ravelli, Roberto Alzate, Marco Baldelli, Fulvio Mazza, Maldin Lilollari, Gianbattista Belotti, Davide Manenti e Gago Iulian, oltre a Tetyana e al sindaco Fabrizio Sala.

Testimoni di un esodo, soccorritori di un’umanità vittima del potere.

Ora che il viaggio del ritorno è iniziato si fa carico di un altro impegno: riportiamo in Italia il papà anziano di Tetyana e una madre con tre figli di 28, 10 e 5 anni. Il sindaco Sala si è fatto garante per loro e ha trovato una sistemazione in una famiglia di Telgate.

Mentre riprende il viaggio di ritorno si fa sera, fa freddo. Alla dogana tra Ucraina e Ungheria ci sono auto colme di una vita, donne al volante con figli piccoli, il cane che osserva dal finestrino. Un pollice alzato strappa un sorriso: qualsiasi arma non potrà mai spegnere la speranza di vivere in un mondo migliore. Migliore perché in pace.

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