• Abbonati
Damiano amaglio

Associazioni in crisi: “Mettiamo a sistema le risorse, al lavoro con UniBg per mappare i volontari”

I giovani, molto impegnati durante la pandemia "ora sono in osservazione, attendendo che qualcuno li ingaggi e li coinvolga"

Bergamo. Il prezioso lavoro svolto dalle associazioni di volontari durante questi due anni di pandemia ha messo in risalto il grande cuore dei bergamaschi, al punto da nominare la nostra città come Capitale Italiana del Volontariato 2022. Tuttavia, nonostante l’incredibile risposta (in modo particolare della Protezione Civile) il mondo dell’associazionismo risulta oggi in un momento di difficoltà e vede una diminuzione nel numero dei suoi volontari. Abbiamo intervistato Damiano Amaglio, consigliere provinciale delegato a Famiglia e Associazionismo per una panoramica sulla situazione.

Consigliere, Bergamo è Capitale italiana del volontariato 2022: che significato ha in questo momento?

Innanzitutto confido non si limiti a essere una vetrina ma che sia occasione di riflessione e analisi, evidentemente funzionali a un rilancio. Certamente non possiamo solo fermarci a pensare e dimenticare la gestione della quotidianità, dato che bisogni nuovi e crescenti chiedono risposte, qui e ora; è l’eterno dilemma dell’amministratore: trovare un equilibrio virtuoso tra contingenza e visione.

Quali sono questi nuovi bisogni che chiedono risposte?

Ce ne sono di consapevoli e di meno consapevoli. Nel senso che ci sono ferite nascoste causate dalla pandemia di cui matureremo coscienza poco a poco e che non sarà così facile curare. Ad esempio, nessuno restituirà questi due anni ai bambini in età evolutiva; i più piccoli sono cresciuti con il distanziamento sociale come prima regola di relazione, e non sappiamo come questo inciderà sulla loro crescita: monitorarlo è un nuovo bisogno. Un’altra priorità sarà garantire relazione continua e sicura alla generazione più fragile, quella anziana, perché il Covid non sparirà totalmente ma non possiamo pensare di isolarla dal mondo ancora a lungo.

Cosa dicono i numeri sullo stato di salute del volontariato bergamasco?

Non abbiamo dati completi e aggiornati che confrontino pre e post pandemia, e per questo stiamo provando a costruire un percorso che ci fornisca un quadro più chiaro. Non dimentichiamo che il mondo dell’associazionismo è già messo sotto pressione dalla riforma del terzo settore e dall’iscrizione al nuovo Registro Unico.

Può spiegare meglio quest’ultimo punto?

La questione è complessa. Per lo più la si sta “vendendo” come mero adempimento burocratico ma presenta risvolti politici e sociali da non sottovalutare. La nuova legislazione impone di inserire in un unico registro tutti i soggetti del terzo settore, pena la perdita dei benefici fiscali per coloro che non saranno considerati idonei. L’idoneità può dipendere da diversi fattori partendo dagli statuti, in centinaia di casi da correggere. È un lavoro immane e delicato che in questo momento è sul tavolo del personale della Provincia a cui va il mio ringraziamento sincero.

A prescindere dai dati, qual è il sentore che viene dal territorio?

Noi abbiamo il polso della situazione grazie ai rimandi dei comuni, e le criticità nel mondo del volontariato originano da una serie di fattori concatenati. Una grossa fetta dei volontari è venuta meno per ragioni anagrafiche. Chi e come ha colpito la pandemia lo sappiamo, e la generazione più anziana era ed è la colonna su cui poggia l’associazionismo. Ma quando dico venuta meno non mi riferisco solo alle vittime del Covid ma anche a coloro che oggi non trovano più la spinta, la motivazione di un tempo, per ragioni fisiche o psicologiche; in ogni caso quell’inerzia del “facciamo perché lo abbiamo sempre fatto” è stata spezzata dal lockdown e da tutte le precauzioni sacrosante legate al distanziamento sociale: il tema oggi è come ripartire, senza illudersi che basti ripetere gli schemi di un tempo.

Fondamentalmente lei auspica un cambio di prospettiva.

Un bagno di realtà, considerando che non si tratta di una sconfitta. Il volontariato non è competizione e non bisogna farsi prendere dall’ansia da prestazione; il mondo dell’associazionismo affonda le proprie ragioni di senso nell’offrire risposte ai bisogni della comunità. E se abbiamo meno risorse bisogna ripartire dall’essenziale, e pezzo per pezzo riallargare. Chi ha detto che dobbiamo riprendere a fare le mille cose che facevamo prima? E comunque non tutte uguali, questo è pacifico. Organizzavamo il Giro d’Italia? Amen, ma ora c’è da reimparare ad andare in bicicletta: serve un paziente e affettuoso lavoro di affiancamento per tutti coloro che si sono dimenticati come si fa. Ecco, ora dovremo iniziare a pensare a come far uscire di casa quella parte di popolazione che non se la sente più di farlo. E prima ancora riuscire a raggiungerla a casa. È una fetta oggi nascosta, fragile, non solo anziana o malata.

Molti di coloro che si sono messi in gioco durante la pandemia erano giovani. Dove sono ora?

Per lo più sono ritornati dov’erano… sono lì, in osservazione, attendendo che qualcuno li ingaggi e li coinvolga. Noi italiani siamo i migliori nell’emergenza, e mediamente rispondiamo presente alla chiamata alle armi. Il punto è andare oltre l’emergenza e consolidare tutte le energie. Chi pensa ad un semplice avvicendamento di “manodopera” fa male i conti.

Cosa avete in programma per i prossimi mesi?

Esiste già un fitto programma steso da una larga cabina di regia coordinata dal Centro Servizi Volontariato e dal Comune di Bergamo. La Provincia è al tavolo e in questo momento sta lavorando con l’Università per costruire una ricerca sul mondo del volontariato bergamasco che fornisca una fotografia aggiornata, una mappatura completa dal punto di vista quantitativo e qualitativo.

A quali altre azioni nel concreto state pensando per dare una nuova spinta al mondo dell’associazionismo?

Dice concretamente, come se tutto ciò che ci siamo detti sinora non lo fosse. Noi bergamaschi fermi a pensare facciamo proprio fatica a stare ed è il nostro limite, ma ci sono tempi di passaggio epocale che richiedono investimenti di riflessione. E poiché non si riflette sul sentito dire ecco la scelta, ad esempio, di avviare una ricerca che durerà mesi. Su quei dati costruiremo politiche consapevoli e azioni mirate. Detto questo non voglio sottrarmi alla provocazione e rispondo che proveremo a costruire azioni di spinta, anche se dovremo farlo sulle macerie lasciate dalla Riforma Del Rio che ha svuotato il comparto che gestisco. Un’iniziativa di grande interesse verrà presentata entro l’estate, ma per ora su di essa mantengo assoluto riserbo.

Tutto questo si inserisce in un contesto globale nuovamente drammatico. Come si concilia?

Abbiamo chiamato guerra la pandemia, e ora che ne siamo quasi fuori ci mettiamo a farne una vera, inutile e irrazionale. In poche ore siamo stati catapultati nell’emergenza ucraina e la nostra comunità non si è fatta pregare nell’attivarsi in modo solidale. Sono stato incaricato dal presidente Gandolfi di coordinare un tavolo di crisi provinciale sulla raccolta di aiuti umanitari proprio in virtù della mia delega all’Associazionismo. Lo farò insieme al collega Cocchi che segue la Protezione Civile e alla collega Russo, che si occupa di Politiche Sociali. Ancora una volta sarà il terzo settore a venir chiamato a raccolta, e sono convinto che non si sottrarrà nonostante sia provato, logorato, frastornato da due anni di pandemia. Come scriveva un grande bergamasco del Novecento, Giacinto Gambirasio, sóta la sènder, brasca. Ancora una volta, come sempre.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI