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Beni di consumo

Martina: “La guerra ucraina fa volare i prezzi. Zucchero più 50%, grano più 38%”

Maurizio Martina, vice direttore della Fao: "Se non facciamo contratti di filiera, non usciremo dalla crisi"

Farina, zucchero, oli vegetali e fertilizzanti, queste le voci più significative dei prodotti che hanno subìto un notevole rialzo a causa del conflitto in Ucraina. Indici che erano già ampiamente in aumento lo scorso anno e che, oggi, a fronte della guerra voluta dalla Russia non possono che aumentare ulteriormente. “Il dato è allarmante, non dobbiamo nasconderlo – racconta Maurizio Martina, vicedirettore generale della FAO,- e anche se le valutazioni vanno fatte necessariamente su scala nazionale, non possiamo certo non considerare le ripercussioni sulla politica agroalimentare locale, come ad esempio, quella bergamasca”.

Zucchero +50%, oli vegetali +8,5%, grano +38,6%, soia +6% e mais +17%, questo l’indice nazionale: “Quello che registriamo, come osservatorio, secondo i parametri della Borsa di Chicago, quella riferimento per il nostro settore, è un aumento generale dei prezzi del 20%, con le specifiche di ogni singolo prodotto. Il trend era già negativo prima del conflitto, ed era legato principalmente alla crisi energetica e ai prezzi dei fertilizzanti che, per essere prodotti, necessitano di una grande quantità di gas azotato per essere prodotti. Chiaro che quanto si è andato a creare nelle ultime settimane non aiuta in nessun modo l’economia mondiale, e, anche quella italiana”.

La Russia e l’Ucraina sono infatti grande esportatori, in particolare, di grano, tanto da rifornire la maggior parte dei Paesi del Mediterraneo: “Basti pensare che il Nord Africa, soprattutto l’Egitto, riceve da queste due nazioni il 70% del suo fabbisogno. Ora, la guerra è un dramma da tantissimi punti di vista, umanitario in primis ed economico, e anche le conseguenze sono pesanti: i blocchi dei porti sul mar Nero, ad esempio, non aiutano i Paesi come, ad esempio, quelli citati nelle fasi di approvvigionamento dei beni alimentari”.

Impennata dei costi che si riversano quindi nei portafogli dei cittadini: “Il grano aveva già subìto un grande incremento nel 2021, del 20-25%. Praticamente siamo tornati indietro, alla crisi del 2007/2008, crisi che ci ha insegnato che se vogliamo uscire da una situazione così difficile non possiamo far altro che fare in modo che i mercati agricoli restino aperti. Dobbiamo insistere con questa politica d’intervento per evitare di peggiorare ulteriormente la situazione”.

Ma non basta. “Certo la contingenza del momento non consente grandi margini d’intervento, ma sarebbe bene cominciare anche a ragionare in termini di comodity agricole, ovvero incrementare le produzioni interne ad ogni singola nazione, per limitare al massimo le importazioni. E’ chiaro che il tutto non si riduce solo a questo. L’Italia, ad esempio, è un Paese di media dimensione per produzione, ma molto considerevole dal punto di vista della trasformazione e dell’esportazione. E’ chiaro che questo si riversa su quanto, poi, finisce sulla nostra tavola e sui costi, ne sono esempi concreto il costo della pasta e del pane”.

L’invito, quindi, è quello di continuare a lavorare facendo rete: “Bisogna unire le forze, cercando in ogni modo di stipulare contratti di filiera – chiude Martina -, per definire insieme i prezzi, cercando di lavorare all’origine su quelli energetici, per consentire a produttori, esportatori e consumatori di non avere problemi né di reperimento né salassi dal punto di vista economico”.

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