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L'intervista

Sara Peruzzini, sindaco di Lallio: “Sono una donna in un mondo di giacche e cravatte”

In occasione della giornata della donna, la prima cittadina ci racconta la sua testimonianza

Lallio. In occasione della giornata della donna, abbiamo chiesto ad alcune sindache di raccontarci il loro percorso, cosa significa essere donna e ricoprire l’incarico di amministratrice di una comunità e di spiegarci i pregiudizi o le difficoltà che hanno incontrato.

Abbiamo intervistato Sara Peruzzini, sindaco di Lallio, chiedendole la sua testimonianza.

Com’è cominciata la sua esperienza alla guida del paese?

La mia esperienza in amministrazione, non solo come sindaco, è iniziata un po’ di anni fa. Mi sono trasferita a Lallio da circa 17 anni e insieme ad altri fondatori ho aperto l’associazione genitori A.Ge, di cui sono diventata presidente. Ho cominciato, così, a collaborare con l’amministrazione comunale: è stato un percorso naturale, che mi ha portato a entrare a farne parte. Sono stata assessore all’istruzione e alla cultura, poi quando il mio gruppo è giunto al terzo mandato mi hanno chiesto di candidarmi a sindaco e ho dato la mia disponibilità.

Preferisce utilizzare la parola sindaco o sindaca?

Ritengo che il mio essere donna sia parte del mio essere sindaco. Non penso che la declinazione al femminile di questo termine possa cambiare e neppure dimostrare in modo più marcato il concetto. L’utilizzo della parola sindaco o sindaca non ha importanza: le mie caratteristiche vengono riconosciute nel lavoro che svolgo quotidianamente.

Ed è difficile emergere per una donna?

Solitamente mi definisco “una donna in un mondo di giacche e cravatte”. La politica e le alte cariche dirigenziali ma più in generale il mondo del lavoro vedono una percentuale significativa e importante di uomini. C’è ancora molta strada da fare, ma la nostra società ha compiuto passi da gigante e in poco più di cinquant’anni sono cambiate molte cose, per le donne. Rispetto a mia nonna e a mia mamma, posso dedicarmi a un impegno a cui loro non potevano nemmeno immaginare. Noi donne, in primis, però, siamo ancora legate a retaggi culturali che ci accompagnano ancora oggi nella nostra vita: dobbiamo essere noi in primis a smarcarci dagli stereotipi per intraprendere il nostro percorso. Sono sindaco ma sono innanzitutto una moglie e una madre, una donna che si occupa della sua casa e della sua famiglia, come tutte. Io per prima, però, ho qualche attimo in cui prevale il senso di colpa.

Quale?

A volte mi chiedo quanto tolga alla mia famiglia, al mio essere madre e moglie per dedicarmi a questo impegno a cui ho scelto di dedicarmi, condividendo la decisione con i miei familiari. In quanto mamma, mi preoccupo delle cose quotidiane della casa, per esempio che il pranzo sia pronto e i miei figli abbiano preparato la cartella prima di andare a scuola, mentre per un uomo probabilmente è diverso perchè culturalmente è portato a pensare che se ne occupi l’altra parte genitoriale. D’altro canto, a volte, anche noi donne siamo poco capaci di delegare ai nostri compagni. La mia esperienza mi porta a dire che riesco a dedicare tanto tempo allo svolgimento del ruolo di sindaco perché accanto a me ho una persona a cui ho potuto delegare diverse faccende e assume i compiti che potrei effettuare io all’interno della casa. Posso dire che se sono una donna sindaco e riesco a dedicarmi a questa funzione è anche perchè ho accanto un compagno, un marito, che ha condiviso la mia scelta: è un messaggio importante anche per i nostri figli.

In che senso?

Con il mio impegno sto insegnando loro la perfetta intercambiabilità tra mamma e papà. Sto dimostrando in modo concreto che sono una moglie e una mamma ma al tempo stesso una persona che può dare qualcosa alla società in cui vivono. Questo mi ripaga di quei momenti in cui mi capita di sentirmi in colpa o di non essere abbastanza presente nella mia famiglia. È un insegnamento per la vita: saranno uomini già formati e sapranno che la donna ha esattamente le stesse possibilità, capacità e opportunità di poter fare una scelta impegnativa senza doversi sentire inadeguata.

Che apporto può dare una donna rispetto a un uomo alla guida di un paese?

Al netto delle competenze che ognuno acquisisce nel proprio percorso, credo che il valore aggiunto di un uomo sia la fermezza, mentre le donne geneticamente, storicamente e culturalmente sono abituate dalla nascita a mediare, a essere empatiche e a trovare quella strada laterale che magari è più lunga ma raggiunge l’obiettivo.

Secondo lei a Bergamo quanto spazio c’è per le donne?

Nella quotidianità raramente incontro donne nei posti dirigenziali. Mi trovo a partecipare a riunioni in cui sono l’unica donna presente e all’inizio questo mi creava un po’ di disagio: i miei colleghi mi hanno aiutata a farmi sentire a mio agio e poi sono intervenute le competenze. Nel mondo del lavoro, generalmente, si occupa un ruolo perchè si ha un determinato curriculum o delle certificazioni, mentre nella politica il percorso si è compiuto per arrivare a rivestire una carica è meno evidente o meno certificato.

E cosa pensa delle quote rosa?

Penso che le donne vadano valorizzate: il loro impegno politico e professionale andrebbe premiato e incentivato, ma non ritengo che la definizione di una quota rosa possa essere il solo modo attraverso cui facilitarle e sostenerle in questo percorso. Non sono diventata assessore o sindaco perchè sono donna o serviva la quota rosa ma perché un gruppo di persone mi ha ritenuto essere la figura più adeguata a ricoprire quel ruolo. Bisogna mettere le donne nelle condizioni di poter assurgere a quel ruolo non in base al genere ma ai principi della meritocrazia, altrimenti ci rituffiamo in un Medioevo che ancora distingue il maschio e la femmina.

Ha incontrato difficoltà o pregiudizi dettati dall’essere donna?

Alcune materie come l’asfaltatura delle strade, i tombini o le fognature, che vengono considerate ancora prettamente maschili. Me ne accorgo quando effettuo sopralluoghi su un cantiere o partecipo a una riunione tecnica. Quando devo affrontare una tematica che non è nelle mie corde, porto con me assessori, consiglieri e tecnici competenti: faccio parte di una squadra costruita in base alle competenze e tutti siamo sullo stesso piano. Spesso, ahimè, mi è capitato di avere di fronte persone che fanno più fatica a relazionarsi direttamente con me ma cercano di rivolgersi a chi è vicino a me perchè è un uomo. Non ho mai avuto difficoltà a esprimere il mio pensiero e a far sentire la mia voce, ma devo dire che ho vissuto diverse volte questo pregiudizio.

E da parte dei cittadini?

Mi conoscono e mi hanno votato, non ho mai riscontrato grandi difficoltà in questo senso. Va considerato che sono diventata sindaco subentrando a un uomo, che è rimasto accanto a me come vicesindaco ed è impegnato da tanti anni nell’amministrazione. Anche per loro potrebbe valere l’impressione che possano rivolgersi con più facilità a lui o agli uomini dell’amministrazione, ma questa mia percezione potrebbe essere un po’ falsata dal periodo che abbiamo vissuto a causa del Covid-19: sono diventata sindaco a maggio 2019 e a febbraio 2020 è scoppiata la pandemia e il lockdown ha influito sulla mia visibilità. Più in generale, c’è una diversità di approccio dei cittadini a un sindaco donna: i cittadini si interfacciano con me in maniera più diretta, mentre se fossi un uomo grande, grosso e con la barba probabilmente utilizzerebbero una modalità differente. Credo, però, che su questo aspetto incida anche il carattere della persona: io cerco di annullare sempre le distanze

Quanti passi dobbiamo ancora compiere per arrivare a una vera parità?

C’è ancora molta strada da compiere e buona parte è compito in primis delle donne. È stato fatto tanto ma il percorso è complesso, lungo e non lineare come può essere per un uomo. Abbiamo bisogno di essere sostenute dalla società, dagli uomini ma dobbiamo avere una fortissima determinazione. Vale per tutti i settori e anche nella politica: a differenza di altri lavori, che hanno un’organizzazione più standardizzata, l’impegno come sindaco non è prevedibile: che stia aiutando mio figlio a fare i compiti o stia facendo shopping con mio marito rimango sempre primo cittadino e in caso di necessità dovrei poter scappare. in questi casi la famiglia si gestisce, sono equilibri che si costruiscono man mano insieme. Nella nostra società diventerà naturale se ognuno si adopererà per renderlo possibile: bisogna lavorare nell’immediato guardando in prospettiva.

Per concludere, da dove comincerebbe per migliorare la condizione femminile in Italia e a Bergamo?

Innanzitutto da un percorso culturale e di conoscenza che cominci dalla scuola per annullare questa differenza di genere. Inoltre, ritengo che siano fondamentali i servizi per mettere le donne nelle condizioni di potersi impegnare con più facilità in ambito professionale e politico. Il problema è duplice e riguarda sia le risorse sia il tempo: chissà quante ragazze potrebbero fare il sindaco ma purtroppo non riescono a dedicarsi per questo tipo di limitazioni e dovremmo permettere loro di poter spiccare il volo. Un’altra questione fondamentale è l’equiparazione degli stipendi delle uomini e delle donne, considerando che ancora oggi guadagnano meno a parità di mansione. E c’è un altro dato emblematico.

Quale?

Dopo la pandemia sono le donne ad avere la percentuale più alta fra le persone che hanno perso il lavoro. Probabilmente rispetto ai mariti sono loro quelle ritenute deputate alla gestione della famiglia o dei parenti che stanno male.

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