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L'omicidio di curno

“Le urla di mia sorella Marisa mentre veniva uccisa dall’uomo che voleva lasciare” fotogallery video

In occasione dell'Otto marzo, in lacrime Deborha Sartori racconta quella sera di tre anni fa: "Io scappai dopo essere stata colpita. Mamma ora si addormenta con la sua foto sul cuore"

Curno. A distanza di tre anni la rabbia ha lasciato spazio al dolore. E a tante lacrime. Sono quelle che scendono dagli occhi di Deborha Sartori quando ricorda sua sorella Marisa.

Impossibile trattenere il pianto ripensando a quella terribile sera del 2 febbraio 2019, quando la 25enne venne uccisa con otto coltellate da Ezzedine Arjoun, il marito violento da cui aveva deciso di divorziare, poi condannato all’ergastolo.

Un omicidio efferato, consumatosi sotto gli occhi delle stessa Deborha che era alla guida dell’auto che arrivò nei garage della palazzina di via Quattro novembre, dove Marisa era tornata a vivere con i genitori.

Il tunisino Ezzedine, che non accettava la sua decisione di lasciarlo, era lì sotto ad attenderla. Quando intorno alle 19 arrivò e scese per aprire il garage, la 25enne venne colpita su tutto il corpo con un coltello da cucina con la lama di 13 centimetri e cadde a terra in fin di vita. Deborha, 22 anni, la raggiunse per soccorrerla, ricevendo a sua volta tre fendenti al seno sinistro e all’addome, prima di riuscire a scappare.

In occasione dell’Otto marzo, la giovane di Curno ha accettato di raccontare quella sera, nella speranza non succeda ad altre donne.

Deborha, cosa ricordi di quei drammatici momenti? 

Disperazione. I ricordi più forti sono le urla della Mari. Poi il caldo tremendo che avevo mentre scappavo dopo che ero stata colpita.

Quali sono le ultime parole che vi siete scambiate? 

Le ho detto di scrivere alla mamma di scendere in garage ad aprire, come facevamo sempre nell’ultimo periodo. Spesso veniva il nostro babbo, a volte con il mio cagnolone di 30 chili. Tutte le sere andavo a prendere Mari nel negozio di parrucchiera dove lavorava e durante il tragitto avevamo paura di incontralo (Ezzedine Arjoun, Ndr). Era capitato di trovarlo per strada e di dover chiudere le portiere.

Com’era il rapporto con tua sorella?

Da piccole tormentato. Io ero molto dispettosa. Poi crescendo abbiamo legato molto. Uscivamo insieme e ai tempi del motorino io salivo sempre con lei. Negli anni successivi ero rimasta la sua unica amica. Da quando abbiamo iniziato a frequentare la compagnia dei tunisini siamo state isolate da tutti. Avremmo dovuto ascoltare il nostro babbo che diceva di non uscire con loro. E io non sono razzista.

Come la ricordate in famiglia? 

Insieme la pensiamo spesso e finiamo in lacrime. Ci sono foto sue di cui ho talmente cura che guardo poco perchè, anche se sono digitali, ho paura di sciuparle. Mia mamma ha piegato i suoi vestiti per un sacco di tempo. Ancora adesso per addormentarsi tiene una sua foto sul cuore. Babbo ha avuto problemi di salute ma è sempre andato al cimitero, che è qui vicino a casa. Poi io e mamma le scriviamo messaggi. Comunque lei tutti i giorni, tutto il giorno, è qui, nella mente e nel cuore. Per sempre e per forza.

Sapevi come la trattava suo marito?

Sì, l’abbiamo denunciato e abbiamo fatto segnalazioni. Le istituzioni si sono mosse, anche se un po’ tardi. Però vorrei ringraziare i centri anti-violenza, in particolare l’avvocato, donna, che abbiamo trovato: sono bastate poche parole perchè ci capisse e prendesse a cuore la nostra situazione. Il consiglio è quello di denunciare, anche perchè in questi anni le cose sono cambiate e le procedure si sono velocizzate.

L’intervista completa nel video qui sopra

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