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La svolta

Stragi del ’93, perquisita una donna di Bergamo: avrebbe portato la bomba in via Palestro a Milano

Persero la vita cinque persone. Nel corso della perquisizione trovata una vecchia foto in cui l'imprenditrice sarebbe identica all'identikit

Ci sarebbe una bergamasca dietro le stragi del ’93 di Firenze e Milano con cinque morti e tredici feriti. Mercoledì mattina i carabinieri del Ros di Firenze hanno perquisito un’imprenditrice di 58 anni residente a Bergamo, sospettata di aver portato la Fiat Uno carica di esplosivo in via Palestro a Milano, la notte del 27 luglio 1993, fino al padiglione di arte contemporanea poi distrutto dall’esplosione.

Una svolta arrivata in seguito a testimonianze raccolte in quasi trent’anni di indagini. È stata diffusa la foto dell’identikit e gli inquirenti invitano chiunque sia in possesso di informazioni utili di farsi vivo.

Le indagini si sono avvalse di strumenti hi tech per le comparazione delle immagini. Tutto è partito da una foto trovata nel corso di una perquisizione – nel 1993 ad Alcamo- a due ex carabinieri che detenevano un arsenale di provenienza mai chiarita (l’ipotesi è che si trattasse di armi di Gladio).

Un anno fa, grazie a un sofisticato sistema di ricerca, la foto è stata comparata dal Ris con le foto segnaletiche presenti nella banca dati delle forze di polizia, con esito positivo riguardo il nome dell’imprenditrice: il resto l’ha fatto il confronto con l’identikit, ricavato dal racconto di due testimoni.

Nel corso della perquisizione i Ros hanno trovato anche una vecchia foto in cui la donna sarebbe identica a quella della foto sequestrata (insieme ad armi e munizioni) ad Alcamo nel 1993. Arrestata nel 1992 per spaccio di stupefacenti (in libertà dal marzo successivo), la bergamasca è legata a un pregiudicato campano. Gli investigatori non escludono che la donna possa aver avuto un ruolo attivo anche nell’attentato di via dei Georgofili.

L’ipotesi di reato è quella di strage, in concorso con mafiosi già condannati come Totò Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, i fratelli Graviano e Matteo Messina Denaro, con l’aggravante dell’aver agito per finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine costituzionale e per agevolare l’attività di Cosa Nostra.

In via Palestro persero la vita cinque persone, i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, l’agente di polizia municipale Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, migrante marocchino che dormiva su una panchina. Uccisi dall’esplosione che mandò in frantumi il padiglione di arte contemporanea. Pochi minuti dopo altre due esplosioni si verificarono a Roma (senza provocare vittime), nei pressi della Basilica di San Giovanni in Laterano dove ha sede la Curia e davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro.

L’inchiesta prosegue ora per verificare un possibile ruolo anche nell’attentato di Firenze (in quel caso un testimone parlò di una giovane donna, ma con i capelli neri a caschetto), per cui la donna risulta indagata.

L’obiettivo dei pm, però, è anche quello di verificare possibili collegamenti con pezzi deviati dello Stato, con quelle “menti raffinatissime” che secondo diverse inchieste hanno tramato nell’ombra negli anni più bui della Repubblica.

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