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Corte d'appello

Per un cavillo giuridico la chiesetta degli ex Riuniti torna alla Regione

Annullata la sentenza di primo grado pronunciata in sede civile che dava ragione ai musulmani. Il legale Andrea Di Lascio: "Decisione tecnica, valutiamo il ricorso in Cassazione"

Brescia. Di fatto, la chiesetta degli ex ospedali Riuniti di Bergamo è tornata in mano a Regione Lombardia. Lo scorso 23 febbraio la Corte d’Appello di Brescia si è espressa sulla vicenda che ha messo di fronte in tribunale l’Associazione Musulmani di Bergamo e il Pirellone, annullando la sentenza di primo grado pronunciata in sede civile che dava ragione alla comunità islamica. “Regione Lombardia si è comportata in modo discriminatorio e dovrà restituirci l’ex chiesa, acquistata legittimamente” avevano commentato quel giorno (era il 7 ottobre 2020) i vertici dell’associazione religiosa, assistiti dagli avvocati Andrea Di Lascio e Nabil Ryah. Ma quest’ultima sentenza ribalta di fatto la situazione.

Perché? Proviamo a spiegarlo. La Corte d’Appello ha basato la sua decisione su un profilo tecnico, riguardante i poteri di revoca della delibera di esercizio della prelazione da parte del giudice ordinario. Per capire che cosa significa, bisogna fare un passo indietro: al 25 ottobre 2018, quando i musulmani si erano aggiudicati la chiesetta partecipando all’asta indetta dall’Asst Papa Giovanni XXIII (controllata dalla Regione Lombardia) spiazzando gli altri partecipanti con un’offerta di oltre 452 mila euro e un rialzo dell’8%, tagliando fuori dai giochi anche la Comunità Ortodossa Romena, che dal 2015 usufruiva dell’immobile in comodato d’uso gratuito.

Il giorno successivo all’asta – nel pieno della bufera mediatica – il governatore leghista Attilio Fontana aveva dichiarato di voler salvaguardare a tutti i costi la chiesetta (“simbolo della cristianità”) esercitando il diritto di prelazione. Una decisione, secondo i musulmani, figlia della volontà di impedire loro l’acquisto del bene, per via della loro religione. Perché – si sono sempre domandati – la Regione intende riacquistare un bene che aveva deciso di vendere? Forse perché il compratore non le va a genio? L’associazione aveva fatto quindi ricorso al tribunale civile, sostenendo la “natura discriminatoria” del documento con cui Palazzo Lombardia aveva esercitato la prelazione sull’immobile. Di fronte alla sentenza sfavorevole del giudice civile, la Regione aveva a sua volta annunciato ricorso.

Ora, tutto gira proprio attorno al dispositivo di revoca della delibera di esercizio della prelazione: secondo la Corte d’Appello, infatti, il giudice di primo grado non avrebbe potuto revocarla perché non rientra nei suoi poteri revocare un atto amministrativo di quel tipo. Che, al massimo, si sarebbe potuto disapplicare.

“Di fatto i giudici non si sono espressi nel merito, ma su un profilo meramente tecnico – si limita a commentare l’avvocato di Lascio -. Stiamo esaminando attentamente la questione, per valutare un eventuale ricorso in Cassazione”. Alla fine delle 18 pagine di sentenza, inoltre, i giudici della Corte d’Appello sottolineano come “la particolarità della vicenda processuale de qua e la non imputabilità alla parte ricorrente della erroneità della decisione del Tribunale costituiscono giusto motivo per compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio”.

Soltanto poche settimane fa, l’Associazione Musulmani di Bergamo aveva fatto notare le condizioni in cui, a distanza di tre anni, si trova ancora a pregare. I fedeli continuano a riunirsi al civico 4 di via Rosa, nel quartiere di Boccaleone, in uno spazio provvisorio messo a disposizione dal Comune: un’ex falegnameria di 370 metri quadrati a ridosso del viadotto, con la sala che vibra al passare dei camion. Non proprio il luogo ideale per trovare pace e serenità. “Siamo stati discriminati e non lo diciamo solo noi, ma anche una sentenza – avevano dichiarato -. Abbiamo fatto tutto secondo le regole e lo abbiamo dimostrato. Nonostante ciò, non abbiamo ancora un luogo dignitoso dove pregare”.

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