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La testimonianza

Vladimir, infermiere alla San Francesco: “Non riesco più a contattare le nipoti a Kiev”

Lui è in Italia dal 1998, la sua mamma e i suoi fratelli sono restati nel loro Paese, sua cognata si è arruolata a 60 anni: "La libertà va difesa con ogni mezzo"

Bergamo. Vladimir lavora alla clinica San Francesco, vive in Italia dal 1998. La sua mamma è anziana, ha 85 anni ed è in Ucraina, spaventata dalla guerra. Ci sono i suoi fratelli, i parenti, gli amici e sono tutti preoccupati dall’attacco russo e da ciò che potrebbe succedere nei prossimi giorni.

“I miei fratelli hanno portato via la mia mamma qualche giorno fa per precauzione, ora si trovano vicino alla città di Žytomyr, nella parte occidentale del Paese. L’ultima volta che l’ho sentita mi ha detto: ‘Ho già visto una guerra e ora che ne è scoppiata un’altra l’unica cosa che vorrei è morire a casa mia’”.

La preoccupazione attanaglia la voce dell’operatore sanitario: “Dall’Ucraina mi raccontano cose raccapriccianti. I miei parenti vivono sparpagliati su tutto il territorio, la maggior parte nel centro-nord, alcuni a Kiev e da venerdì mattina non riesco a prendere contatto con le mie nipoti. Probabilmente si sono rifugiate nei bunker o nella metropolitana”.

Lui è nato a circa 40 chilometri dal confine con la Bielorussia: “Siamo stati attaccati dai russi proprio in quella zona, con il consenso di una popolazione che credevamo amica. Psicologicamente è davvero dura, c’è tanta paura”.

La gente cerca di rimanere in casa il meno possibile: “Tante persone sono scappate nei boschi ma fa freddo, ci sono meno 15 gradi. La sera rincasano, non accendono le luci, spengono la tv per non essere intercettati dagli elicotteri”.

Vladimir tornava spesso in Ucraina, ogni due mesi prendeva l’aereo per andare a trovare la sua mamma. L’ultima volta che l’ha vista era dicembre.

“Io ho 45 anni, ho vissuto una parte della mia vita quando ancora c’era l’Unione Sovietica e non vorrei mai tornare indietro. Lo stesso vale per la maggior parte degli ucraini e anche mia madre pensa la stessa cosa. Una volta che capisci cosa significa vivere libero la tua libertà la vuoi difendere in tutti i modi e ora ne stiamo pagando il prezzo”, spiega.

“Io sono un europeista convinto, avendo vissuto entrambe le esperienze posso metterle sulla bilancia, posso fare un confronto. L’Unione Sovietica ti dava il lavoro e la casa, se non avevi voglia di lavorare eri comunque tutelato. Ma lo Stato non teneva in considerazione le aspirazioni e le qualità di una persona. Io sono il più piccolo di cinque fratelli e solo da adulto ho scoperto che loro volevano fare altre cose nella vita, sono stati costretti a fare ciò che serviva allo Stato. Mia mamma è rimasta vedova a 50 anni, ma noi siamo tutti laureati, ha fatto sacrifici immensi per farci studiare. Siamo nati in una campagna sperduta, sopravvivevamo raccogliere le patate e vendendole allo Stato, ogni tanto vendevamo qualche secchio di mirtilli raccolti nei boschi. Dicono che quando c’era l’Unione Sovietica eravamo un Paese molto acculturato ma la cultura era per pochi, perché ad esempio io fino ai 15 anni non sapevo nemmeno cos’era il cinema: non avevo nemmeno un rublo per pagarmi il biglietto. Da quando l’Urss si è sciolta la gente è più felice, la vedi sorridere in strada, è libera”.

Le persone con le quali lavora, quelle che accudisce alla clinica San Francesco, gli amici italiani e stranieri in questi giorni  hanno espresso tantissima solidarietà a Vladimir e quando lo racconta si commuove: “Non ho mai ricevuto tanti abbracci, nessuno mi ha mai discriminato e tutti condannano l’azione della Russia”.

A difendere l’Ucraina ci sono anche tanti amici dell’infermiere, compresa sua cognata: “Lei ha 60 anni ma ha deciso di presentarsi spontaneamente, ha fatto un mese di addestramento ed ora è a disposizione. Ci vuole coraggio, ma la libertà va difesa con ogni mezzo”.

 

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