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La storia

Cesare Maffeis, presidente delle Rsa bergamasche: “Ho curato una donna a casa sua, a fianco il marito morto”

Il medico originario di Cene, durante la prima ondata ha visitato a domicilio più di 15 pazienti al giorno

Bergamo. “Se chiudo gli occhi e penso al 2020, la prima immagine che mi viene in mente è quella di una signora di 60 anni, di Parre, colpita da una brutta polmonite, distesa nel letto di casa sua, con un filo di fiato in corpo, a fianco del feretro del marito”. Momenti che resteranno scolpiti per sempre negli occhi, nella mente e nel cuore di Cesare Maffeis, 54enne medico della Val Seriana, presidente provinciale ACRB, l’associazione delle case di riposo bergamasche, direttore sanitario delle strutture di Cene e Gromo, presidente di Casa Serena a Brembate Sopra, della Rsa di Clusone e vice di quella di Martinengo.

“Purtroppo, quando la famiglia mi ha chiamato, nulla ho potuto fare per il marito. La situazione era drammatica: la signora non respirava, non poteva essere ricoverata e in più aveva una situazione familiare disperata. Ci ha messo settimane a riprendersi non solo fisicamente, ma anche e soprattutto per il trauma del marito”. Ci sono legami che, paradossalmente, il Covid ha creato e rinforzato nel tempo, nonostante la drammaticità dei momenti: “Si è instaurato un rapporto profondo e anche oggi ci sentiamo e ci vediamo, sia con lei sia con i figli. Questa, insieme alla solidarietà tra colleghi, è una delle poche cose che salvo del periodo della pandemia”.

Maffeis, di pazienti, a domicilio, ne ha curati circa una quindicina al giorno da febbraio ad aprile, tutti in una situazione di estrema precarietà. Di racconti ne ha la memoria piena: purtroppo sono più quelli brutti, che fanno fatica a volare via. “I brutti ricordi non sono solo i miei, ma anche quelli dei miei collaboratori in casa di riposo. Un’infermiera di Gromo ha visto morire, in pochissimi giorni, la sorella, il fratello, il cognato e ha visto ricoverare la figlia, partoriente, per Covid. Capisce bene che situazioni di questo tipo ti segnano, per tutta la vita”.

Nel 2020 sono stati più di 1500 i morti nelle case di riposo, il 30% dei 6500 posti disponibili in bergamasca, quando, in genere sono il 10-15% su un anno intero. Un dato agghiacciante, che ti toglie il fiato. Tanti sono gli anziani, i nonni, i padri e le madri che se ne sono andati in pochi mesi. Un’intera generazione è stata spazzata via dal virus, un’intera generazione non ha retto l’urto di un’epidemia che ha spezzato vite per lasciare solo ricordi”, dichiara il dottore.

“Indicibile l’onda di dolore che ha invaso la nostra provincia- continua Maffeis-, soprattutto la zona della Val Seriana. Chiaro è che di errori ce ne sono stati, in una gestione generale di approccio all’emergenza. Il Paese non era assolutamente preparato, questo è lì da vedere. Quello che è successo non ha precedenti nel mondo, ci ha sconvolto e ha messo in discussione tutto, in primis le nostre certezze. Non solo, ci porta ancora una volta a riflettere sulla gestione del nostro sistema sanitario che, secondo me, in primis partendo dalle realtà che dirigo, andrebbe completamente rivisto”.

Per Maffeis è stata ed è tutt’ora dura accettare una situazione che ci ha profondamente cambiati anche nel modo di approcciarci alla vita, oltre che alla morte. Del resto lui è un medico della Val Seriana, ha anche fatto il sindaco a Cene, il suo paese, per un quinquennio: “Solo chi l’ha provato sulla pelle, sa di cosa stiamo parlando. Io mi sono ritrovato a perdere amici, parenti e conoscenti, come tutti. E, in piena emergenza, ho cominciato a visitare i pazienti a casa. Non sono l’unico, eh. Ce ne sono tanti di medici come me che hanno sentito e accolto la chiamata alle armi. Hanno cominciato a telefonarmi amici che avevano bisogno di essere visitati e la voce ha cominciato a circolare. Mi sono accorto fin da subito che la situazione era drammatica, perché moltissimi dei cittadini erano senza medico di base perché la maggior parte erano a casa o in ospedale, malati”.

Un mondo come un immenso, incontenibile Lazzaretto che ci chiama a lavorare tutti insieme per il bene comune: “Solo in questo modo, per i bergamaschi, per la Lombardia, per i giovani e per gli anziani, arriverà la pioggia salvifica. Dobbiamo pensare e agire uniti da intenti comuni perché sia sempre l’alba di un giorno nuovo. E forse, migliore. Per questo bisogna andare avanti, uniti e compatti, tendendosi la mano l’uno con l’altro, aiutandosi, smettendo di guardare indietro, abbandonando le paure, le psicosi con cui abbiamo imparato a convivere, abbassando le difese, cercando di prendere il buono, se esiste, da quello che è capitato e andare avanti. Sempre”.

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