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Due anni di pandemia

Fondo per le famiglie dei medici morti: “Un piccolo conforto, mio marito chiamava i suoi pazienti dal letto d’ospedale” fotogallery

Valeria Presti, moglie del dottor Vincenzo Leone, mancato il 22 marzo durante la prima ondata: "Gli dicevo di stare attento, di non andare per forza in ambulatorio, ma lui non ascoltava"

Zanica. Qualche giorno prima di ammalarsi era stato in Toscana, a prendersi cura della sua barca: “Penny Lane”, l’aveva chiamata. Come un brano dei Beatles. Quella per la musica è una delle passioni che Vincenzo Leone ha trasmesso ai figli, Giacomo e Carlo. Il primo, batterista, suona in una cover band del Bando del Mutuo Soccorso: storico gruppo progressive rock che dopo la sua morte gli ha dedicato la canzone “Campi di fragole”. Il dottor Leone era anche questo: la famiglia, la barca, il rock degli anni Sessanta e le auto d’epoca. Ma prima del piacere, sapeva metteva il dovere.

“Di mio marito ricordo la totale abnegazione al lavoro e non nascondo che in quei giorni ero entrata un po’ in conflitto con lui – confessa la moglie, Valeria Presti, 64 anni -. Gli dicevo di cautelarsi, di non uscire, di non andare per forza in ambulatorio. Invece, anche quando era nel letto d’ospedale, telefonava ai pazienti per dispensare sostegno e consigli, anche se era lui il primo ad averne bisogno”.

Va detto che cautelarsi, all’epoca, era piuttosto difficile. Di virus, in giro, ce n’era parecchio. A differenza delle mascherine. Poche e distribuite a singhiozzo. Ma Vincenzo Leone, come tanti altri suoi colleghi, non si era tirato indietro. Esercitava a Zanica, Comun Nuovo e Urgnano, dove aveva anche ricoperto il ruolo di assessore. “Un dottore vero, capace con la sua ironia di incoraggiare tutti anche nei momenti più bui”, dice il figlio Carlo, che non perde mai occasione di ricordarlo. Il momento più buio, lui, lo ha vissuto ad inizio marzo 2020, come tanti del resto. Ma a differenza di molti, non ha mai sottovalutato quel che stava accadendo. Mangiava e dormiva da solo in una stanza, per paura di contagiare la famiglia. Quando un cugino lo chiamò dalla Sicilia (il dottor Leone era originario di Trapani) lo sentì tossire al telefono e gli chiese: “Vincenzo, ma non è che ti sei preso il Covid?”. “Che ci vuoi fare – rispose lui – qui ce l’hanno tutti”. Pochi giorni dopo, venne ricoverato alla Humanitas Gavazzeni a causa di una brutta polmonite interstiziale. Poi il passaggio in terapia intensiva e il decesso, il 22 marzo, a soli 65 anni.

Soltanto sei giorni prima se ne era andato il collega Mario Giovita, medico di base a Caprino e Cisano Bergamasco, suo coetaneo. Il 18 marzo Antonino Buttafuoco, 66 anni, punto di riferimento per gli abitanti di Ciserano e Verdellino. Erano i giorni dov’era quasi difficile comprendere il confine tra la vita e la morte. I giorni del “tutto andrà bene”. Affrontati da questi medici senza dispositivi di protezione né protocolli clinici. Una trentina, in tutto, quelli morti in provincia di Bergamo durante la prima ondata. Molti, come il dottor Leone, erano medici di famiglia.

Dopo le polemiche per lo stop del Senato, il Consiglio dei ministri ha approvato un fondo per gli indennizzi alle famiglie dei medici e del personale sanitario morti per Covid-19. Quindici milioni in tutto. L’indennizzo riguarda i medici non convenzionati Inail, ovvero non dipendenti dal Servizio sanitario nazionale: oltre la metà dei medici deceduti. “Meglio tardi che mai – commenta Valeria Presti -. I nostri cari non ce li potrà ridare nessuno, ma il loro sacrificio e il dolore di tutti noi familiari trovano un po’ di conforto. Per una volta, non fatto solo di belle parole”.

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