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Report 8-14 febbraio

Contagi ancora giù in Italia e a Bergamo. E finalmente calano i decessi

Intanto rallenta la campagna vaccinale. Ma la pandemia non è finita se è vero come è vero che siamo ancora su livelli tre volte superiori a quelli di inizio ondata da Omicron

Ancora in calo il numero dei contagi negli ultimi sette giorni (8 / 14 febbraio), ma siamo ancora su livelli tre volte superiori a quelli di inizio ondata da Omicron.

A livello nazionale, i contagi certificati da tampone sono stati 469.064, in calo del 30,6% rispetto allo stesso periodo della settimana scorsa (quando erano stati 675.782). Media giornaliera 67.010 (da 96.540).

È in calo anche il tasso di positività ai tamponi molecolari, che negli ultimi sette giorni è stato del 10,5% (dal 18,02% di una settimana fa, con una variazione del -41,7%).
Complessivamente, contando anche i tamponi antigenici, il tasso di positività medio è stato del 10,67% (era all’11,33%).

Buoni anche i dati relativi all’ospedalizzazione: oggi i ricoveri ordinari sono 16.050 (erano 18.675 venerdì scorso), mentre quelli in terapia intensiva sono 1.173 (erano 1.423 sette giorni fa). Sono entrambi in calo, dunque, e questo rallentamento è un’ottima notizia.

Il numero dei nuovi ingressi in terapia intensiva passa da 699 a 569.

L’indice di occupazione nei Reparti Covid è al 24,5% (precedente 28,5%). Quello nei Reparti di Terapia Intensiva è all’11,9% (era al 14,5%).

Questa settimana registriamo il primo calo dei decessi su base settimanale, avvenuto con ritardo, come previsto, rispetto alla diminuzione dei contagi che era iniziata circa un mese fa. Il numero di morti non calava da 14 settimane, dando adito a un dibattito non sempre informato su come vengono conteggiati nel nostro paese a differenza degli altri. I numeri ci dicono che i morti sono stati 2.199, mentre la scorsa se ne contavamo 2.599, con una variazione percentuale del -15,4%.

Cala ancora il numero dei tamponi totali: ne sono stati eseguiti 4.412.297 (ne erano stati fatti 5.938.425 la settimana scorsa), il 78% dei quali di tipo antigenico rapido.

Curva dei contagi: da 0,86 a 0,57.

Il valore di Rt nazionale si abbassa allo 0,89 (da 0,93).

Scende l’indice di contagio ogni 100 mila abitanti: da 1.350 a 910.

Lombardia e Bergamo

Nel periodo osservato, si consolida il calo dei contagi in Lombardia: da 84.438 a 50.807 (-39,8%). Decrementa del 25,2% il numero dei ricoveri in Area Covid: sono 1.913 gli attuali (erano 2.558). In calo anche quello relativo alle Terapie Intensive, che passa da 207 a 162 (-21,7%).

Scende il numero dei nuovi ingressi in terapia intensiva che passano da 52 a 46.

Cala anche l’indice di occupazione nei Reparti di Terapia Intensiva: dall’11,4% al 9% e quello relativo ai Reparti Covid, dal 24,5% al 18,3%.

L’altra buona notizia è il calo che si registra anche in fatto di decessi. Il loro numero ha riscontrato un notevole decremento: nel periodo sono stati infatti 363 rispetto ai 529 al precedente (-31,4%).

Diminuiscono ancora sia il numero degli attualmente positivi, ora 173.371 (254.373 la settimana scorsa), sia quello delle persone attualmente in isolamento domiciliare, che sono 171.656 (erano 251.608). Il calo, in entrambi i casi, è di circa il 32%.

L’incidenza dei casi ogni 100mila abitanti è in discesa, da 950 a 550, come l’indice medio settimanale di positività che passa dall’ 8,66% al 7,90%.

Scende anche in provincia di Bergamo il numero dei nuovi casi: i positivi sono stati infatti 4.474 rispetto ai 7.790 del periodo precedente (-42,6%).

È in diminuzione il numero dei pazienti ricoverati in Area Medica all’ospedale cittadino: si è passati da 131 a 108, stabili quelli in Terapia Intensiva: 18. Sommando i ricoveri nelle altre due Asst provinciali (Bergamo Est e Bergamo Ovest) il totale degli ospedalizzati è di 290 (erano 310).

Nel periodo osservato si sono registrati altri 28 decessi (41 nel precedente).

Scende l’indice di contagio ogni 100 mila abitanti: da 750 a 410; fra i più bassi d’Italia.

La campagna vaccinale

L’82,3% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale primario. Il 3% è in attesa di seconda dose. Il 61,1% ha fatto la terza dose. Complessivamente, contando anche il monodose e i pre-infettati che hanno ricevuto una dose, è almeno parzialmente protetto l’85,5% della popolazione italiana.

Considerando solo gli over 5, oggetto della campagna vaccinale, rispetto alla platea del governo la percentuale di almeno parzialmente protetti è dell’87,8% mentre l’84,5% è vaccinato.

Considerando solo gli over 12, oggetto della campagna vaccinale, rispetto alla platea individuata dal Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 la percentuale di almeno parzialmente protetti è del 91,4% mentre l’88,6% è vaccinato.

Rallenta la campagna vaccinale

C’è però da registrare una frenata sostanziale, nelle ultime settimane. Dopo che a metà gennaio si era registrato il picco di somministrazioni, con una media di circa 530mila terze dosi nella settimana 11-17 gennaio, in quelle successive si è passati a 456mila nella settimana 18-24 gennaio fino alle 394mila della settimana 25-31 gennaio. E al record negativo di 245mila nella settimana 1-7 febbraio, con un calo di quasi il 40%.

Il perché di questo tonfo nei numeri ha diverse spiegazioni. Fra queste il boom di contagi e guarigioni in questo ultimo mese, che ha rappresentato per tanti una alternativa alla terza dose. Senza dimenticare quella quota residuale di popolazione, difficilmente quantificabile, che dopo aver concluso il ciclo primario è refrattaria al booster.

La pandemia è finita… per la quarta volta

Sentiamo in questi giorni cose già dette a luglio 2020, febbraio 2021 e luglio 2021, senza considerare i due “rimbalzi” epidemici di gennaio e settembre 2021. Basterebbe questa considerazione come invito a una maggiore cautela nell’affrontare un tema che (finora) è costato oltre 150.000 morti in Italia e quasi 6 milioni nel mondo.

Dobbiamo poi rispondere (e per ora non è possibile farlo) alla domanda: quanto la “bontà” di Omicron dipende dal fatto che siamo quasi tutti vaccinati o immunizzati per via naturale?
Le cose vanno molto meglio che in passato, lo ribadiamo con convinzione. Ma prima di pensare e credere che sia tutto finito dobbiamo aspettare che tutto sia davvero finito. Il calo della risposta immunitaria nel tempo, tipico delle infezioni da Coronavirus, non ci permette di trascurare il rischio di una futura ondata generata da Omicron o da una nuova variante.

Una lettura corretta della situazione, porta a considerare che la risposta immunitaria indotta dal vaccino perde efficacia nel tempo sia contro il rischio di infezione, sia di ricovero (anche dopo la terza dose, come purtroppo indicano i dati inglesi dell’HSA); che i nuovi farmaci per avere effetto devono essere somministrati nei primi 5 giorni dopo l’infezione; che la minore pericolosità è in larga parte compensata dalla maggiore diffusività della nuova variante

Quando finirà veramente?

I virus mutano diventando sempre più buoni? Il percorso naturale è quello di un adattamento all’ospite, e quindi di una minore pericolosità. Ma non fingiamo di non sapere che la variante Delta era più pericolosa e diffusiva della precedente Alfa; che la Alfa era più pericolosa e diffusiva della precedente D614G, che ha causato la prima ondata nel mondo occidentale; che la D614G era più pericolosa e diffusiva del virus originario di Wuhan. Solo la Omicron (con i dubbi sopra esposti espressi) sembra essere meno pericolosa (ma molto più diffusiva) di quella che l’ha preceduta. La pandemia finirà quando tutti questi dubbi e domande troveranno risposte: prima di allora, restiamo nel campo delle speranze.

Le pandemie finiscono quando i casi si azzerano, oppure quando l’infezione circola in modo endemico causando ricadute moderate sulla popolazione. Nel primo caso rileviamo che, in Italia, l’ultima settimana epidemiologica si è chiusa con livelli di contagio (67.010 di media giornaliera) tre volte superiori a quelli (circa 23.000) che avevamo prima dell’inizio dell’ondata in corso. Nel secondo che la fase di adattamento virale verso l’endemia ha espresso, in sole 8 settimane, 6.654.314 nuovi casi e 15.134 decessi. In sintesi: non siamo a contagio zero, e le ricadute sulla popolazione sono ancora pesanti.

I dubbi su come vengono contati i decessi in Italia

Morti “per” Covid-19 o “con” Covid-19 è una questione di lana caprina: se un paziente con molte patologie concomitanti ha raggiunto un punto di equilibrio e ha una prospettiva di vita di settimane, mesi o anni, e l’infezione da Sars-CoV-2 altera questo equilibrio, è palese che proprio l’infezione abbia portato a un decesso anticipato. Considerare le morti “correlate” a una patologia, a meno che non se ne vogliano riscrivere le regole per una più accettabile comunicazione, è la norma in Medicina: e infatti i circa 8.000 decessi annui dell’influenza stagionale sono divisi tra qualche centinaio nei quali l’unica causa è l’influenza, e gli oltre 7.000 in cui l’infezione aggrava o destabilizza situazioni pregresse.

Il fatto che i decessi Covid-19 (a oggi 151.296 quelli ufficiali), siano sovrastimati è smentito dai dati Istat: che certifica per il 2020 un eccesso di mortalità di 100.000 persone (persone, non unità) e di 60.000 per il 2021.

Sono numeri non opinabili e, per l’ennesima volta, ci confermano quanto sia importante saper leggere, interpretare e capire i dati.

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