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La polemica

Cascina Ponchia, i comitati dei cittadini: “Dal Comune di Bergamo nessuna risposta”

I comitati di quartiere chiedono a Palafrizzoni di prendere posizione ed intervenire per salvaguardare la struttura

Bergamo. Cascina Ponchia torna al centro del dibattito politico a Bergamo. E lo fa con due interventi: il primo porta la firma congiunta del Circolo Bergamo Città del PRC (Partito della Rifondazione Comunista di Bergamo), di Bergamo in Comune e dell’associazione NaturalMente. Il secondo del Comitato PonchiaOtto.

RIFONDAZIONE COMUNISTA
“Bergamo sostenibile, inclusiva e partecipata questo è stato il mantra elettorale di Gori a Bergamo, un mantra che è alla base della sua riconferma alla guida della città. Uno slogan accattivante, in generale poco praticato nella realtà (vedi Parco ovest e Boccaleone, per non parlare del Parcheggio della Fara), ma con una precisa limitazione territoriale”.

Questo è ciò che si legge in una nota congiunta a firma di Gianluigi Zinesi, segretario del Circolo Bergamo Città del PRC, Francesco Macario, segretario provinciale del Partito della Rifondazione Comunista di Bergamo, Marco Brusa, Bergamo in Comune e Claudio Carrara, associazione NaturalMente.

“Certamente non vale per Monterosso, in questo quartiere popolare dal 2013 era attiva la “Cascina Ponchia”, un apprezzato centro sociale, con annesso orto urbano e forno comunitario, un luogo di aggregazione sociale e culturale di un quartiere poco provvisto di spazi aggregativi e servizi – prosegue la nota -. Nell’ottobre del 2020 la Giunta di Bergamo sull’onda di una campagna securitaria della destra più forcaiola ha pensato bene di assecondare i pruriti legalitari di molti benpensanti e di sgomberare questo centro per farne un non meglio precisato luogo associativo. Uno sgombero che una volta di più ha dimostrato la subalternità politica e culturale alle destre di questa giunta. Con in più l’aggravante che da allora questa struttura è abbandonata e soggetta a degrado e incuria, ridiventando un problema per i residenti. Infatti da vari mesi i residenti del quartiere hanno cercato, senza ottenere nessuna risposta, un confronto con l’Amministrazione per discutere delle sorti la Cascina e per renderla nuovamente “un bene comune per il quartiere, un luogo governato da forme di partecipazione diretta ed inclusiva”.

“Osservando i contorni di questa sconcertante vicenda ci sembra che l’amministrazione abbia dato prove di una veramente pessima amministrazione della cosa pubblica, creando problemi ai cittadini al posto di risolverli. Non solo, ma ora non vuole nemmeno ascoltare e dialogare con i giovani e con i residenti, bensì applicare un vecchio detto: Predicare bene, razzolare male. Ora ci chiediamo se è con questi insensati e contraddittori atteggiamenti che l’Amministrazione Gori vuole rendere Bergamo sostenibile ed inclusiva. Gli slogan elettorali sono quindi validi solo per attirare i voti dei cittadini o sono programmi a cui bisogna poi coerentemente dare seguito?”

“Per questo – conclude la nota – chiediamo a Gori e ai suoi assessori di mantenere le promesse fatte e di procedere ad attivare il confronto con i residenti e il Collettivo Ponchia cercano di instaurare un dialogo al il fine di rendere nuovamente la Cascina quel luogo vivo, aperto e inclusivo a disposizione della collettività come è stato dal 2013 al 2020”.

IL COMITATO PONCHIAOTTO
Riceviamo e pubblichiamo il testo integrale del Comitato PonchiaOtto. 

Gentilissimi,
da mesi l’immobile pubblico Cascina Ponchia giace chiuso e inaccessibile a chiunque, mentre l’incuria sta lentamente logorando le sue mura. Da mesi numerosi abitanti del quartiere di Monterosso, in cui è ubicato, chiedono di potersene prendere cura, in modo che torni al più presto fruibile e governato da forme di partecipazione diretta e inclusiva. La Cascina, a vocazione storicamente aggregativa, è vista dai residenti una risorsa preziosa per dare risposta ad un bisogno di socialità estremamente sentito e ulteriormente sollecitato da questi lunghi mesi di pandemia.

Per interloquire con l’Amministrazione e manifestare tale prospettiva, i cittadini hanno aderito ai percorsi prestabiliti che regolano le dinamiche partecipative, istituiti e vigenti in città.

Hanno preso parte, da ormai un anno a questa parte, alla rete sociale del quartiere. Hanno sottoposto la proposta secondo i dettami del Regolamento dei Beni Comuni, disponibili di buon grado alla stipula di un patto di collaborazione come da esso previsto.

Il 6 gennaio sono passati i novanta giorni di rito che il Regolamento prevede per l’esame della domanda e la conseguente risposta. Ci piacerebbe poter annunciare che un dialogo è stato aperto. Saremmo dolenti di comunicare un rifiuto. Siamo invece increduli nel dover raccontare che, nonostante i successivi solleciti e la manifestata disponibilità ad un preliminare approfondimento, il comitato proponente ha semplicemente preso atto dell’assenza di qualunque risposta da parte dell’istituzione.

Chiediamo quindi ospitalità sulle vostre pagine per poter tentare un inizio di dialogo con chi finora a questo dialogo si sottrae, disattendendo pure il regolamento da essa stessa istituito. Lo facciamo ponendo alcuni interrogativi, nell’ottica di stimolare un dibattito e senza la pretesa di calare, a nostra volta, soluzioni precostituite.

Perché non si vuole prendere atto che la strada tracciata dall’Amministrazione per il futuro della Cascina Ponchia non appare percorribile? Cooperativa Ruah prima, Consorzio Ribes poi, incaricati di disegnare una proposta progettuale sostenibile si sono scontrati con problematiche insormontabili insite nella natura del luogo stesso.

Perché ci si ostina a perseguire una ristrutturazione invasiva – il progetto Ruah prevedeva la divisione della casina in unità abitative indipendenti – che con tutte le incognite di sostenibilità peraltro sopra espresse rischia di snaturare inutilmente il luogo esponendolo al rischio di un ritorno a una condizione di disuso o sottoutilizzo?
Perché non porre come principio delle riflessioni la funzione storicamente assunta dalla cascina, legata alla dimensione aggregativa che negli anni ha avuto per il quartiere, che di contro è la cartina tornasole di un bisogno che il territorio esprime?

Perché non cogliere le opportunità (anche di sostegno economico) che il territorio offre ai progetti di rifunzionalizzazione di edifici storici legati al riuso transitorio di edifici dismessi?

Instaurando ad esempio un percorso di ascolto e ideazione che consenta di individuare e testare funzioni d’uso alla Cascina, destinando tempo e risorse prioritariamente alle azioni immateriali di progettazione e gestione condivise anche con la cittadinanza? Perché non utilizzare i finanziamenti europei virtuosamente raccolti da parte degli uffici Comunali per un intervento di messa in sicurezza basilare, che permetta di rendere fruibile lo spazio in tempi brevi e che con un approccio incrementale permetta alle funzioni che si evidenzieranno più riuscite di trasformarlo nel tempo?

Perché impedire ad un territorio che da sempre è fucina di innovazione sociale di sviluppare pratiche spontanee lasciando che sia il cittadino promotore, gestore nonché decisore dei processi? Perché non sperimentare la promozione di nuove formule di socialità e produzione attraverso pratiche deliberative e partecipative che vedono la condivisione degli spazi e l’apertura al territorio come le sfide e le condizioni essenziali?
Perché, infine, non perseguire un principio di titolarità diffusa di un bene che il quartiere ha da sempre difeso e sentito parte di sé, invece che legarlo ad una concessione finanziaria a fronte di un servizio la cui necessità non è nemmeno ben identificata?

Molte domande, a cui noi avremmo degli argomenti con cui provare a costruire delle risposte condivise. Chiediamo ancora, pretendiamo che il dibattito si apra.
Fiduciosi di una futura interlocuzione trasparente e pubblica, ringraziamo per lo spazio concesso
Comitato PonchiaOtto

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