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L'intervista

Lo psicologo sui No vax: “Non generalizziamo e andiamo oltre la dinamica dei buoni e cattivi”

Nella prima ondata della pandemia si è invocato l’arrivo di un vaccino a tutela di se stessi e degli altri. Ora che è disponibile, perchè alcune persone decidono di non vaccinarsi? Lo abbiamo chiesto al dottor Emanuele Locatelli

“Generalizzare favorisce la pericolosa dinamica di gruppo ‘noi contro loro’, che non fa bene a nessuno, soprattutto in un momento come questo. Bisogna andare oltre alla dinamica buoni e cattivi, tra pro e no vax, cercando di capire come siamo arrivati a questa sfiducia nelle istituzioni e nel vaccino”. Così il dottor Emanuele Locatelli, psicologo, invita a dare uno sguardo più approfondito alla nostra società provata dalla pandemia da Covid-19.

Durante la prima drammatica ondata, si è invocato ripetutamente l’arrivo di un vaccino che potesse consentirci di tornare a una sorta di normalità e a vivere le relazioni sociali tutelando, in buona misura, se stessi e gli altri. A fronte di questa attesa, delle rassicurazioni degli esperti e, soprattutto, della favorevole evoluzione della pandemia, che cosa spinge una persona a non vaccinarsi? Lo abbiamo chiesto al dottor Locatelli.

Cosa spinge una persona a non vaccinarsi?

È una domanda difficile, per diverse ragioni. Innanzitutto è necessaria una premessa: non è possibile raggruppare in un gruppo omogeneo chi ha scelto di non vaccinarsi, è una grande varietà di persone, che vanno dal complottista che pensa che nel vaccino ci sia il microchip a chi semplicemente nutre dubbi sugli effetti collaterali e preferisce evitarlo. La nostra idea di un gruppo unito e compatto di no-vax, tendenzialmente meno istruito di noi, meno dotato di moralità e meno degno di libertà è una nostra costruzione, un modo di vedere la questione che favorisce la pericolosa dinamica di gruppo: “noi contro loro” questo modo di vederla non fa bene a nessuno. Soprattutto in un momento come questo.

Lei dice che la pandemia sta creando divisione sociale e tensione?

Esatto, il mio ruolo come psicologo può essere solo quello di chiedermi quali fattori abbiano influito o meno sull’adesione al vaccino, non quello di criticare o giudicare il governo o i cittadini che hanno fatto una determinata scelta. Pensare ai no-vax come i cattivi, non dediti al bene collettivo, è una generalizzazione pericolosa, da un lato perché molti vaccinati hanno fatto questa scelta semplicemente per vantaggio personale o banalmente per proteggere sé stessi. Potremmo dire che solo i giovani, gli under 30, vaccinandosi, hanno fatto davvero un gesto per la collettività, dal momento che, a parte gli immunodepressi, correvano statisticamente i rischi minimi dal virus. Oltre alla dinamica buoni e cattivi, tra pro e no vax, cerchiamo di capire come siamo arrivati a questa sfiducia nelle istituzioni e nel vaccino.

Quali sono quindi le cause di questa situazione?

Penso che il primo grande tema da affrontare sia quello della gestione dell’informazione e la comunicazione tra popolo e autorità durante la pandemia. Ricordo che anche grandi testate giornalistiche, appena uscito il vaccino, nel nome del diritto ad informare, accorrevano alla ricerca di casi di reazioni avverse, alimentando il terrore psicologico verso i vari sieri. E sono le stesse voci che oggi invece contestano i no vax e i vaccino scettici. Abbiamo sentito esperti in televisione dire tutto e il contrario di tutto, e per quanto questo sia, in parte, la normalità del processo scientifico che è confronto che è dubbio e dibattito, per persone incapaci di gestire la complessità questo ha creato solo caos e angoscia. Siamo troppo abituati a pensare alla scienza come un sapere certo, univoco e dogmatico, chiunque conosca la metodologia scientifica sa che non è così. L’impossibilità e incapacità di trasmettere questa complessità ha inciso profondamente nella percezione della pandemia da parte della popolazione.

C’è una responsabilità nelle istituzioni e nei media nell’astensionismo ai vaccini?

Credo che un popolo composto da generazioni abituate per anni a messaggi chiari semplicistici e univoci nel mondo dello slogan, messo di fronte a una pandemia, ancora piena di interrogativi, i dubbi e contraddizioni, abbia un forte bisogno di chiarezza e punti di riferimento. Credo che, a livello istituzionale e mediatico, spesso ci sia stata confusione contraddizione, e per quanto spinti dall’emergenza, ci sia stata una durezza e arbitrarietà nelle limitazioni e negli obblighi. Questo invece di favorire l’adesione ha incoraggiato la chiusura, il rifiuto e la sfiducia.

Prima abbiamo ricordato il tema del complottismo connesso al fenomeno no vax, come possiamo spiegare questa relazione?

È un tema interessantissimo e molto attuale anche prima della pandemia, sono diversi i complotti emersi in questi ultimi anni, certi parlano del virus e del vaccino come di una sterilizzazione di massa, altri di microchip inseriti sotto pelle, altri di un nuovo ordine mondiale. Sarebbe facile fermarci all’assurdità e all’ironia di questi nuovi miti bizzarri che affollano il web ma dobbiamo saper vedere oltre, con occhio clinico dobbiamo capire che il complottismo è il sintomo di una società che ha perso fiducia nelle istituzioni, in quelle figure che dovrebbero essere garanti di cosa è la verità e di come stanno le cose. Il complottismo è la risposta estrema di una parte di popolazione all’angoscia del non senso e del caos. un tentativo irrazionale di mettere insieme i punti, di trovare un nemico in un mondo troppo complesso, la pandemia diventa allora il complotto segreto ordito dal potere e dai suoi rappresentanti, ormai percepiti come distanti, ai danni di un popolo sempre più lasciato a se stesso e alle proprie narrazioni.

E cosa consiglia di fare per affrontare al meglio la situazione che stiamo vivendo?

Il mio consiglio è quello di lavorare sulla possibilità di vedere la fine di questo periodo molto complicato. Prevedere una scadenza aiuta a rilassare gli animi di tutti e riduce quell’angoscia tipica dei contesti ‘tutti contro tutti’ che ci inducono a cercare un capro espiatorio. In quest’ottica ritengo che sia utile lasciare l’opzione di ricorrere al tampone come alternativa alle persone per potersi muovere, perché quando si calca la mano sull’obbligo, in questo caso l’obbligo vaccinale, si ottiene l’effetto contrario. Occorre riflettere attentamente sul rapporto fra autorità e popolo, perché una parte dei cittadini sicuramente rispetterà l’obbligo, come si evince dai dati relativi alla grande adesione alla vaccinazione, anche se per alcuni si tratta di una scelta obbligata per non perdere determinate libertà o per poter lavorare, ma una fetta della popolazione non lo osserverà e si creerà altro malcontento. E ritengo che questo sia un tema cruciale.

Ci spieghi

Quando ci interroghiamo su come sarà la nostra società dopo il covid non dobbiamo solo considerare le fondamentali problematiche a carattere economico e sociale: la pandemia lascerà tracce anche sul rapporto fra il popolo e le autorità. Per affrontare la situazione è stato necessario agire con pragmatismo e questo ha fatto emergere parecchi interrogativi sulle dinamiche che si instaurano tra lo stato e i cittadini. Sono del parere che non sapremo mai quanta parte di democrazia abbiamo effettivamente nei nostri sistemi e va considerato che la democrazia era in crisi molto prima del Covid. Di certo, però, la pandemia ha fatto emergere con forza delle domande su dove cominci e dove finisca la libertà del singolo individuo rispetto alla collettività. Il ragionamento che è stato fatto dai governi è stato: “C’è un’emergenza e bisogna prendere determinati provvedimenti” come se non ci fossero alternative. Per questo, da un lato, c’è chi ha parlato di “dittatura sanitaria”, un’espressione molto forte, ma dall’altro lato è forte anche l’idea di togliere il lavoro a chi non si è vaccinato. Sembra a un ricatto morale e sociale che porta a percorrere solo una strada, quella indicata dal governo, che però ha visto non poche contraddizioni.

C’è anche chi ha parlato di “controllo” della nostra società e degli individui evocando il Grande Fratello di Orwell o Foucault…

Sono metafore molto forti e fortunatamente non abbiamo strutture di controllo come quelle di cui scrissero loro, anche se sappiamo che ci sia stato un aumento del controllo delle nostre attività. Che sia stato fatto a fin di bene o che sia lecito è un altro discorso.

Per concludere, dal punto di vista psicologico, qual è il danno più grave della pandemia?

Il fatto che gli individui vengano pensati come veicoli di contagio, ma in realtà non siamo solo questo. Con il tempo capiremo che tipo di tracce resteranno e in quali soggetti, considerando per esempio che per una persona vaccinata gli effetti saranno diversi da chi non è vaccinato. Sicuramente, poi, ci sono differenze per età, perché i bambini, gli adolescenti e i giovani dovranno elaborare quanto è successo in modo diverso dai più anziani. A cambiare è la percezione della fragilità nella propria quotidianità: per i grandi ha ridato il senso della mortalità, la percezione del fatto che in pochissimo tempo tutto può cambiare, in un attimo le certezze possono crollare e svanire, mentre per i più giovani i problemi riguardano principalmente le relazioni e l’isolamento a causa delle restrizioni.

Ma ne usciremo migliori o peggiori?

Ognuno ne uscirà in maniera diversa in base al significato che ha dato a questi temi. La pandemia ha messo anima, vita e progetti in stallo, è una sorta di tentazione al letargo esistenziale: per alcuni ha rappresentato un rifugio, mentre per altri una gabbia, quindi questi ultimi la vivranno come una liberazione, un nuovo inizio. A livello politico, invece, ne uscirà una società più inquieta nel rapporto con il potere: potremo diventare più consapevoli di certe dinamiche oppure potrebbe vincere la paura rendendo le persone più chiuse e aggressive.

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