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Bergamo bene comune

“Accademia Carrara, troppo esiguo il compenso per le opere prestate a Shanghai”

Il comitato all'attacco della gestione del museo cittadino: "Non ci pare che le politiche ultimamente siano un biglietto da visita all’altezza di una capitale della cultura"

Bergamo. Bergamo Bene Comune all’attacco della gestione dell’Accademia Carrara. Il comitato ha diffuso una nota in cui spiega che ritiene troppo esiguo il compenso ricevuto dal museo cittadino per il prestito di alcune sue importanti opere al Bund One Art Museum di Shanghai. Ecco il comunicato:

Come riportato dalle cronache, il primo febbraio l’Accademia Carrara riaprirà dopo una settimana di chiusura per procedere alla loro ricollocazione al completo delle 54 opere prestate al Bund One Art Museum di Shanghai e ritornate finalmente al loro posto dopo mesi.

Ci lascia francamente sconcertati leggere la cifra ottenuta dal più importante museo della nostra città in cambio del sostanziosissimo prestito di opere non propriamente marginali (Pisanello, Raffaello, Mantegna, Bellini, Tiziano, Lotto, Palma il Vecchio, Rubens, Bellotto, Hayez, Piccio, Pellizza da Volpedo…), opere preziose di cui la pinacoteca si è privata – privandone i propri visitatori – dal mese di luglio.

Si tratterebbe infatti di soli 250.000 (duecentocinquantamila) euro, cifra che in realtà potrebbe addirittura essere molto inferiore – 170.000 euro – qualora, come sembra, a Shanghai la mostra non abbia superato i 130.000 biglietti venduti (e, stando ai numeri recentemente diffusi, non se ne sarebbe nemmeno raggiunta la metà).

Il tutto per un prestito che la stessa Carrara definisce “Un evento eccezionale”.

Siamo sinceramente allibiti di fronte alle scelte, sempre meno comprensibili, operate dalla Fondazione privata che vede promotore il Comune e presidente del CdA il sindaco di Bergamo. Fondazione la cui “sfida” dichiarata, leggiamo sul sito, è: “la volontà di affidare la gestione di un patrimonio pubblico, di immenso valore, ad una governance con spiccata vocazione privatistica. È il desiderio di far convivere, in modo equilibrato, politiche di conservazione e di valorizzazione. Di puntare ad una gestione virtuosa fatta di progettazione culturale, approfondimento scientifico, tutela, marketing, comunicazione e sviluppo museale. Tutto attraverso una gestione manageriale oculata e attenta ai dati di bilancio”.

Scelte che, sempre nelle dichiarazioni della fondazione, dovrebbero anche garantire la “fruizione delle generazioni contemporanee e, certamente, delle future”.

A proposito di “generazioni future”, vorremmo ricordare al Comune e alla Fondazione che la misera cifra – ma il discorso varrebbe anche a prescindere dall’entità della stessa – ottenuta a fronte del depauperamento del nostro museo di una parte così consistente del suo patrimonio artistico culturale per mesi, lo è anche a fronte del pericolo di danneggiamento (o anche perdita irreparabile), un rischio reale a cui sono esposte le opere ogni qualvolta esse vengono spostate.

E qualsiasi cifra di risarcimento assicurativo mai potrebbe ripagare il danno culturale derivante dal verificarsi di una tale eventualità.

Qui sta il punto vero della questione: è per questo, oltre all’assurdità della logica contorta di privarsi di opere altamente rappresentative e identitarie del museo, che riteniamo che i prestiti andrebbero fatti con grande oculatezza dopo un’attenta valutazione del reale e alto valore culturale dell’operazione, la quale dovrebbe essere capace di generare un valore di comprensione e conoscenza non raggiungibile altrimenti.

Ma per cosa sono state prestate le 54 opere della carrara? Per una mostra a nostro avviso culturalmente poco rilevante – un pot-pourri dal titolo “Maestri. Dal Rinascimento all’Ottocento”- che appare decisa non tanto in base ad un vero progetto culturale, quanto piuttosto pubblicitario, realizzata in collaborazione con un’azienda “leader a livello nazionale nella produzione, organizzazione e realizzazione di esposizioni”, specializzata nella creazione di “eventi” d’arte e che si vanta di un “acuto senso degli affari” (sic).

Il tutto avviene nell’era di internet, dei media, della multimedialità, quando ci potrebbero essere modalità meno rischiose e più appropriate per far conoscere il museo e i suoi capolavori al mondo, se lo scopo finale è quello di incuriosire potenziali visitatori e portarli a vedere le opere nella loro sede naturale.

Provocatoriamente riproponiamo una frase di Federico Zeri, il grande storico dell’arte e critico, estimatore della Carrara tanto da donarle 46 sculture della propria collezione personale: “Le mostre […] fanno bene a chi le fa, non a chi le guarda”. Nel caso in questione, dato che non vediamo nemmeno alcun vantaggio reale a giustificazione per la pinacoteca, ci chiediamo: Cui prodest?

Non ci pare che le politiche ultimamente sottese alla gestione della Carrara siano un biglietto da visita all’altezza di una capitale della cultura.

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