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Uomini e storie

L’addio di Berbenno ad Armando Locatelli, cuore degli alpini e del volontariato

Uno di quelli che riescono in modo sorprendente a fare comunità, a creare legami solidi e non momentanei o di circostanza. Un diffusore di positività

Berbenno. Se n’è andato in un pomeriggio di luce trasparente di questo inverno-primavera. È stato all’improvviso, in un momento di compagnia all’Oratorio.

Armando Locatelli, 81 anni, ma fisico che abbassava considerevolmente l’ufficialità dell’anagrafe, se n’è partito per le vette azzurre del cielo, dopo aver praticato e salito molte vette delle nostre montagne. Di sicuro, volando libero verso l’alto, portandosi nel cuore i suoi affetti di famiglia e di paese, la sua comunità per la quale si è speso a lungo e generosamente, ha mandato un’occhiata al monte di casa, il Resegone.

Armando ha lasciato sconvolto Berbenno e la Valle Imagna, dove era un punto di riferimento per le sue molte qualità umane, innanzi tutto per la sua disponibilità come volontario in numerose iniziative locali e non solo, sia nella Protezione Civile, sia come presidente del locale Gruppo Alpini, trascinante con la sua inesauribile carica di dinamismo e di entusiasmo. Colpiva la sua prontezza all’aiuto, nel “dare una mano” come si usa ancora dire nei paesi con efficacia di immagine.

Lui, Armando c’era. C’era quando si varò il progetto del nuovo Oratorio di Berbenno, rassicurante anche con il suo consiglio e la sua saggezza pratica. Avendo fatto il muratore, possedeva fra le altre doti uno spiccato senso della misura. C’era per raccogliere fondi a sostegno di necessità del momento, di solidarietà o comunque tese ad aiutare chi fosse nel bisogno. Molti ricordano una di queste sue uscite, forse l’ultima, prima di Natale, sulla piazza parrocchiale di primo mattino, a vendere – con la sua apertura comunicativa – sacchetti di mele, ovvio per le Penne Nere.

E c’era anche quando si programmavano e poi si facevano gite in montagna, con la sua esuberante allegria. Svariate le uscite sulle Dolomiti e in Valle d’Aosta, sacco in spalla e canti una volta in vetta, spesso ai piedi di una croce, immancabile il “Signore delle cime” di Bepi De Marzi.

Uno insomma di quelli che riescono in modo sorprendente a fare comunità, a creare legami solidi e non momentanei o di circostanza. Un diffusore di positività in un tempo, questo in particolare, che ne ha un accresciuto bisogno: sempre solare, ottimista.

Non vedeva solo il bicchiere mezzo pieno: lo vedeva sempre colmo perché veniva da una famiglia che l’ha educato all’accoglienza, al bello e al buono, al prodigarsi senza troppi interrogativi. “Fare” era il suo verbo e anche da pensionato non si risparmiava e non si sentiva condizionato dallo scoramento delle notizie negative. Questa era la forza e la molla del suo convincimento morale, ovunque affiorasse un’urgenza. Insomma, un antivirale del pessimismo.

Come si semina, così si raccoglie. Lo insegnano i proverbi e lo si è visto dalla commozione generale e dall’imponente partecipazione a questo lutto. È stata la dimostrazione concreta di un messaggio decisivo: quello che accompagna quanti si battono sul campo dei costruttori di fratellanza con gli slanci del cuore.

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