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Musica

Quel 1970

I Beatles dopo i Beatles: tensioni e slanci nelle scelte delle immagini

“Get back”, la recente strenna di Disney+ porge l’opportunità di ragionare su ciò che rappresentò un nuovo inizio per i quattro, con un approccio diverso che tenga conto della comunicazione visiva che ognuno di loro decise di mettere nella parte grafica dei propri lavori

La fine decennio dei ‘60 sancisce di fatto il tramonto di generi musicali come il beat o la psichedelia, oltre che marcare la fine (per ragioni non solo artistiche) di gruppi che hanno fortemente segnato la storia e il business di quegli anni.

Get back”, la recente strenna natalizia di Disney+ dedicata al finale della favola Beatles, porge su un piatto d’argento l’opportunità di ragionare non tanto sulla fine quanto su ciò che rappresentò in effetti un nuovo inizio per i quattro ex, stavolta con un approccio diverso che tenga conto della comunicazione visiva che ognuno di loro decise di mettere nella parte grafica dei propri lavori. Nove mesi quelli fra marzo e dicembre pieni di tensioni, rivendicazioni, slanci verso il futuro, pubblicazioni di nuovi lavori.

La data da cui partire è quella del 10 aprile 1970, giorno in cui in una conferenza stampa Paul McCartney annuncia ufficialmente di lasciare il gruppo e di voler cominciare la propria carriera da solista.

I quattro però si ritrovano fra i piedi “Let it be”, album registrato per la quasi totalità in sessioni precedenti a quelle di Abbey Road, (il loro ultimo LP, pubblicato nel 1969), inizialmente concepito con il titolo Get Back e ideato da Paul come un recupero di quell’impronta rock e dell’approccio live che aveva caratterizzato l’inizio della loro carriera: un “ritorno alle origini” insomma, e non solo sotto il profilo musicale. In linea con questo proposito la copertina che si intendeva usare per il progetto Get Back fu scattata nello stesso luogo (il palazzo della EMI) dove era stata presa quella del loro primo album, Please Please Me. La foto, assieme a uno scatto alternativo del 1962, apparve poi nella copertina delle due raccolte, l’album blu e l’album rosso.

beatles raccolta

 

Una volta registrati tutti i nuovi pezzi, i Beatles, insoddisfatti del risultato, prima lasciano il missaggio all’ingegnere della EMI Glyn Johns poi, ormai disinteressati al progetto, affidano i nastri al produttore statunitense Phil Spector che decide di applicare una postproduzione accentuata, causa dell’ennesimo litigio in seno al gruppo.

L’ultimo capitolo, arrivato nei negozi l’otto maggio del 1970, si chiude con un risultato deludente, quanto meno discutibile o forse semplicemente in linea con un lavoro del quale il gruppo pare essersi disinteressato. La copertina risulterà infatti composta da quattro ritratti opera del fotografo Ethan Russell assemblati, diciamolo francamente, senza troppa fantasia dal designer John Kosh.

beatles let it be

 

In questo panorama i Beatles “Post Beatles” si mettono da subito al lavoro, quasi avessero l’urgenza di comunicare una propria personale quanto nuova immagine: a uscire sul mercato prima ancora degli annunci ufficiali è Ringo Starr col suo “Sentimental Journey” pubblicato il 27 marzo su etichetta Apple Records.

L’album, costituito da cover di vecchi standard degli anni 40/50, non ottiene buone recensioni ma, sull’onda del clamore dello scioglimento dei Beatles, vende bene  raggiungendo la 7ª posizione in Gran Bretagna e la 22ª negli Stati Uniti.

Il pub che troneggia in copertina è il “The Empress in Dingle” a Liverpool, situato molto vicino alla casa natale di Ringo e le figure che si intravedono attraverso le finestre dell’edificio sono parenti vari di Ringo.

ringo starr sentimental journey

 

Le reazioni degli altri Beatles sono contrastanti: George Harrison lo descrisse come “un grande album, veramente carino” mentre John Lennon dichiarò alla rivista di sentirsi “imbarazzato” per il debutto del batterista.

Starr dirà di Sentimental Journey: “La cosa bella è che avevo finalmente la mia propria carriera – non veloce, ma in movimento, come la prima palata di carbone che fa partire il treno”.

Per nulla scoraggiato Ringo darà alle stampe, poco meno di sei mesi più tardi, un secondo lavoro col quale svelerà al mondo il suo vecchio amore per la musica country, facendosi ritrarre in copertina dal fotografo Marshall Fallwell, famoso per aver realizzato covers per molti artisti di quel genere musicale.

ringo starr beaucoup of blues

 

McCartney” l’album d’esordio di Paul McCartney in pratica viene registrato privatamente fra la sua casa a Londra e gli studi di Abbey Road, tra la fine del 1969 e il marzo del 1970 quando ormai i Beatles stanno letteralmente cadendo a pezzi e mentre, assieme agli altri tre, stava completando il vero ultimo progetto della band, Let It Be.

Entrambi i progetti furono pronti per il marzo del 1970 e McCartney, pianificò l’uscita per il 17 aprile; agli altri tre Beatles apparve subito evidente che sarebbe entrato in competizione con Let It Be (album e pellicola) ma, nonostante diverse discussioni e riunioni, McCartney restò irremovibile sulla data del 17 per la pubblicazione, non prima di aver indetto, per una settimana prima, la famosa conferenza stampa d’addio.

Per la copertina l’artista Gordon House e il designer Roger Huggett lavorarono a una sua idea a dir il vero piuttosto criptica se si pensa a quella ciotola di liquido rosso ciliegia circondata da ciliegie  sciolte.

paul mccartney album

 

Decisamente più significativo risulta l’interno copertina incentrato su diverse foto realizzate dalla moglie Linda come del resto quella sul retro, una foto del marito con la figlia Mary all’interno del giaccone a lanciare un messaggio che suona come una dichiarazione d’intenti: “Ora io sono questo… casa, famiglia, amore”.

Paul mccarney

Il 27 novembre tocca a George Harrison col suo “All things must pass”; l’artwork è curato da Tom Wilkes mentre la foto in bianco e nero, scattata nel prato di Friar Park, è opera di Barry Feinstein (colui che immortalò Dylan per la copertina di “The times they are a changin”). Due dischi di brani più un terzo di jam informali, un prezioso box che conteneva le buste di tre colori differenti, i testi e un grande poster. Quando gli chiesero di commentare il suo terzo lavoro solista George Harrison rispose: ” …non ho mai avuto molte canzoni nei dischi dei Beatles, così fare un album come All thing must pass è stato come andare in bagno e lasciarlo uscire”.

All Things Must Pass, oltre ad essere il primo album triplo in studio pubblicato da un artista solista, fu un successo sia di critica che di pubblico; raggiunse il 1º posto in classifica nel Regno Unito e negli Stati Uniti arrivando a vendere la sorprendente quantità di sette milioni di copie in tutto il mondo (di cui circa la metà negli Stati Uniti) trascinato anche dal successo del singolo “My sweet Lord”.

Pur causando qualche confusione tra i negozianti di dischi che all’epoca associavano packaging del genere con opere liriche o dischi di musica classica, questo album rappresenta al meglio il desiderio di racchiudere il proprio lavoro discografico in un contenitore prezioso, una sorta di scatola delle meraviglie da aprire, scoprire, dalla cui eleganza farsi sorprendere.

george harrison

 

Lennon disse ad un amico comune che “Harrison deve essere fottutamente pazzo per pubblicare un album triplo”, salvo poi dichiarare a Rolling Stone di preferire comunque All Things Must Pass a tutta la “spazzatura” presente nell’omonimo album di Paul McCartney.

JOHN chiuderà idealmente il 1970 con l’album intestato (e intitolato) a JOHN LENNON/PLASTIC ONO BAND pubblicato l’undici dicembre.

L’album, che risente dell’esperienza che Lennon ebbe con lo psichiatra Arthur Janov, è considerato uno dei suoi migliori lavori da solista nonché riferimento per molti artisti negli anni a seguire; ad impreziosirlo ulteriormente il suggestivo scatto opera di Dan Richter (lo stesso che realizzerà anche quello di “Imagine”) che ci mostra John e Yoko ai piedi di un maestoso albero “abbandonati” uno nell’altro, a rimarcare l’intensità, la dolcezza e la forza della loro unione, umana ed artistica.

john lennon
john lennon

 

La copertina dell’album è pressoché identica a quella del contemporaneo Yoko Ono/Plastic Ono Band di Yoko Ono; la differenza consiste nel fatto che sulla copertina del disco della Ono è lei che sta sdraiata addosso a Lennon. Oltre ad essere pubblicato in simultanea l’album era stato inoltre registrato agli studi di Ascot e agli Abbey Road Studios con gli stessi musicisti e lo stesso team produttivo.

yoko ono
yoko ono

 

Mentre l’edizione originale in LP non aveva i titoli dei brani scritti sul retro, ma mostrava solamente una foto in età scolare di John Lennon, sia sul fronte di questo album che su quello di Paul McCartney non sono presenti riferimenti testuali; il concetto di riconoscimento per icone e i contorni di una creatività sempre meno didascalica erano ormai diventati parte integrante della grafica applicata alle copertine dei dischi.

Il 1971 era ormai alle porte, pronto a raccontare di nuovi idoli e di grandi dischi a lenire le ferite di milioni di fans affranti sparsi in ogni angolo del pianeta.

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L’autore dell’articolo, Paolo Mazzucchelli (Lovere 1959), appassionato e conoscitore di musica, da decenni si occupa di programmazione culturale in campo musicale: è autore di libri dedicati alle copertine dei dischi, come “L’altra metà del pop” e “I vestiti della musica”

 

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