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All'edonè

Elio Biffi dei Pinguini canta De Andrè: “Ho scoperto Faber a 11 anni, non l’ho più abbandonato”

Il performer e pluristrumentista bergamasco canterà e racconterà “Non al denaro non all'amore né al cielo”, uno dei dischi più interessanti e letterari del cantautore genovese, all’Edonè di Bergamo sabato 22 gennaio con un doppio appuntamento

Bergamo. Scoprire Fabrizio De Andrè a undici anni non è da tutti. Come non è da tutti studiare tutta la sua produzione, indagando in profondità testi e musica. Ma da artisti come Elio Biffi, tastierista dei Pinguini Tattici Nucleari, possiamo aspettarcelo.

Il performer e pluristrumentista bergamasco canterà e racconterà “Non al denaro non all’amore né al cielo”, uno dei dischi più interessanti e letterari del cantautore genovese, all’Edonè di Bergamo sabato 22 gennaio con un doppio appuntamento, alle 18.00 e alle 22.30.

“Avendo De Andrè una produzione così vasta, è facile trovare un suo pezzo adatto per ogni occasione, – spiega Elio Biffi – Ci sono così tante storie nelle sue canzoni che è immediato trovare qualcosa di bello e positivo in grado di colpirti”.

Sono passati più di vent’anni da quando Fabrizio De Andrè non è più con noi. Le sue opere continuano ad essere attualissime, è innegabile, ma per garantire che queste non vadano perse nel passaggio generazionale servono artisti in grado di trasmetterne tutta l’umanità e profondità. Elio Biffi è uno di questi.

Quando è avvenuto il suo “primo incontro” con De Andrè?

Avevo undici anni e mio papà era solito portarmi al negozio di elettronica che aveva una sezione dischi. Lì ho trovato il remake di “Non al denaro non all’amore né al cielo” fatto da Morgan. È stato un caso, ma grazie a quel disco ho conosciuto De Andrè, che oltretutto, a differenza di altri cantautori, era forse il meno ascoltato in casa mia. La scoperta di tutta l’opera deandreiana è stata un percorso personalissimo, fatta di canzoni scaricate da internet e dischi prestati dagli amici. Un vero deep dive per me importantissimo negli anni del liceo, umanamente ed emotivamente.

Ora che sono passati diversi anni da questo primo incontro, chi è per lei Fabrizio De Andrè?

È la figura del ‘900 musicale che conosco meglio. E solitamente, più conosci una persona, più ti affezioni a questa. Anche se, devo ammettere, non mi piace l’immagine di lui – che hanno molti – come maestro ispiratore. Si tratta di un uomo che non ho mai conosciuto, e magari se davvero fosse successo non mi sarebbe stato così simpatico come mi sta adesso. Il mio rapporto con De Andrè è da ascoltatore. Non ho mai provato a mettermi al suo fianco, artisticamente parlando. So benissimo che non potrei.

All’Edonè canterà l’album “Non al denaro non all’amore né al cielo”. Perché ha scelto di raccontarlo?

Ho preparato questa lezione-concerto immaginando di parlare a dei ragazzi delle scuole superiori, costruendo un momento artistico che fosse musicale, ma soprattutto letterario. Questo disco, che è direttamente derivato da un libro di poesie, è forse il più letterario di Faber. De Andrè lo ha creato con un una grandissima cura e rispetto dell’antologia originale, “Spoon River”. Ci sarà una prima parte più dialogica, in cui racconterò le origini del disco, e una seconda parte più performativa.

Questo disco ha la caratteristica che ogni canzone è una storia a sé, il cui protagonista è tendenzialmente un personaggio “disgraziato”. Quale storia ama di più?

“Disgraziati” è un bell’aggettivo per definire i personaggi delle canzoni del disco. Sostanzialmente sono dei falliti, e il fallimento è un tema molto importante in quest’opera. Sono tutti individui in lotta con la società per cercare di trovare il proprio posto e tutti quanti finiscono per fallire miseramente o morire malamente. Sono molto affezionato alla figura nel suonatore Jones, che porta con sé una questione quasi ideologica. È il musicista che trova la sua salvezza non nel guadagno, ma solo nel gesto performativo. Questa è una verità profonda che chi fa il mio mestiere deve sempre ricordare: la performance è ciò che conta. In quel momento, e solo in quel momento, ci sentiamo al nostro posto.

Lei ha da tempo iniziato un’attività in collaborazione con le scuole e con la Fondazione Gaber relativa al patrimonio cantautorale italiano. Come reagiscono le ragazze e i ragazzi ai testi di De Andrè?

In realtà loro hanno una conoscenza di De André maggiore rispetto agli studenti di qualche decennio fa perché orami Faber è diventato iconico, anche grazie al lavoro immenso fatto dalla Fondazione De Andrè. Inoltre, i ragazzi di oggi si trovano ad avere i testi di Faber nelle antologie letterarie: una cosa impensabile 20 anni fa. Gli studenti conoscono De Andrè, ma solo in superficie e relativamente alle grandi hit. È molto bello scoprire quanto riescono a rimanere colpiti scavando più a fondo nei testi. Attraverso queste canzoni imparano che la musica in grado di stupirti non ha tempo. Un brano degli anni ’70 può farti commuovere anche oggi. Un valore fondamentale per le nuove generazioni, abituate a essere bombardate da pezzi che escono giorno dopo giorno. La musica sa essere immortale.

Rimane il fatto che De Andrè è morto da più di vent’anni e nato ottantadue anni fa, ma continua a d essere un cantautore di riferimento per artisti e pubblico. Secondo lei perché?

Perché ha sempre fatto un lavoro di qualità, maggiore rispetto ad altri colleghi. E lo ha fatto sia in termini di impegno che di saggezza, imparando a circondarsi dei giusti collaboratori. È molto difficile trovare delle canzoni che siano brutte o poco interessanti. La sua figura, di borghese ribelle, non può non affascinare. È contraria al sentire di tutti, ma allo stesso tempo e un uomo comune. È un outsider inserito nel contesto sociale, isolato in Sardegna, ma comunque capace di dar vita a canzoni da classifica. In questa oscillazione, fatta di chiaro scuri perenni, sta l’elemento che rende unico De André.

Qual è l’album che rimane più attuale per i tempi che stiamo vivendo?

Probabilmente l’ultimo, “Anime Salve”, in cui ci sono brani testamento e altri che si sposano con i tempi di oggi. Pensiamo a “Princesa” e al tema della transessualità: questa canzone, anche grazie alle giustissime rivendicazione di diritti da parte della comunità LGBTQ+, è quasi più attuale oggi di quanto fosse negli anni Novanta.

Se le venisse data l’opportunità di bere un amaro con De Andrè, cosa le direbbe?

È una domanda che mi spiazza. L’irrealtà mi piace se calata nella finzione artistica, non nella dimensione personale. Probabilmente gli chiederei se era davvero lui a coltivare l’orto in Sardegna. Vorrei conoscere l’uomo più che l’artista.

E se oggi Faber fosse ancora qui con noi, di cosa scriverebbe?

Il tema degli ultimi e dei diversi avrebbe continuato ad ispirarlo. Negli ultimi vent’anni, senza di lui, sono emerse, purtroppo, tante altre realtà di emarginazione, tante storie di dimenticati che avrebbero meritato una sua canzone.

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